Capitol Hill

Trump “silenziato” da Facebook, Instagram e Twitter. I social salveranno la democrazia?

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Facebook, Twitter e YouTube imbavagliano il Presidente degli Stati Uniti per diverse ore. Censurati i messaggi di odio e le dirette streaming della devastazione e degli scontri seguiti all’assalto del Campidoglio portato a termine dai supporter di Trump. Ma nuovi social daranno spazio alle frange più estremiste americane.

Il Congresso americano a Camere riunite ha certificato a notte fonde in Italia la vittoria democratica alle ultime elezioni presidenziali, proclamando Joe Biden e Kamala Harris rispettivamente Presidente e Vicepresidente degli Stati Uniti, con 306 voti contro i 232 raccolti dai repubblicani.
Ma non è stato facile.

Assalto a Capitol Hill, l’eversione americana

Una proclamazione che è arrivata dopo lunghe ore di paura e tensione crescenti, con i manifestanti “pro-Trump, bandiere e armi alla mano, che hanno preso d’assalto il Congresso, entrando di forza, costringendo i parlamentari alla fuga e quindi alla sospensione delle operazioni di certificazione del voto.

Il susseguirsi degli eventi e le prime drammatiche notizie provenienti da Washington hanno suggerito ai principali social media americani di silenziare temporaneamente i profili ufficiali di Donald Trump, ancora Presidente degli Stati Uniti in carica (anche se in periodo di transizione), che invece di calmare le acque continuava ad incitare la folla contro l’esito del voto popolare, urlando al broglio elettorale e alla frode.

Migliaia di sostenitori (“fan” li hanno definiti i media locali) di Trump, tra cui spiccavano in bella mostra gruppi di estrema destra ben noti a forze dell’ordine ed intelligence (come Proud Boys, QAnon, Boogaloo e Patriot Prayer, solo per citare i più seguiti), hanno travolto le esigue forze di polizia schierate a difesa dell’Istituzione federale e razziato sostanzialmente le aule del Congresso.

Al momento, secondo fonti ufficiali, si registrano 4 morti, decine di feriti tra manifestanti e forze dell’ordine, con più di 50 arresti effettuati.

La reazione dei social media

Prima Twitter, poi Facebook, Instagram e YouTube, si sono visti obbligati a fare qualcosa, visto quello che stava accadendo fuori e dentro quello che i giornalisti di mezzo mondo, compresi i nostri, hanno subito definito “il tempio della democrazia americana” (e non solo americana).

Dietro a tutto ciò il tycoon, The Donald, il più bizzarro e forse eccentrico (e secondo molti, più pericoloso) Presidente della storia degli Stati Uniti che, fin dall’inizio della manifestazione a Capitol Hill, non ha fatto altro che gettare benzina sul fuoco incitando proprio via social tutti alla rivolta contro l’esito del voto democratico del 5 novembre scorso.

Mentre le tv di tutto il mondo passavano le terribili immagini dell’assalto al Congresso, ancora da Twitter, il Presidente Trump scriveva: “L’elezione ci è stata rubata, ma dovete tornare a casa”.

Per rischio di incitamento alla violenza, Twitter si vedeva costretta a silenziare il profilo di Trump per 12 ore, con la minaccia di sospensione a oltranza in caso di nuovi messaggi violenti.

La stessa cosa ha deciso lo staff di Facebook e di Instagram, con una sospensione di 24 ore dei profili del Presidente degli Stati Uniti, a seguito di messaggi ambigui da parte di Trump e il suo team, in cui da una parte si chiedeva ai manifestanti di restare calmi e pacifici, mentre dall’altra li si definiva “patrioti” e li si rassicurava con un “vi vogliamo bene”.

Sempre Facebook, tramite un account ufficiale di Mark Zuckerberg, ha reso noto che “i rischi di consentire al presidente Trump di continuare a utilizzare il nostro servizio durante questo periodo sono semplicemente troppo grandi, quindi estendiamo il blocco che abbiamo posto sui suoi account Facebook e Instagram a tempo indeterminato e almeno per le prossime due settimane“.

YouTube bloccava invece ogni diretta streaming degli scontri e dell’assalto alle aule del Congresso.

Davvero i social media salveranno la democrazia americana?

C’è da avere qualche dubbio. Per tutti i quattro anni di presidenza trumpiana, i messaggi tossici e al limite del razzismo e dell’incitamento alla violenza sono sempre stati veicolati dai principali social media, avvelenando il dibattito pubblico, spaccando l’opinione pubblica e innalzando come non mai il livello di scontro sociale.

La disinformazione pianificata da questi gruppi di estrema destra a supporto di Trump, le fake news che hanno arroventato il clima politico degli ultimi anni, i linguaggi di odio verso tutti coloro che non erano bianchi, americani e cristiani, hanno da sempre trovato un pulpito virtuale proprio nei social media più popolari.

È quanto hanno sostenuto diversi rappresentanti di associazioni e movimenti per i diritti civili e democratici che in seguito ai fatti di ieri hanno voluto commentare le prese di posizione di Twitter, Facebook e altri social media.

Anti-Defamation League, Stanford Internet Observatory e altri gruppi di attivisti democratici hanno puntato proprio il dito contro i social media, accusandoli di lassismo, di opportunismo e scarsa capacità reattiva di fronte alla violenza che emergeva e l’odio che si diffondeva proprio dalle loro pagine.

In una pagina Facebook chiamata “Red-State Secession”, per giorni e giorni, è stata annunciata la chiamata alle armi per il 6 gennaio davanti a Capitol Hill, chiedendo ai suoi migliaia di iscritti di condividere i messaggi di mobilitazione e denunciare pubblicamente, con tanto di foto e indirizzo di casa, tutti i democratici nemici della patria.

Instagram spesso ha ospitato foto di gente che si dichiarava pro-Trump e pronta alla guerra civile, con tanto di armi d’assalto in pugno e munizioni sul tavolo, con su titolato “pronti a usare la forza per difendere la civiltà”.

I nuovi social sovranisti “Trump oriented

Inoltre, quando si parla di social, non ci sono solamente i più celebri, come quelli sopra citati, ma anche una vasta galassia di piattaforme emergenti, che proprio grazie alla nuova ondata politico-culturale di estrema destra hanno preso il volo, come Parler, Newsmax e Rumble.

Nuove pagine social da colonizzare da parte dei supporter di Trump, ormai bannati da Facebook e Twitter, dove poter continuare a diffondere messaggi di odio, di razzismo, di violenza e di fede nazionalista, con tutto il folclore tipico dell’universo nazi-fascista e fondamentalista cristiano (davanti a Capitol Hill, ieri, c’erano decine di persone che cercavano di issare una croce di legno alta una decina di metri).

Anche qui, una grande opportunità di business mascherata da voglia di tutelare la “libertà di parola” e il “diritto di espressione”, che vede queste piattaforme social pronte ad accogliere centinaia di migliaia, se non milioni, di utenti stufi di vedersi censurare da Facebook e Twitter i loro messaggi di odio e violenza.

I social, di nuovo, tornano al centro della storia e quindi del XXI secolo, come un moderno “Giano bifronte”, entità di rete che guardano al passato e allo stesso tempo al futuro.

Da una parte li possiamo considerare portatori di ideali democratici di stampo novecentesco (dai diritti alle libertà civili), facilitatori della discussione pubblica, sostenitori di un più alto livello di confronto sociale e politico, promotori di crescita culturale e di libertà di pensiero.

Dall’altra, però, essi si propongono sempre più come veicoli di conflitto, di odio, di discriminazione, di violenza e di propaganda anti-democratica, della specie più volgare e aggressiva, dando voce e immagine alle tensioni storiche che stanno caratterizzando questo inizio di nuovo millennio.