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Telecom Italia, primo cda con Vivendi. Parte il pressing per cedere Tim Brasil?

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Vivendi rassicura l’Italia delle sue buone intenzioni – “siamo qui per restare…siamo investitori industriali e non solo finanziari”, ha detto ieri de Puyfontaine – ma la linea strategica del socio francese non si è ancora chiara.

Con 4 rappresentanti di peso nel board Telecom Italia, Vivendi – che ieri in assemblea ha segnato una vittoria schiacciante nei confronti dei fondi azionisti e del cda – può ora imporre, come è nelle abitudini del suo presidente Vincent Bollorè, la sua strategia al gruppo italiano.

Bye bye, quindi, al sogno della public company, sfiorato con lo scioglimento di Telco, e benvenuta a quella ‘unità di comando’ evocata più volte nei giorni scorsi dall’ad Arnaud de Puyfontaine e che può prendere ora il potere nel board: un primo assaggio si avrà con il consiglio di oggi, calendarizzato da tempo e con all’ordine del giorno l’approvazione delle linee guida del piano industriale. Piano che, ha ribadito ieri il presidente Telecom Giuseppe Recchi, non subirà variazioni. Almeno questa è l’intenzione del cda Telecom, che però ora dovrà fare i conti con i 4 rappresentanti di Vivendi – il chief executive Arnaud de Puyfontaine, il chief operating officer Stéphane Roussel e il chief financial officer Hervé Philippe, oltre all’indipendente Felicitè Herzog.

Se, da un lato, Vivendi rassicura l’Italia delle sue buone intenzioni – “siamo qui per restare…siamo investitori industriali e non solo finanziari”, ha detto ieri de Puyfontaine – la linea strategica del socio francese non si è ancora palesata con chiarezza.

Tra le ipotesi più accreditate dagli analisti c’è comunque l’uscita dal Brasile: Vivendi potrebbe accelerare le nozze tra Tim Brasil e Oicaldeggiate dal fondo russo Letter One di Mikhail Fridman – per alleggerire il debito di Telecom e ricentrare le sue attività al solo mercato interno. A quel punto, Telecom Italia sarà davvero la preda più appetibile del panorama tlc europeo, in fase di consolidamento.

I più fantasiosi immaginano poi un futuro in cui Orange e Deutsche Telekom arriveranno a inglobare, rispettivamente Telecom Italia e BT (entrambi gli ex monopolisti non hanno, come i loro principali competitor, lo Stato fra i suoi azionisti). Operazioni complicate, certo, e che dovranno vedersela con le autorità antitrust nazionali ed europee. Queste ultime, tuttavia, sembrano prediligere la via del consolidamento paneuropeo piuttosto che quella nazionale, così da creare ‘campioni’ in grado di rivaleggiare con gli OTT americani.

Nel frattempo, in Francia potrebbe consumarsi il matrimonio tra Orange e Bouygues Telecom, col patron di quest’ultima che potrebbe cedere la sua creatura in cambio di azioni dell’operatore storico transalpino: se anche questo scenario si concretizzasse, Martin Bouygues e Vincent Bollorè, una volta sotterrata l’ascia di guerra, potrebbero trovarsi entrambi nel capitale di Orange, che in pancia avrebbe anche Telecom Italia.

Resta su tutti l’incognita Xavier Niel: il patron di Free ha opzioni sul 15% del capitale, che potrà esercitare da giugno del prossimo anno. Rovinerà i piani di Bollorè, lui che si è sempre schierato contro l’establishment,  o giocherà anche lui la carta del consolidamento aggiungendo l’Italia al suo portfoplio, che comprende già Francia, Svizzera e Monaco?