Musica: l’IFPI contro lo studio Ipsos sul downloading, ‘Deduzione sbagliata supporre che il file-sharing illegale aiuti l’industria’

di Raffaella Natale |

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Musica digitale

L’IFPI (International Federation of Phonographic Industry), organismo che rappresenta gli interessi dell’industria musicale nel mondo, ha pubblicato una nota per rispondere al recente studio di Ipsos, realizzato per conto di  Demos, un think-tank politico del Regno Unito.

Si tratta di un’approfondita analisi sul downloading di musica che potrebbe essere fraintesa lasciando a intendere che il file-sharing agevola lo sviluppo della musica legale invece che ridurne le vendite.

 “Deduzione completamente sbagliata”, ha sottolineato IFPI, per la quale la ricerca di Ipsos dimostra invece che ovviamente molti downloader illegali sono appassionati di musica e acquistano più musica rispetto al consumatore medio.

“Ma questa – ribadisce IFPI – non è la prova che il downloading illegale promuove le vendite legittime. Al contrario, il file-sharing ha un impatto fortemente negativo sull’acquisto di musica, come evidenziato da numerosi studi realizzati in tutte le parti del mondo”.

 

Ipsos, che ha condotto la ricerca su circa 1.000 utenti britannici tra i 16 e i 50 anni, sostiene che chi pratica il file-sharing spende in media 75 sterline l’anno in musica contro le 44 degli internauti che sostengono di non aver mai piratato brani.

 

Lo studio di Ipsos s’è rapidamente diffuso in tutta la rete, in particolare è stato usato per puntare il dito contro l’assurdità dei processi aperti dall’IFPI contro gli utenti colpevoli d’aver illegalmente scaricato musica dal web.

 

Per la Federazione, i risultati dell’indagine quindi non dimostrano che il file-sharing illegale incrementa le vendite di musica, ma solo che c’è una sovrapposizione tra le persone che scaricano musica illegalmente e coloro che la acquistano.

Sicuramente, sostiene IFPI, gli appassionati di musica sono anche i più inclini a procurarsi brani per vie non legali.

Ne sono la prova i dati di mercato i quali evidenziano come il diffondersi del file-sharing abbia colpito duramente le vendite legali.

La spesa media per la musica nel Regno Unito è scesa da 75 sterline nel 2004 a 61 nel 2008 (album, TNS Worldpanel Entertainment). Nello stesso periodo, le vendite di musica sono passate da 1,25 miliardi di sterline a 1,01 miliardi.

 

Uno studio di Jupiter Research, nel 2007 ha rilevato che la pirateria online di musica è il fattore che pesa di più sul calo delle vendite.

Tra il 2001 e il 2012, la pirateria musicale online arriverà a costare all’industria britannica della musica 1,6 miliardi di sterline.

Secondo la ricerca di Jupiter, entro la fine del 2006, la pirateria musicale ha determinato un totale di 375,8 milioni di sterline di mancato guadagno. Ed entro il 2012 ce ne saranno ulteriori 1,2 miliardi.

 

Sulla stessa linea di Jupiter anche le analisi di Norbert Michael (2006), Rob & Waldfogel (2006), Alejandro Zenter (2003, 2005, 2006), Stan Liebowitz (2006), e di Oberholzer e Strumpf (2004).

Un’analisi realizzata quest’anno da Jupiter Research in cinque Paesi europei arriva alla conclusione che anche se il file-sharing illegale consente di diffondere maggiormente la musica e di far conoscere gli artisti meno noti, è altrettanto vero che senza questo sistema gli utenti acquisterebbero più musica legale. “L’impatto globale del file-sharing sull’industria è quindi negativo“.

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