Il Tribunale di Roma assolve il file sharing: il P2P non è reato penale, semmai torto civile contro il diritto d’autore

di Alessandra Talarico |

Italia


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“In assenza di una legislazione che crei una fattispecie ad hoc, non appare possibile dare rilevanza in questa sede ad un fenomeno assai diffuso, di difficile criminalizzazione ed avente accertamenti quasi impossibili in termini di raccolta della prova”.

Con questa motivazione, il pubblico ministero di Roma Paolo Giorgio Ferri ha richiesto e ottenuto l’archiviazione di un’inchiesta sul peer-to-peer, lo scambio di file audio-video su internet.

 

Il Pm non ha ravvisato – come si lamentava nella denuncia che ha portato all’apertura del fascicolo – la violazione della norma sulla tutela del diritto d’autore (art.14 legge 248/2000) dal momento che lo scambio di file sulle reti P2P non riguarda solo copie illegalmente ottenute di materiali coperti da diritto d’autore, ma può riguardare anche “originali lecitamente acquisiti”.

Il giudice ha quindi rilevato che non sempre questi scambi avvengono per fini di lucro e molto spesso vengono effettuati “estero su estero” e non attraverso dei server centrali ma direttamente fra utenti.

Non si tratta quindi di un reato penale ma semmai di un “torto di natura civilistica per i diritti d’autore”.

 

Gli Internet provider, sottolinea ancora il Pm, non possono essere ritenuti responsabili di reati commessi dagli utenti che utilizzano le loro reti, perchè vige il rispetto della net neutrality.

I siti internet incriminati – www.bearshare.com, www.emuleitalia.net e www.bittorrent.com – in queste circostanze “si limitano ad autenticare l’utente che viene successivamente smistato verso altre reti ibride e decentralizzate in tutto il mondo” e diventa quindi estremamente complicato identificare gli utenti che utilizzano queste reti.

 

Anche quando questo avviene, in mancanza di un coordinamento globale delle legislazioni in materia, il lavoro investigativo portato avanti in un determinato Paese viene vanificato dal fatto che “…la giurisprudenza non sempre si è espressa contro coloro che scaricano o consentono lo scarico di filmati o altri prodotti protetti dal diritto d’autore”.

 

Il giudice per le indagini preliminari del tribunale di Roma, Carla Santese, ha accolto la sentenza sostenendo che “…appaiono pienamente condivisibili le argomentazioni esposte dal Pm nella richiesta di archiviazione”.

 

Immediato l’intervento della Fimi, la Federazione Industria Musicale Italiana, secondo cui “…più che affermare che il ricorso al peer-to-peer non è reato, in realtà la decisione del Gip di Roma dice che non è possibile perseguire i siti web che fanno riferimento ai servizi P2P”.

 

Resta però reato, sottolinea quindi il responsabile Relazioni esterne della Fimi, Daniele Selvaggio, l’attività di file sharing dei singoli utenti, punibile in base alla normativa sul diritto d’autore agli art. 171 a bis e 171 ter a bis, “…che prevede sanzioni penali a carico di tutti coloro che immettono abusivamente fonogrammi tutelati in un sistema di reti telematiche; nello specifico una multa di 2.000 euro per coloro che condividono senza scopo di lucro e una multa fino a 15.000 euro con possibile pena detentiva fino a 4 anni per coloro che invece condividono a scopo di lucro”.

 

La sentenza ribadisce quanto già stabilito dal Tribunale di Roma in merito al famigerato caso Peppermint.

La vicenda è nota. Peppermint, una piccola casa discografica tedesca, si è rivolta al Tribunale civile di Roma chiedendo che questo ordinasse ad alcuni operatori di telecomunicazioni, fornitori del servizio di accesso a Internet al pubblico, i dati degli utenti che avevano messo a disposizione attraverso programmi peer-to-peer brani musicali protetti da diritto d’autore, diritto di cui Peppermint medesima era titolare.

 

In prima battuta, salvo una eccezione rimasta isolata, il Tribunale civile di Roma ha accolto la domanda di Peppermint ed alcuni operatori telefonici sono stati costretti a consegnare i dati anagrafici di migliaia di propri clienti. Ciò ha generato un effetto a catena, ed altri titolari di diritti di proprietà intellettuale (produttori discografici e di software) hanno rivolto al Tribunale di Roma – anch’essi con successo – le medesime domande di Peppermint.

 

La risposta dei Giudici del Tribunale civile di Roma, non si è fatta attendere: ed infatti, con una importantissima ordinanza emessa in uno dei procedimenti cautelari attivati dalla Peppermint nei confronti di Wind, il Tribunale di Roma ha riconosciuto la prevalenza del diritto alla riservatezza, quale valore fondamentale della persona, rispetto a richieste di soggetti privati, per finalità commerciali connesse al diritto di autore.

 

Contestualmente, in un giudizio pendente innanzi la Corte di Giustizia Europea, relativo ad un caso analogo a “Peppermint”, sono state pubblicate le conclusioni dell’Avvocato generale Juliane Kokott, secondo cui sarebbe compatibile con il diritto comunitario, il fatto che gli Stati membri escludano la comunicazione di dati personali sul traffico, quando è richiesta ai fini dei procedimenti civili per violazione del diritto d’autore.

 

Soddisfatto il giudizio di Fiorello Cortiana, esponente della Consulta sulla Governance di Internet, secondo cui ancora una volta “…il Tribunale di Roma ha molto saggiamente distinto le responsabilità personali delle azioni messe in atto nello spazio virtuale di Internet da quelle dei servizi e delle applicazioni per la navigazione in rete”.

Cortiana si augura che la decisione del tribunale di Roma “faccia giurisprudenza e metta fine ai tentativi oscurantisti e impraticabili di precludere la Neutralità della Rete, favorendo invece gli sviluppi delle pratiche innovative virtuose come l’introduzione del fair use e l’uso delle licenze Creative Commons”.

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