I rifiuti hi-tech occidentali sommergono i Paesi in via di sviluppo. A Nairobi si discute su come bloccare il business dell’e-waste

di Alessandra Talarico |

Mondo


e-waste

La spazzatura elettronica del mondo industrializzato, dai computer dimessi ai televisori e ai cellulari, sta letteralmente sommergendo i Paesi in via di sviluppo.

Non si tratta di strumentazioni che possono essere riutilizzate, ma di veri e propri scarti tossici: una montagna che cresce di 50 milioni di tonnellate all’anno, secondo i dati dell’Unep, l’agenzia ONU per l’ambiente.

 

In un discorso a Nairobi, in occasione dell’apertura della conferenza su “Transboundary Movement of Hazardous Wastes and their Disposal”, il direttore dell’Unep Achim Steiner ha sottolineato la pericolosità di questi rifiuti per l’ambiente e l’uomo.

Vecchi elettrodomestici, computer, telefoni, fax apparecchi radio, tv, videoregistratori, tubi al neon, ma anche trenini elettrici e videogiochi – molto spesso infatti contengono sostanze pericolose che devono essere messe in sicurezza attraverso specifici trattamenti che garantiscono il recupero o il riciclaggio dei materiali in esse contenuti.

 

Secondo il direttore dell’Unep, ogni mese arrivano via mare in Asia e in Africa milioni di tonnellate di rottami di apparecchi elettrici ed elettronici.

Secondo le stime di alcuni gruppi ambientalisti, il porto della città africana di Lagos accoglie ogni mese 400 mila computer usati, provenienti anche da Paesi europei: non solo rottami ma anche computer e televisori in disuso che contengono componenti formalmente qualificabili come rifiuti speciali.

Utilizzando dichiarazioni false, gli apparecchi fuori uso vengono fatti passare per merce usata, eludendo così le prescrizioni relative ai trasporti di rifiuti allo scopo di risparmiare costi di smaltimento elevati.

Montagne di silicio e metallo costellano le maggiori città dei paesi in via di sviluppo, trasformate dalle opulente metropoli occidentali in vere e proprie discariche, nell’indifferenza pressoché totale delle istituzioni.

 

“Se non risolveremo questo problema – ha spiegato Steiner – continueremo a fare come il proverbiale cane che si morde la coda”.

 

L’Unep stima che vengano prodotte 20-50 milioni di tonnellate di rifiuti elettronici l’anno, circa quattromila tonnellate l’ora.

 

Greenpeace ha esaminato le polveri delle fabbriche cinesi dove vengono smantellati i rifiuti elettronici, trovando concentrazioni di piombo centinaia di volte superiori a quelle delle polveri domestiche.

 

Solo negli Stati Uniti, vengono buttati da 14 a 20 milioni di computer all’anno, mentre i Paesi in via di sviluppo triplicheranno la produzione di rifiuti elettronici entro il 2010.

 

Per arginare il problema, dice Steiner, c’è bisogno di aggiornare i programmi di riciclo e promuovere partnership pubblico-privato, come nel caso degli operatori telefonici che, insieme all’ONU, hanno varato un progetto globale sul riciclaggio dei rifiuti tecnologici.

È essenziale, infatti, una collaborazione intensiva e globale per limitare i danni ambientali legati alle sostanze nocive contenute nei telefonini e negli altri apparecchi elettronici e per evitare che iniziative indipendenti portino a un aumento dei prezzi di produzione.

 

I telefonini, in particolare, contengono materiali preziosi (platino, oro, rame, alluminio e magnesio) in larga parte riciclabili e altri molto dannosi (piombo, litio e nichel-cadmio) che possono causare l’asma e il cancro e danneggiare il cervello, il fegato, i reni, il sistema nervoso e quello cardio-vascolare.

 

Il più importante parametro di riferimento internazionale in materia di sicurezza ambientale è la Convenzione di Basilea sul controllo dei trasporti transfrontalieri di rifiuti pericolosi, entrata in vigore nel 1992, e a cui hanno aderito più di 160 Paesi.

 

Nel 2002, alla convenzione hanno aderito anche i maggiori produttori di cellulari: Siemens, LG, Matsushita (Panasonic), Mitsubishi, Motorola, NEC, Nokia, Philips, Samsung, e Sony Ericsson, con l’iniziativa Initiative for a Sustainable Partnership on Environmentally Sound Management of End-of-life Mobile Phones, volta a coinvolgere maggiormente l’industria in una serie di accordi per garantire un corretto smaltimento dei terminali obsoleti. 

 

“Queste partnership sono molto importanti – ha concluso Steiner – ma sappiamo che molto deve ancora essere fatto” per bloccare il business dello smaltimento illegale dell’ewaste.

 

A Nairobi si discuterà proprio di come rafforzare le leggi per evitare di trasformare i Paesi in via di sviluppo nella discarica elettronica del mondo.

Per quanto riguarda il nostro Paese, con il D.lgs n. 151 del 25 luglio 2005 sono state recepite tre direttive comunitarie in materia: la Direttiva 2002/95/CE del 27 gennaio 2003, sulla restrizione dell’uso di determinate sostanze pericolose nelle apparecchiature  elettriche ed elettroniche; la Direttiva 2002/96/CE del 27 gennaio 2003, sui rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche (Raee); la Direttiva 2003/108/CE, che modifica la prima delle due precedenti direttive.

 

Entro la fine di quest’anno, i produttori dovranno provvedere al ritiro ed all’invio ai centri di trattamento (organizzati dai Comuni o da loro stessi) dei Raee oggetto di raccolta separata  ed istituire su base individuale o collettiva, sistemi di trattamento di questi rifiuti, avvalendosi di impianti di trattamento conformi alle disposizioni vigenti in materia.

Entro la stessa data, i produttori dovranno organizzare e gestire sistemi di raccolta separata dei Raee professionali, sostenendone i relativi costi e chi non adempirà a tale obbligo sarà punito con la sanzione amministrativa da 30.000 a  100.000 euro.

 

 

 

27 novembre 2002 – 27 novembre 2006

        

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