Web al collasso? Vint Cerf rinnova l’allarme, ‘La crescita della rete si fermerà se non si passerà all’IPv6’

di Alessandra Talarico |

Cerf, uno dei padri fondatori di internet ha esortato gli ISP ad accelerare il passaggio o la rete potrebbe collassare entro sei mesi.

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Vinton Cerf

L’allarme, Vinton Cerf, uno dei padri fondatori del web, lo aveva già lanciato in diverse sedi: se non si passerà subito al protocollo internet IPv6, la rete potrebbe collassare entro sei mesi. Già tre anni fa, infatti, lo stesso Cerf aveva indicato nella fine del 2010 la data in cui sarebbero stati esauriti gli indirizzi IP e aveva esortato ad accelerare il passaggio al nuovo protocollo, in grado di offrire una quantità pressoché illimitata di indirizzi per i nodi di rete.
Ora, Cerf ha rinnovato le sue preoccupazioni su una prossima crisi informatica, paragonando la potenziale minaccia al clamore che circondò il ‘millennium bug‘, un errore software ampiamente pubblicizzato e che ha costretto le società informatiche e le aziende di tutto il mondo ad aggiornare i loro sistemi informatici per evitare il collasso alla mezzanotte del 31 gennaio del 1999.

A differenza del bug Y2K, che aveva “una scadenza chiara – ha detto Cerf – in questo caso non abbiamo una data certa. Sappiamo che gli indirizzi si esauriranno ma non sappiamo con precisione quando. Sappiamo però quali saranno le conseguenze: non ci sarà più crescita fino a quando l’IPv6 non sarà implementato”.
 

Ogni computer connesso a internet è dotato di un numero di identificazione, denominato indirizzo IP. Come in una città virtuale, questi indirizzi sono utilizzati per localizzare le macchine collegate al World Wide Web e per identificare eventuali utenti illegali della rete. E come per le targhe delle auto o i numeri telefonici, anche internet necessita il continuo ampliamento del numero di indirizzi disponibili.

Cerf ha sottolineato che quando si esaurirà la capacità di indirizzamento dell’IPv4, internet non cesserà di funzionare, come quando una macchina finisce la benzina, ma la gente che chiederà un indirizzo non potrà averlo.
“Si tratta di una questione seria: sarebbe come cercare di chiamare a qualcuno senza un numero di telefono”, ha detto Cerf, che attualmente ricopre la carica di Chief Internet Evangelist di Google e ha contribuito, con l’ invenzione del protocollo TCP/IP, nel 1970, alla nascita di internet, uno strumento che, secondo lui, dovrebbe essere considerato patrimonio dell’umanità: chiunque deve poterlo usare, a prescindere dall’hardware, dal software, dal service provider, dalla lingua parlata, da eventuali disabilità. Nessuno deve controllarlo, sia esso un governo o un’azienda.

Anche secondo i calcoli della Number Resource Organization (NRO), rappresentante dei cinque maggiori registri internet regionali (RIR) che distribuiscono gli indirizzi ‘numerici’ della rete, gli indirizzi potrebbero terminare entro l’inizio del 2011: resta infatti da allocare meno del 5% degli indirizzi IPv4. Una percentuale che si attestava al 10% a gennaio, appena nove mesi fa.
Il protocollo IPv4, in uso dal 1981, ha infatti una disponibilità limitata (pari a 4,3 milioni di indirizzi) ed è, dunque, quanto mai urgente passare al nuovo protocollo IPv6 – standardizzato già da 10 anni – e che, come spiega Wikipedia, gestisce invece “fino a circa 3,4 × 1038 indirizzi (280.000.000.000.000.000 indirizzi unici per ogni metro quadrato della superficie terrestre)”. Un numero, come ha detto anche il Commissario Viviane Reding “superiore al numero di granelli di sabbia su tutte le spiagge del mondo”.

Nonostante, dunque, l’IPv6 sia stato standardizzato già da molto tempo, soltanto pochi Isp hanno provveduto ad attrezzarsi al passaggio, dal momento che – molto probabilmente – i provider non vedono il guadagno economico di questa transizione, che necessita la sostituzione dei router utilizzati per consentire ai computer di comunicare l’uno con l’altro. Non si tratta di una rivoluzione, ma comunque di un passaggio che comporta nuove spese per gli operatori.

A pesare sul decollo del nuovo protocollo, anche il fatto che con il passaggio all’IPv6 gli indirizzi IP potrebbero essere comparati ai dati personali e se ciò avvenisse, le società che utilizzano gli indirizzi IP per scopi commerciali sarebbero costrette a chiedere il consenso preventivo all’utente, pregiudicando così gli attuali modelli di business. Oggi, infatti, lo stesso computer può avere più indirizzi IP, uno per ogni connessione a Internet: col passaggio al nuovo protocollo, la situazione potrebbe cambiare completamente.
 

Anche la Ue, da canto suo, ha tentato di accelerare il passaggio al nuovo protocollo: Bruxelles ha invitato gli Stati membri a introdurre l’IPv6 nelle amministrazioni pubbliche e nelle imprese entro il 2010. L’obiettivo fissato dalla Commissione consiste nel fare in modo che, entro il 2010, il 25% delle imprese, delle amministrazioni pubbliche e dei nuclei familiari utilizzi l’IPv6.