Internet palestra per il cervello: rende più intelligenti e non fa invecchiare. La conferma arriva dagli scienziati

di Alessandra Talarico |

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Effettuare ricerche su internet rende più intelligenti. È questa la conclusione di uno studio effettuato da un team di ricercatori dell’università della California (UCLA), secondo cui la ricerca sul web attiva quelle aree chiave del nostro cervello che controllano i processi decisionali e i ragionamenti complessi.

 

Lo studio, che verrà pubblicato sul prossimo numero dell’American Journal of Geriatric Psychiatry, dimostra in sostanza che l’attività di ricerca Web può contribuire a stimolare, ed eventualmente a migliorare, le funzioni cerebrali di cybernauti, tecno-lavoratori di mezza età e anziani.

 

Smentendo decisamente quanto sostenuto solo pochi mesi fa da Nick Carr nell’articolo “Google ci sta rendendo stupidi?” – in cui l’autore sosteneva che Internet sta assorbendo buona parte delle capacità intellettuali di cui disponiamo – il team guidato da Gary Small è giunto invece alla conclusione contraria: “la ricerca su internet – sostiene Small – innesta una complicata attività cerebrale che può contribuire a tenere in esercizio e a migliorare le performance cognitive, con potenziali benefici per le persone di mezza età e gli anziani”.

 

Con il passare degli anni, si sa, si verificano diversi mutamenti funzionali e strutturali – atrofia, riduzione dell’attività cellulare, grovigli neurofibrillari – che hanno un impatto diretto sulle funzioni cognitive. In poche parole, il cervello inizia a perdere colpi.

Si sa anche che alcune attività che tengono la mente impegnata – come fare le parole crociate o giocare a scacchi – contribuiscono a preservare la salute del cervello e le capacità cognitive.

Ma con l’avvento delle nuove tecnologie, gli scienziati stanno cominciando a valutare anche l’influenza sulle attività cerebrali dell’utilizzo del computer, compreso Internet.

 

Lo studio è stato condotto lavorando con 24 volontari di età compresa tra 55 e 76 anni: anche se l’età e il livello di istruzione dei partecipanti allo studio erano simili, solo la metà di loro aveva già effettuato ricerche su internet.

 

A queste persone è stato richiesto di effettuare sessioni di navigazione e ricerche sul web e quindi in esercizi di lettura di un libro, mentre l’attività cerebrale veniva ‘fotografata’ attraverso una risonanza magnetica funzionale per registrare le sottili modifiche di queste attività sul cervello.

Questo tipo di scansione è infatti in grado di tracciare l’intensità della risposta delle cellule cerebrali misurando il livello di flusso sanguigno durante compiti cognitivi.

 

Tutti i partecipanti hanno mostrato una significativa attività cerebrale durante la lettura del libro, localizzata nelle regioni che controllano linguaggio, lettura, memoria e la capacità visiva.

Le attività di ricerca su internet invece hanno rivelato una grande differenza tra i due gruppi: mentre durante la lettura del libro tutti i partecipanti hanno dimostrato la stessa attività cerebrale, il gruppo che aveva già avuto esperienza con la web search ha registrato una attività più intensa nelle aree frontale, temporale e nella corteccia cingolata dove risiede l’area decisionale del cervello.

 

“La cosa più eclatante – ha spiegato Small – è stata scoprire che l’attività di ricerca su internet sembra impegnare in misura maggiore i circuiti neurali che non vengono attivati durante la lettura, ma solo nelle persone che avevano una precedente esperienza di navigazione sul web”.

 

Small, che è anche direttore del Memory and Aging Research Center dell’Università della California, ha spiegato infatti che durante le attività di web search, i volontari con esperienza di ricerca hanno registrato un livello doppio di attivazione cerebrale rispetto all’altro gruppo.

 

Questo perché, rispetto alla semplice lettura, la ricchezza di scelte propria di internet richiede alle persone di prendere delle decisioni su cosa cliccare per trovare ulteriori informazioni, un’attività che coinvolge importanti circuiti cognitivi del cervello.

 

“Una semplice attività quotidiana come la ricerca web sembra migliorare le funzioni dei circuiti cerebrali negli anziani, a dimostrazione che il nostro cervello è sensibile e può continuare ad apprendere anche in età adulta”, ha dichiarato Small, sottolineando come la minore performance cerebrale dei meno esperti di internet sarebbe dovuta al fatto che questo gruppo non possedeva le strategie necessarie per impegnarsi con successo in una ricerca su Internet.

 

Niente paura, però, perché ci sono i margini per recuperare: “passando più tempo su internet – conclude infatti Small – anche i meno avvezzi potranno attivare le stesse funzionalità cerebrali dei più esperti”.

 

Ulteriori dettagli sullo studio e su altre ricerche relative all’impatto dei computer sul cervello sono contenuti nel nuovo libro di Gary Small, “iBrain: Surviving the Technological Alteration of the Modern Mind”.

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