Cina: cresce il numero dei blogger, ma il governo affila la censura in vista del 20° anniversario della strage di piazza Tiananmen

di Alessandra Talarico |

Cina


Soldato cinese

Nonostante la Cina sia uno dei Paesi che più strettamente controlla internet, cresce il numero di persone che non esitano a esprimere il loro parere attraverso il web, sfidando i dettami del governo e pagando spesso con la prigione o la vita.

Sono infatti oltre 50 milioni i blogger cinesi: un vero e proprio esercito che non finisce di impensierire il governo di Pechino, sempre attento a non fare emergere alcuna forma di dissenso verso il proprio operato.

 

La Cina conta la maggiore popolazione internet mondiale: sono 290 milioni le persone che frequentano le vie virtuali, oltre 100 milioni i blog, secondo le stime della internet Society of China, che rappresenta i membri dell’industria come i fornitori d’accesso, gli operatori e gli istituti di ricerca.

 

La crescita della popolazione dei blogger non può non impensierire il Governo Cinese, che di recente ha anche costretto i provider a scusarsi ufficialmente per i contenuti ‘volgari’ ospitati sui siti da loro gestiti, pena l’oscuramento di questi ultimi.

 

Anche Google e Baidu, i due più importanti motori di ricerca del paese, sono tra le 19 compagnie accusate di diffondere contenuti ‘inappropriati’ e costrette a scusarsi.

 

“Ci sentiamo profondamente colpevoli”, si leggeva sulla home page di Baidu, il maggiore motore di ricerca del paese.

Dello stesso tenore il messaggio postato da NetEase.com.Inc, il secondo operatore di giochi online cinese: “Ci scusiamo con gli utenti per gli effetti negativi (che i nostri contenuti) hanno causato sulla società”.

 

Anche Google ha pubblicato un testo di scuse, affrettandosi però a comunicare di “star lavorando sodo” insieme agli utenti e alle istituzioni per “costruire una sana cultura internet”.

 

È cosa nota che la Repubblica Popolare cinese disponga di un sistema di sorveglianza considerato tra i più sofisticati al mondo, basato su un sistema di ‘ispezione’ del traffico http volto a determinare la presenza di determinate parole o espressioni particolarmente invise al governo di Pechino, che si giustifica dicendo di voler solo combattere la pornografia, la pedofilia e il terrorismo.

La lista delle parole sgradite comprende diverse centinaia di termini, dei quali soltanto poche decine riguardano  la pornografia. Gli altri sono legati alla politica e a svariati altri argomenti. A finire nel mirino della censura, oltre agli ormai classici ‘democrazia’, ‘diritti umani’ o alle espressioni che fanno riferimento al Dalai Lama, al movimento religioso Falun Gong o ai fatti di piazza Tiananmen anche termini facenti riferimento ai più recenti fatti di cronaca, come ‘terremoto’ e ‘latte in polvere’.

 

Per sorvegliare il traffico internet, ed identificare chiunque si renda colpevole di inserire nel proprio blog, in una conversazione istantanea o in una email un termine inviso, il governo di Pechino ha impiegato oltre 30 mila cyber-poliziotti.

 

Ma il rafforzamento dei controlli sul web e la richiesta ufficiale di scuse da parte delle società coinvolte, a dire del Governo, nella diffusione di contenuti ‘nocivi’ è da attribuire – secondo gli osservatori – al fatto che quest’anno ricorre il 20° anniversario della protesta di piazza Tiananmen, la cui violenta repressione messa in atto dal Governo, provocò diverse migliaia di vittime civili.

 

Il governo di Pechino non ha mai fornito una versione ufficiale dell’accaduto, ma esercita ancora oggi una rigida censura riguardo l’avvenimento.

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