Il futuro delle tlc: viaggio alla scoperta di IMS. ‘Hype’ o rivoluzione?

di di Cristiano Berti |

Italia


Cristiano Berti

Da alcuni anni a questa parte gli operatori di telefonia hanno visto decrescere sensibilmente i ricavi provenienti dal traffico voce e non sono stati in grado di compensare la perdita con quello dati, come testimonia il MOIR report: nel 2005, contro un ARPU (Average Revenue Per Unit) medio in Europa che va dai 15 euro di Tele2 AB Svezia ai 60 euro di O2 Irlanda, i ricavi per i servizi dati, escludendo gli sms, sono in media di 1 euro.

Per questa ragione la domanda ad oggi più ricorrente in ambiente Telecom è quella che si pongono David Croslin di Verizon Business ed Anthony Berkley di Lucent Technologies: “Quale sarà la nuova  killer app che possa  far decollare sensibilmente gli introiti degli operatori?”.

  

Molti esperti ritengono che la risposta  non si potrà trovare in un solo  servizio, anche se particolarmente attrattivo come  Instant Messaging, Push To Talk, File Sharing o  IPTV. Si ritiene che la sfida sarà vinta da quegli operatori che riusciranno a fornire una  “fashionable user experience”, che consenta  agli utenti  di scambiarsi contemporaneamente servizi voce, dati, internet e TV attraverso  qualsiasi dispositivo  di accesso (PC, PDA cellulare) realizzando una  completa convergenza.

  

Tutto questo sarà reso possibile grazie ad uno standard architetturale basato su SIP (Session Internet Protocol) chiamato IMS (IP Multimedia System), almeno stando a quello che dichiarano i suoi sostenitori.  Quello che può essere affermato con certezza, nonostante che Gary Miller di Global Crossing dichiari: “Molta confusione ad oggi circonda IMS”, è il fatto  che al momento la maggioranza dei vendor di infrastrutture, in collaborazione con operatori e produttori di terminali, sta provando ad implementare questa piattaforma.

 

I propugnatori assicurano che grazie a questo nuovo standard avremo la possibilità di video chiamare un collega in ufficio sul suo PC col nostro cellulare e condividere con lui una presentazione. In caso poi avremo bisogno della consulenza di un terzo collega lo chiameremo tramite PTT (Push To Talk) selezionandolo tra i contatti on-line. Volendo poi analizzare meglio i dettagli della presentazione si arriva in ufficio, con la possibilità di cambiare l’operatore che fornisce la copertura, e passiamo sul PC in maniera trasparente agli altri partecipanti, potendo sempre continuare ad usufruire degli stessi servizi come ad esempio la stessa “buddy list”, indipendentemente del dispositivo che stiamo utilizzando (PC e telefono cellulare in questo caso, ma anche PDA o TV in altri casi).

  

Altri esperti sono convinti che IMS si rivelerà un hype, come ce ne sono state tante in ambito telecom negli ultimi anni, e che servizi innovativi, remunerativi per gli operatori ed attrattivi per i clienti, potranno essere offerti anche senza quella convergenza e integrazione che IMS permette. 

Un fatto è indiscutibile: molti fattori influiranno sul successo o l’insuccesso di IMS e futuri diversi possono verificarsi, noi abbiamo provato a dipingerne 2. 

  

In un primo scenario, chiamato “The Day After Tomorrow” i diversi stakeholder, operatori e vendor in primis, hanno la volontà concreta di investire in IMS. Questo andrà di pari passo con un cambio di mentalità all’interno delle organizzazioni, Croslin sostiene che “…in primo luogo bisognerà non guardare ai profitti immediati ma attuare strategie di più lungo termine. In secondo luogo gli operatori tradizionali dovranno diventare più snelli per fronteggiare l’attacco dei nuovi competitor, come Skype, Vonage, Microsoft o Google tra gli altri, al fine di poter realizzare applicazioni con “Time To Market”, decisamente ridotti rispetto agli attuali”. Da un modello “push” si passerà ad uno “pull”, secondo Luis Galindo di Telefonica: “Adesso si creano le applicazioni e poi si provano a vendere, con IMS si renderanno le applicazioni customizzabili” anche perché sempre Croslin pensa che le reti diventeranno intelligenti e consentiranno agli operatori di conoscere quello che i clienti vogliono. In questo modo si creerà un diverso rapporto tra clienti ed operatori, che da semplici “pipe” diventeranno dei veri e propri service provider.

  

Tutto questo sarà fattibile solo a fronte di pesanti investimenti e un’effettiva collaborazione strategica per realizzare reti e terminali dotati di certe caratteristiche imprescindibili per un reale successo di IMS. La stragrande maggioranza degli esperti ritiene una conditio sine qua non l’interoperabilità tra le reti e tra i vari dispositivi di accesso.  Sarebbe impensabile un reale sviluppo dei servizi IMS-based in caso se ne potesse usufruire solamente all’interno della rete del “nostro”operatore o tra terminali di un solo tipo o di un solo “vendor”. I dispositivi di accesso dovranno essere “user friendly” per facilitare l’accettazione da parte degli utilizzatori meno familiari con le nuove tecnologie.

Inoltre è considerata fondamentale la pro-attività dei dipartimenti marketing degli operatori nel creare i bisogni nei clienti di certi servizi e soprattutto per far capire il loro valore e la loro utilità. 

 

Dal punto di vista degli operatori le nuove piattaforme consentiranno una riduzione di OPEX (Operational Expenses): attualmente le funzioni di gestione presenze, billing, instradamento delle chiamate e altre sono dedicate, e vengono replicate per ogni servizio generando un sistema molto costoso. IMS permette di riutilizzare le funzioni per tutti i servizi facendo diminuire sensibilmente i costi. Infine grazie ad IMS gli operatori saranno in grado di aumentare la brand loyalty diminuendo così l’alto tasso di churn rate, che rappresenta oggi uno dei maggiori problemi che  influiscono negativamente sui risultati degli operatori. 

 

In un secondo scenario, chiamato “Waterloo“, le parti in gioco investono in IMS ma non ci credono fermamente dal momento che all’interno di molte aziende coinvolte si ritiene che si può fare anche senza IMS. Questa differente visione fa sì che i diversi player seguano strade diverse rendendo difficile il realizzarsi di un’interoperabilità tra dispositivi e tra reti differenti. Il “Time To Market” resta alto per gli operatori tradizionali: 6 mesi contro le 6 settimane dei nuovi entranti che conquistano sempre più market share offrendo servizi poco costosi ma attrattivi, riuscendo a capire e anticipare meglio le esigenze dei clienti. Si resta così ancorati ad un  “pre-IMS word”: gli investimenti sono stati fatti ma il ROI (Return on Investment) risulta insoddisfacente. I terminali con funzionalità IMS anche dopo alcuni anni continuano ad avere un prezzo elevato e non presentano interfacce “user friendly”.

 

Lo scopo degli scenari appena descritti non è tanto di prevedere esattamente cosa succederà nei prossimi anni ma quanto sollevare interrogativi e insinuare dubbi al fine di poter aiutare il processo di decision making così difficile in un ambiente complesso e in rapida evoluzione come quello delle telecomunicazioni.

Quello che però appare il punto cruciale per il successo di IMS è capire se tutte le parti in gioco, incluso i clienti (spesso li dimentichiamo, ma alla fine sono loro che determinano il successo di un prodotto), avranno crederanno e investiranno in questa piattaforma e soprattutto come  saranno capaci di collaborare assieme. In altre parole sarà necessario capire se gli operatori rischieranno per realizzare un progetto che potrà far cambiare il modo di comunicare oppure se preferiranno proteggere i loro investimenti facendo crescere di qualche percento i ricavi in un mercato che sta progredendo a ritmi ridotti.

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