Il caso Telecom sulla stampa straniera. Pesanti critiche del Financial Times e del Wall Street Journal

di Alessandra Talarico |

Italia


Wall Street Journal

La stampa straniera, quella finanziaria soprattutto – guarda al caso Telecom Italia e non risparmia le stoccate in merito al ritiro di AT&T dalla corsa per una quota di Olimpia, la holding di controllo del gruppo telefonico.

Per il Financial Times, “le telecom, privatizzate o meno, possiedono asset spesso classificati come strategici e la cui proprietà è considerata interesse nazionale”. È normale, dunque, che i politici insistano sulla pericolosità che questi asset finiscano in mano straniera.

 

Il quotidiano della City, riporta però le parole di una fonte vicina ad AT&T, secondo cui “quando la tua sede è in Texas, a molti chilometri di distanza, è difficile capire i modi Bizantini dell’Italia”.

 

L’Italia, sottolinea FT, “ha uno tra i più bassi livelli di partecipazioni societarie straniere nel panorama europeo”, e cita il caso Autostrade-Abertis come un altro famoso esempio del nazionalismo economico italiano.

FT critica anche il sistema delle scatole cinesi, inteso come ‘struttura piramidale’ che consente il controllo di una società con un investimento estremamente ridotto. Grazie a questo meccanismo, spiega FT, “Telecom è controllata da Pirelli che possiede appena il 18% di Telecom ma nomina 15 su 19 consiglieri”.

 

Il quotidiano britannico si chiede poi come abbia potuto il colosso americano considerare l’acquisizione di Telecom un affare vantaggioso. L’acquisizione di una quota del 33% di Olimpia, continua FT, “era così poco attraente che è un mistero come mai sia stata presa in considerazione” dalla maggiore compagnia telefonica del mondo.

 

Difatti, dopo due settimane “nel calderone ribollente della finanza italiana”, AT&T ha realizzato che i vantaggi erano “scotti come un qualsiasi piatto di spaghetti servito in una trattoria di San Antonio in Texas”.

Anche se strategicamente AT&T ha il diritto di espandersi in Europa – rincara FT – “è difficile immaginare che l’Italia, un mercato maturo con pochi clienti corporate globali, sia una priorità”.

 

“Sembra che AT&T – conclude FT – abbia ingenuamente flirtato con una delle strutture di governo più controverse d’Europa, sottostimando l’opposizione politica nei confronti di proprietà straniere”.

 

Per il Wall Street Journal, dal ritiro di AT&T escono tutti perdenti, tranne la stessa società americana che “non ha perso un soldo, ma avrebbe dovuto riflettere meglio prima di decidere un coinvolgimento” in Telecom, anche alla luce delle vicende di nove anni fa, quando la vecchia AT&T “rimase scottata” dal dietrofront di Telecom che preferì allearsi con la britannica Cable&Wireless.

 

Tra gli sconfitti, il Wall Street Journal cita innanzitutto l’Italia, la cui già cattiva reputazione in fatto di protezionismo aziendale “è ora peggiorata”, ma anche Tronchetti Provera che ha “perso la sua scommessa”, oltre ad aver fatto imbestialire “tutto l’establishment italiano”.

Ma a perderci, per il quotidiano Usa, sono anche i piccoli azionisti, che invece avrebbero potuto finalmente guadagnare qualcosa dalla vendita delle azioni al colosso americano, a un prezzo ben più alto del loro valore attuale.

I piccoli azionisti – aggiunge il WSJ – sono invece “rimasti impantanati con Mr Tronchetti” che nel giro di sei anni ha causato il dimezzamento del valore delle azioni.

E sconfitto è anche il patron di America Movil, Carlos Slim – il secondo uomo più ricco del pianeta – che dopo il ritiro di AT&t difficilmente riuscirà “a sconfiggere il protezionismo italiano” e a ottenere un’alleanza vantaggiosa con Telecom.

 

Già ieri il quotidiano americano levava una pesante critica all’operato del governo italiano, che fin dal primo momento “ha manifestato una chiara opposizione alla possibilità che un’azienda straniera possa divenire uno dei maggiori azionisti di Telecom”.

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