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Social media, il prodotto sei tu (e i tuoi dati)

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Se non paghi il prodotto, il prodotto sei tu e nel caso dei social media i tuoi dati, bene prezioso per gli inserzionisti a caccia di profili per pubblicità sempre più mirate.

Sono 433 milioni gli utenti registrati a LinkedIn (recentemente acquisita da Microsoft per 26 miliardi di dollari), idem (più o meno) per i membri di Twitter, per non parlare del miliardo e 600 milioni di membri di Facebook e dei circa 600 milioni di iscritti a Google+. Numeri da capogiro, che però non spiegano come i social media fanno soldi, visto che usarli per l’utente è gratis.

Ma è davvero gratis?

Se non paghi nulla per il servizio, dove li prendono i soldi?

La risposta è semplice: se non paghi il prodotto, il prodotto sei tu. E soprattutto i tuoi dati, analizzati sotto la lente degli analytics per profilare i tuoi gusti, la tua propensione di spesa e piazzare così la pubblicità più adatta a te, anche in base alle tue abitudini di navigazione online.

Perché il vero business per Facebook & co non è la soddisfazione dell’utente finale, creata peraltro con grande dispendio di mezzi economici, il vero business è quanto tempo i social media riescono a tenere i tuoi occhi in ostaggio degli inserzionisti pubblicitari che ospitano sulle loro pagine. Il business dei social media è la pubblicità.

Una realtà lapalissiana, che vale in primo luogo per la Tv, dove milioni di persone attaccate allo schermo sono la gioia degli inserzionisti. E per i social media il ragionamento è lostesso: più tempo gli utenti restano attaccati allo schermo, più cresce il valore delle loro pagine in termini di inserzioni pubblicitarie.

Nel 2013 l’Arpu (Average revenue per user) di Facebook da pubblicità era pari a 5,32 dollari all’anno, oggi è di “appena” 3,32 dollari e nell’ultima trimestrale l’82% dei ricavi pubblicitari arrivava dal mobile.

Ciò significa che ogni utente vale per Facebook più di 3 dollari, che equivalgono al contributo, molto spesso inconsapevole, che ogni utente dà al business dell’azienda di Mark Zuckerberg.

Facebook non ci pensa nemmeno a far pagare questa somma, 3 dollari, agli utenti finali per l’utilizzo del servizio. Sarebbe un autogol, anche perché molti non accetterebbero di abbonarsi, ma soprattutto perché i soldi veri li fa con la pubblicità.

Il business di Facebook, come quello degli altri social media, non è affatto quello di offrire servizi agli utenti finali, quanto quello di soddisfare gli inserzionisti.

I servizi offerti dai social media agli utenti finali, dalla condivisione dei post ai video alle news in real time alle gallerie fotografiche ecc., servono soltanto per mantenere online potenziali acquirenti dei prodotti pubblicizzati.

Lo dimostra peraltro il fatto che Zuckerberg, nel 2007, ha assunto in qualità di Chef Operating Officer una maga dell’advertising come Sheryl Sandberg, già Vice President di Google, dove ha trascorso 6 anni e mezzo vendendo pubblicità.

Anche le acquisizioni di Instagram (valore circa un miliardo di dollari) e di WhatsApp (19 miliardi per l’acquisto) da parte del Facebook vanno lette in questo senso: accrescere il bacino di potenziali acquirenti interessati ai prodotti pubblicizzati dagli inserzionisti.

C’è da dire che lo stesso meccanismo pubblicitario è quello utilizzato dalla stampa tradizionale e dalla Tv. Ma che i social media hanno ormai preso il largo e rappresentano i media più ambiti dagli inserzionisti, perché il bacino di utenti è in crescita costante e nuovi potenziali acquirenti si aggiungono tutti i gironi.

Più cresce il numero di utenti, più aumenta il numero di inserzionisti disposti a spendere sul sito per vendere i loro prodotti. Un circolo virtuoso che ha fatto la fortuna di Facebook, dei suoi azionisti e degli inserzionisti.