Ricerca online: il Governo di Pechino lancia Panguso, gestito da China Mobile e Xinhua

di Alessandra Talarico |

Dopo l'addio di Google, al via nuovo motore di ricerca con forte impronta statale. Secondo i primi rilievi, la censura è molto più forte che su altri siti.

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Panguso

Dopo l’addio di Google alla Cina, lo scorso anno, la principale agenzia di stampa governativa, Xinhua News Agency ha deciso di lanciare un proprio motore di ricerca – www.panguso.com – insieme a China Mobile, che con i suoi 589 milioni di utenti è il maggiore operatore mobile mondiale ed è anch’esso controllato dal governo di Pechino.

Il motore di ricerca, gestito da una joint venture tra i due gruppi, sarà accessibile anche dai telefonini e permetterà alle autorità statali di dare la loro versione ‘ripulita’ del web e, al contempo, di tenere sotto controllo quello che gli internauti cinesi fanno sul web.

 

Gli analisti hanno accolto la notizia con non poco scetticismo: certo, Panguso.com potrà sfruttare l’enorme base di clienti di China Mobile, ma difficilmente riuscirà a intaccare il predominio di Baidu, che controlla più del 75% del mercato della ricerca online cinese.

 

L’annuncio dell’accordo, non a caso, risale ad agosto, subito dopo subito dopo la notizia che Google avrebbe chiuso il proprio motore di ricerca locale e dirottato le ricerche sui server di Hong Kong per permettere agli utenti di ottenere risultati non ‘filtrati’ dalle autorità, come rimostranza verso il Governo di Pechino, accusato di aver pilotato delle incursioni nei database della società per carpire i dati di alcuni presunti cyberdissidenti.

 

“Ci piacerebbe riuscire a sfruttare i vantaggi del nostro immenso archivio di news e informazioni e quello di China Mobile in termini di tecnologia e infrastrutture”, ha affermato il presidente di Xinhua Li Congjun.

 

La Cina, con i suoi 457 milioni di internauti e 303 milioni di utenti che accedono regolarmente al web dal cellulare, è il maggiore mercato internet mondiale, ma l’uso del web è sottoposto alla rigida censura del governo, che tesse le lodi della rete a scopi propagandistici, salvo poi filtrare tutti i contenuti con la scusa di voler arginare terrorismo e pedopornografia, con tanto di lista nera di siti esteri e termini da evitare (tra questi parole come Tibet, democrazia, e – di recente – anche Jasmine revolution e qualsiasi termine faccia riferimento ai tumulti nel Nord Africa e in Medioriente).

 

Panguso – dai primi rilevamenti – sembra filtrare i contenuti molto più di altri siti cinesi:  se si effettua una ricerca per Liu Xiaobo, l’attivista Premio Nobel per la Pace attualmente in carcere, non si ottiene alcun risultato, mentre effettuando la stessa ricerca su Baidu qualcosa esce, anche se soltanto testi di critica verso Liu.

Ricerche relative al Dalai Lama riportano a informazioni turistiche sul Tibet, seguite da commenti di funzionari media governativi molto critici verso il leader tibetano in esilio. Diversi poi i ‘buchi’ politicamente imbarazzanti: nessun risultato appare infatti se si ricercano notizie sulla People’s University di Pechino, la prima università fondata dopo la rivoluzione comunista e una delle maggiori istituzioni del Paese.