Hi-tech: il Giappone spaventa le Borse. La recessione insiste mentre i giganti dell’elettronica presentano le ricette anticrisi

di Raffaella Natale |

Giappone


High Tech

Chi aveva detto che la crisi economica non avrebbe toccato l’hi-tech si sbagliava. Uno dopo l’altro, i giganti giapponesi dell’elettronica, Sony, Hitachi, NEC, Toshiba, stanno registrando bilanci in rosso. Vittime impotenti del crollo della domanda, dell’abbattimento dei prezzi e di uno yen che continua a salire.

 

Prima seduta del mese di segno negativo alla Borsa di Tokyo, al secondo ribasso consecutivo in conseguenza di una serie di previsioni negative sul fronte societario,e soprattutto delle perdite annunciate dal colosso tecnologico Hitachi, che hanno ulteriormente acuito i timori degli investitori nipponici nei confronti delle ripercussioni della recessione globale in atto.

In chiusura l’indice Nikkei dei 225 titoli principali ha toccato dunque i nuovi minimi da una settimana dopo aver perso 120,07 punti pari all’1,50%, scendendo così a quota 7.873,98.

Ancora peggio è andato oggi il Topix relativo all’intero listino, che a sua volta ha lasciato sul terreno 16,18 punti pari al 2,03% per attestarsi infine a quota 777,85.

Il secondo tonfo giapponese non ha mancato di farsi sentire anche sulle piazze europee che stamattina in apertura segnavano tutte indici in negativo: Londra -1,09%, Parigi -1,37%, Francoforte -1,15%, Madrid -1,20%, Zurigo -0,18%. Male anche Milano con il Mibtel che dopo i primi scambi registrava una perdita dello 0,75% a quota 14.142.

 

Hitachi dovrebbe registrare una perdita da 6 miliardi di euro nel bilancio annuale, scadenza marzo, anche se da mesi promette utili in rialzo. Risultato? 7.000 licenziamenti e piano di rientro obbligatorio.

Stesso dramma per NEC: 20.000 dipendenti a casa dopo una perdita dell’ordine di 2,4 miliardi di euro.

 

Hitachi e NEC sono due delle industrie giapponesi che stanno risentendo maggiormente di questa crisi mondiale, che dallo scorso settembre ha assunto dimensioni drammatiche.

A dicembre Sony aveva annunciato il taglio di 16.000 posti di lavoro nel core business, l’elettronica, improvvisamente in disavanzo.

Da allora, questa attività ha subito un nuovo shock e si prepara a un deficit netto annuo di 1,25 miliardi di euro.

Subito dopo è stata la volta di Toshiba (4.500 licenziamenti e si temono perdite per 2,33 miliardi di euro) accompagnata da uno stuolo di aziende meno note che sono finite strangolate da questa crisi.

 

Il presidente di Toshiba, Hatsutoshi Nishida, ha commentato che “…La congiuntura si è terribilmente aggravata durante l’anno in corso e la prossima si annuncia ugualmente molto difficile”.

Il Giappone non aveva mai vissuto una crisi di simili proporzioni in un lasso di tempo così breve. Per alcuni, ricorda quella che investì il Paese dopo lo scoppio della bolla immobiliare e finanziaria del 1990.

 

Tutti i grandi nomi dell’hi-tech subiscono non solo l’impatto del deterioramento del mercato ma anche quello, altrettanto nocivo, dell’apprezzamento dello yen rispetto alle altre valute.

Di conseguenza, le società non riescono a essere competitive sui mercati Usa, europei o sudcoreani e una grossa parte delle loro attività dipende fortemente dalla presenza all’estero.

Ai presidenti tocca, giorno dopo giorno, incontrare giornalisti e analisti per illustrare i piani di salvataggio, come avevano fatto prima i capi dell’industria automobilistica.

Tagli al personale e agli investimenti, progetti congelati, liquidazione delle attività, partnership coi competitor: le ricette sono uguali per tutti.

Ma, ahimè, non c’è garanzia di riuscita!

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