Agenda digitale

La vera partita dell’AGID? Il vuoto di policy sul Cloud tra sfide e chiacchiere da bar

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Proteggere i dati degli Italiani oggi ospitati su Cloud: sia questa la priorità del Governo e del prossimo direttore generale dell'AGID

Qualche giorno fa si sono chiusi i termini della presentazione delle candidature per ricoprire la posizione di Direttore generale dell’AGID lasciata scoperta a seguito delle dimissioni di Alessandra Poggiani, scelta dal governo lo scorso luglio, appena otto mesi prima.

Si è trattato di un breve mandato dal quale non è emerso, francamente, alcun elemento di novità.

Non vi è stato alcun cambio di passo capace di decidere soluzioni di policy e strategie nazionali in linea con le esigenze del Paese.

Le uniche cose realizzate sono, in sostanza, quelle precedentemente avviate dalla vecchia gestione di Agostino Ragosa.

In compenso abbiamo Comitati di indirizzo e Digital Champion che “…dicono, guardano, vanno in giro, vedono gente…”.

Il governo ha annunciato di voler scegliere il nuovo DG dell’AGID entro fine aprile.

Siamo certi che tale scadenza sarà rispettata e per questo avanziamo una richiesta. Una sola, per il momento.

Asciutta e secca.

AGID, ma ancor di più il governo, attraverso il ministro Madia, decida subito e prima che sia troppo tardi la politica nazionale in materia di Cloud.

Tutti i nostri dati sono ormai sul Cloud.

Che fine fanno questi dati?

Chi li protegge?

Chi li tutela?

In quali mani sono?

Quali sfruttamenti commerciali alimentano a nostra insaputa?

Quanto diventano strumento di perdita della nostra sovranità nazionale?

L’Italia è uno dei pochi paesi europei a non aver fatto alcuna scelta per proteggere i dati dei propri cittadini oggi ospitati su Cloud.

Comuni, ministeri, Regioni, Province, aziende sanitarie sono libere di far risiederei propri dati dove credono, non dovendo rispondere ad alcuna norma nazionale, dal momento che continuiamo a non averne una.

Uno Stato attento deve far sì che i dati dei suoi cittadini siano in mani nazionali e non diventino preda di aziende private (spesso d’Oltreoceano) che non rispondono, sulla privacy, alle norme nazionali (o europee).

In Germania per i bandi della pubblica amministrazione vige l’obbligo di usare per tutte le operazioni (pubblicazioni, quesiti e invio documentazione) solo siti web e client di posta elettronica che utilizzano solo Cloud tedesco (se ne fregano anche del vincolo di apertura a tutte le aziende europee).

Il risultato è stato quello di un aumento del 40% circa di vittoria di aziende tedesche ai bandi della pubblica amministrazione nazionale, ai danni di grandi aziende extraeuropee.

Indovinate perché…

L’Italia deve decidere prima possibile una politica nazionale di Cloud, che protegga e tuteli i dati dei cittadini italiani ed a cui tutte le amministrazioni pubbliche, centrali e locali, dovranno attenersi.

Com’è possibile che grandi capoluoghi di regione, sistemi informativi di Regioni o aziende ospedaliere, quando non apparati ministeriali, decidano di mettere i loro dati su piattaforme Cloud che non risiedono in Italia o in altri paesi europei, senza che nessuno obietti nulla?

Come impedire una prassi che rischia di consolidarsi in pochi mesi e che oltre che devastare la riservatezza dei nostri dati contribuisce anche alla desertificazione delle competenze informatiche locali?

Il modo c’è ed è uno solo.

Decidere subito una politica nazionale di Cloud che fissi le semplici regole necessarie perché l’Italia diventi un Paese come gli altri, attento alla protezione e tutela dei dati dei propri cittadini, rigoroso nella difesa della propria sovranità nazionale.

Il ministro Marianna Madia faccia scelte coraggiose e superi le resistenze che sono presenti anche all’interno della sua amministrazione.

Se ciò non accadrà, tutto il resto (AGID, banda larga ecc.) sarà parte integrante di una più ampia chiacchiera da bar.