l'intervista

Rete e auto, il nuovo paradigma di sviluppo digitale dell’economia. De Leo: “Europa e Italia potranno giocare un ruolo importante”

a cura di Raffaele Barberio |

Quando ci si troviamo difronte ad un cambio di paradigma come questo, dobbiamo cambiare metodo e metriche di analisi. Sarebbe difficile e, a lungo andare, controproducente pensare di potere fare diversamente. Per ogni generazione, per la nostra così come per quelle che ci hanno preceduto, arriva un appuntamento con la sfida che può ridefinire il futuro a cui andiamo incontro. Questa è la nostra opportunità, non sprechiamola.

Consueto appuntamento settimanale con Francesco De Leo, Executive Chairman di Kauffman & Partners (Madrid), per discutere del cambio di paradigma dell’economia digitale, che sta scaturendo dalla convergenza tra rete e auto, infrastrutture digitali e infrastrutture stradali, con l’automobile che sta diventando la nuova piattaforma di comunicazione privilegiata e capace di produrre una quantità inimmaginabile di dati. E tutto questo in una fase di risacca, di timori per gli effetti della pandemia ancora in corso. Stagnazione o rilancio? Ecco le considerazioni che sono scaturite.

Key4biz. Partiamo dagli avvenimenti dell’ultima settimana. Quale tendenza possiamo individuare?

Francesco De Leo. I dati della scorsa settimana confermano ciò che avvertiamo da qualche tempo. Stiamo entrando, più rapidamente del previsto, in una nuova stagione di innovazione che sta progressivamente riorientando, nella fase post-pandemia, le attese degli analisti e dei mercati. È ancora difficile individuarne l’impatto nel breve e medio termine, ma è sempre più evidente che si stanno rimettendo in gioco equilibri ed assetti che si ritenevano ampiamente consolidati.

Key4biz. Tutti processi che generano inevitabilmente vittime

Francesco De Leo. Ancora una volta a farne le spese sono quelle imprese che in questi 20 anni hanno progressivamente ridotto gli investimenti in innovazione, aumentando la leva finanziaria, con operazioni di buy- back e di distribuzione di dividendi. Hanno attinto a riserve che ora non sono più nelle disponibilità e che a fronte di un cambio di scenario, come quello attualmente in corso, rischiano di creare nei mercati finanziari dei “buchi neri” che difficilmente possono essere assorbiti, senza delle correzioni drastiche di valore. Dobbiamo solo augurarci che la fase di distruzione creativa che si sta delineando all’orizzonte, grazie il ruolo della convergenza fra energia, automotive e reti intelligenti, si materializzi il più rapidamente, per assorbire gli shock che impatteranno sui settori tradizionali.

Key4biz. Si ha la sensazione che stia avvenendo un cambio di passo, per così dire. È così?

Francesco De Leo. Il mondo in cui viviamo si sta improvvisamente “spaccando” in due: da una parte il passato e dall’altra il futuro. E queste dualità tra stagnazione e crescita o tra inflazione e deflazione stanno progressivamente polarizzando i mercati, impattando sui settori chiave delle nostre economie in modo asimmetrico, penalizzando, di frequente senza possibilità di appello, le asset class che non hanno saputo dare segni di rinnovamento. I due fattori chiave sono da un lato la centralità del ruolo dei dati, che trasforma i modelli di business e la struttura interna di settori chiave che hanno guidato lo sviluppo fino ai giorni nostri, e dall’altro l’impatto degli effetti di rete (network effects) che tendono ad amplificare in modo irreversibile la pervasività e la profondità del cambiamento. Come tutte le fasi di trasformazione dobbiamo abituarci a vivere a cavallo fra presente e futuro. E’ una sfida senza precedenti, perché il futuro è alle porte e non lascia margini di recupero, ed il presente rischia di essere una zavorra che rende più laborioso e difficile arrivare in tempo all’appuntamento con la storia. Direi che questa volta ne deriviamo una sensazione più netta, perché la pandemia ha compresso i tempi, dandoci la sensazione di essere costretti ad inseguire il cambiamento, più di quanto abbiamo sperimentato in passato. La magnitudo degli effetti di rete sta mettendo a rischio interi settori industriali e rimette in discussione i metodi di analisi con cui studiamo le trasformazioni che ora fanno parte del nostro vissuto quotidiano.

Key4biz. Quali sono le conferme e quali le sorprese in questo inaspettato cambio di passo?

Francesco De Leo. Direi che ci sono tre dati di fatto che più di altri confermano la transizione in corso verso un ruolo pervasivo della centralità dei dati e degli effetti di rete. Il primo è l’escalation dei prezzi delle commodities, e nello specifico del rame. Il secondo è il gap diventato strutturale fra offerta e domanda di microprocessori, il cosiddetto chip-shortage che sta mettendo a rischio settori chiave delle nostre economie, dalle telecomunicazioni all’automotive. Infine, il terzo è la considerazione che appena alla data dello scorso 29 aprile le criptovalute hanno superato la soglia psicologica dei 2 mila miliardi di dollari (ndr. 2 trilioni di dollari) equivalenti all’ammontare complessivo dei dollari in circolazione negli Stati Uniti. Se consideriamo i tre fattori citati, non possiamo non notare che i primi due sono fra loro collegati, dal momento che il primo è dovuto al processo di elettrificazione del settore automotive e alla necessità di creare le infrastrutture di base necessarie per il suo dispiegamento, mentre il secondo è legato alla progressiva digitalizzazione di interi settori delle nostre economie, che trasformano le infrastrutture da passive/statiche in infrastrutture intelligenti/dinamiche. Ma alla base vi è una sola sfida: la possibilità di creare il sistema nervoso, diffuso e capillare, capace di allargare lo spettro di applicazione dei Big data, grazie ad una capacità senza precedenti di acquisire, filtrare ed integrare quantità di dati che crescono su base esponenziale.

Key4biz. Lei insiste molto sui settori trainanti del cambiamento. In quale prospettiva?

Francesco De Leo. È molto importante valutare quali siano i settori trainanti. Per farsi un’idea, il prezzo del rame ha raggiunto il livello storicamente più elevato dal 2011. Lo scorso venerdì 7 maggio ha chiuso a 10.400 dollari per tonnellata, e si prevede che potrebbe toccare il picco di 15.000 dollari per tonnellata entro la fine dell’anno. Ora, teniamo in considerazione che un veicolo elettrico (EV) necessita di 4 volte la quantità di rame rispetto ad un’automobile con motore a combustione interna e che la rete di colonnine di ricarica, che nei prossimi anni è destinata a diventare parte integrante del nostro paesaggio urbano ed extraurbano, richiede quantità crescenti di rame sia per la sua elettrificazione che per i power grids sempre più estese. Il cosiddetto chip-shortage è l’altra faccia della medaglia. Non c’è prodotto o oggetto che non possa essere trasformato in un nodo, un point of presence di una rete diffusa di sensori. Anche in questo caso, il settore automotive è il catalyst del cambiamento. In un’auto tradizionale si contano in media 12 microprocessori, mentre in un veicolo elettrico se ne contano da 120 a 140, un fattore di crescita pari a 10X. Un numero che è destinato a salire ulteriormente nel tempo, perché l’automobile e le reti stradali intelligenti sono, anzi sono tornate, al centro del cambiamento e sono il nuovo campo di battaglia a livello tecnologico.  Così come si verificò agli inizi del secolo scorso, la centralità dell’automobile è destinata a divenire il motore dell’innovazione delle nostre economie, più di quanto siamo disposti ad accettare. È un processo che sta progredendo in modo irreversibile e che già oggi è il terreno di confronto competitivo fra sistemi-paese, fra Stati Uniti e Cina. Di questo passo il prezzo del rame potrebbe raddoppiare, arrivando a toccare anche i 20.000 dollari a tonnellata, e il chip-shortage potrebbe diventare strutturale. A questo punto verrebbe da chiedersi: e l’Europa dov’è?

Key4biz. In che senso, cosa vorrebbe dire?

Francesco De Leo. C’è un preoccupante ritardo dell’Europa nell’affrontare queste sfide. Si parla molto di transizione energetica, ma ancora troppo poco del vero campo di battaglia a livello competitivo, che va dall’assicurarsi l’approvvigionamento delle materie prime necessarie per l’elettrificazione del settore automobilistico europeo, alla possibilità di colmare il ritardo accumulato in termini di capacità produttiva quando si parla di microprocessori. Stando alle informazioni oggi disponibili, la Cina ha indicato nel suo ultimo Piano quinquennale, il “5 Year Plan”, che la “chip independence”, ovvero la capacità di dotarsi di una infrastruttura propria in grado di assicurarsi l’approvvigionamento di microprocessori, è una priorità a livello di sicurezza nazionale. Il presidente americano Joe Biden si è impegnato a muoversi nella stessa direzione, per assicurarsi la continuità della supply chain nella fornitura di microprocessori, puntando a rivitalizzare parte delle strutture manifatturiere all’interno degli Stati Uniti. A volte non è necessario essere i primi, ma è doveroso studiare le informazioni disponibili e cercare di imparare rapidamente dai migliori. L’unica certezza che abbiamo è che stare fermi significa rimanere indietro. È una partita che si gioca su un “campo grande”, in un settore dove l’entry level, la “puntata” di apertura,per un impianto di base ha un costo di 15-20 miliardi di dollari. E nessun paese in Europa può vincere questa sfida da solo.

Key4biz. Ma l’Europa come può reagire? Cosa dovrebbe fare?

Francesco De Leo. Bisogna partire dalla consapevolezza di fondo che la scarsità di microprocessori è un problema che è destinato diventare strutturale e a durare nel tempo. È una questione di sicurezza nazionale che deve essere affrontata su scala europea. La priorità urgente è quella di stabilizzare la supply chain, impegnandosi in uno sforzo comune con i nostri partner europei. In primo luogo, il ricorso a soluzioni tecnologiche in chiave autarchica o sovranista non risolve il problema di fondo. Al contrario è destinato ad aggravare la situazione ed a metterci progressivamente fuori gioco. In secondo luogo, occorre avere chiaro che si tratta di un trend che è destinato a divenire la caratteristica dominante dei prossimi anni. La digitalizzazione delle infrastrutture di interesse nazionale, a partire dalla rete stradale ed autostradale, è un fattore chiave di competitività a livello di sistema e sta determinando nuove forme di scarsità a cui non eravamo preparati. È un cambio di paradigma che si propaga di settore in settore, con una velocità di contaminazione che è in una certa misura sorprendente. D’altra parte, come cerco di sottolineare in ogni occasione, ogni oggetto fisico, ogni prodotto, ogni veicolo in circolazione si sta trasformando in modo irreversibile in un nodo di una rete distribuita di sensori e quindi il metro di analisi è dato dall’applicazione della Legge di Metcalfe. La velocità di propagazione degli effetti di rete fa sì che “l’utilità ed il valore di una rete sono proporzionali al quadrato del numero degli utenti”. Occorre solo entrare nella prospettiva di oggetti fisici/sensori intelligenti che, per massa critica e distribuzione, contribuiscono a modificare il ruolo delle reti. Quando parliamo di infrastrutture in un’ottica di convergenza, come sta avvenendo con il processo di elettrificazione dell’automobile, stiamo vedendo all’opera l’integrazione fra più reti fra loro interconnesse. Quindi direi che dovremmo ipotizzare che gli effetti della Legge di Metcalfe vengano amplificati di un fattore 3-4 volte superiore. Ma questo è solo il primo passo.

Key4biz. Perché dice che è solo il primo passo?

Francesco De Leo. Perché quando parliamo di cambio di paradigma dobbiamo intenderci. Cambia il terreno di gioco, le regole di ingaggio e le determinanti del vantaggio competitivo. Se ci si fossilizza sul passato, su una visione provinciale del mondo, si rischia di ritrovarsi fuori gioco, senza avere il tempo di accorgersene. Sta già succedendo così da qualche anno nel settore delle telecomunicazioni ed i risultati sono sotto gli occhi di tutti. I numeri non lasciano margini ad interpretazioni. È un settore in crisi e questo è un problema serio a livello di sistema a cui si può cercare di dare una risposta solo in chiave europea. Ma tornando al tema del cambio di paradigma, sono tre le sfide con cui occorre misurarsi. La prima riguarda il cambio di architettura di prodotto, che è reso possibile dall’applicazione pervasiva dell’intelligenza artificiale e dagli effetti di rete. La seconda è un cambio di terreno di gioco che ridefinisce le basi del vantaggio competitivo. La terza è un cambio di velocità in termini di crescita della scala dimensionale. I tre fattori insieme contribuiscono a determinare un salto di qualità in termini di “capital efficiency” ed è su questo parametro che si formano le attese degli analisti e dei mercati. In due parole: velocità e “capital efficiency”. Chi non riesce a stare in gioco a questo livello, si ritrova progressivamente ai margini del mercato. Quello che abbiamo visto accadere in Europa negli ultimi 20 anni nel campo delle telecomunicazioni è una lezione da non prendere sottogamba. Da leader nel mondo con l’affermazione dello standard GSM, l’Europa è passata nelle tlc ad una crisi di sistema ora diventata strutturale. Non fa’ piacere certo a chi si trova spiazzato dal cambiamento, ma così è, e da qui non si torna indietro. Quindi meglio non aspettarsi dei cambi di rotta dell’ultimo minuto, che sono destinati ad infrangersi contro la realtà dei numeri.

Key4biz. Entriamo in qualche dettaglio. Nel caso della transizione alla mobilità di nuova generazione, come si declina il cambio di paradigma?

Francesco De Leo. Nel caso specifico della convergenza fra energia, automobile e reti/infrastrutture intelligenti, cambia l’architettura del prodotto. Un veicolo elettrico ha un numero di parti straordinariamente inferiore a quello di un’automobile con motore a combustione interna, ed è pensato “ab origine” come una piattaforma “intelligente” capace di interagire con l’ambiente circostante e con gli altri veicoli in circolazione. Con queste specifiche tecniche è in condizioni di generare una quantità di dati che tende a crescere in modo esponenziale, con il quadrato dei veicoli elettrici in circolazione. Un quadro del tutto differente rispetto alle automobili con motore a combustione, che non dispongono del “telaio” data-centric dei veicoli elettrici di nuova generazione. In primo luogo, il fatto di essere pensato come nodo di una rete di sensori, con un’architettura data-centric, consente di migliorare le performance di un veicolo elettrico, con upgrade continui da remoto, ovvero “Over the air” (OTA).  Nell’arco di tempo fra ottobre 2018 e dicembre 2019, quindi in poco più di un anno, Tesla è intervenuta 14 volte sulle proprie auto, più di una volta al mese, con una serie di upgrade da remoto (over the air) sul parco macchine in circolazione della Model 3. Si stima che una Model 3 messa su strada tre anni fa abbia migliorato ad oggi le proprie performance di un 30%, rispetto al primo giorno di introduzione sul mercato. In secondo luogo, il terreno di confronto a livello competitivo si sposta dalla meccanica all’intelligenza artificiale, dal motore a combustione ai microprocessori disegnati su specifiche ad hoc, e quindi alla performance e durata delle batterie, che costituiscono da sole circa il 30% del totale dei costi. Non è un cambio da poco, perché azzera di colpo le barriere all’ingresso che hanno contribuito ad ingessare il settore, considerato oggi dagli investitori come un’asset class matura. In terzo luogo, la semplificazione dell’architettura di prodotto consente di scalare la dimensione in termini di volumi, molto più rapidamente di quanto fosse inizialmente prevedibile. Tesla è stata in grado di costruire a Shanghai una Gigafactory in soli 12 mesi, arrivando a produrre 3.000 veicoli alla settimana a soli tre mesi dall’inaugurazione della fabbrica. Per avere un termine di paragone, Toyota nel suo sito produttivo in Texas ha impiegato 4 anni per raggiungere volumi comparabili a quelli che Tesla ha raggiunto in soli 12 mesi a Shanghai. La semplificazione dell’architettura di prodotto, il numero ridotto di parti meccaniche in movimento e la velocità con cui si può scalare la produzione hanno come diretta conseguenza un miglioramento complessivo in termini di “capital efficiency”. Se si analizzano i produttori di automobili tradizionali come Ford, Volkswagen-Audi o Toyota, emerge che l’investimento in capitale fisso necessario per produrre ogni unità sia salito nel corso degli ultimi anni: oggi si assesta intorno ad un valore di 14 mila dollari per unità prodotta, che in linea di tendenza dovrebbe crescere fino a 16 mila dollari nel corso del prossimo biennio. Nel caso di Tesla avviene il contrario. Si valuta che gli immobilizzi di capitale fisso per unità prodotta siano assestati intorno ai 10.400 dollari, con una tendenza a scendere progressivamente verso i 7 mila dollari. Si tratta, a tendere, di un 50% in meno rispetto ad un produttore tradizionale. La semplificazione dell’architettura di prodotto, la riduzione del numero di parti meccaniche in movimento, la possibilità di migliorare le performance e l’efficienza del parco veicoli in circolazione con download di software da remoto “over the air” e la velocità con cui si può scalare la produzione determinano una superiorità difficilmente replicabile nell’allocazione del capitale, che è destinata a consolidarsi ulteriormente nel tempo. Quando ci si troviamo difronte ad un cambio di paradigma come questo, dobbiamo cambiare metodo e metriche di analisi. Sarebbe difficile e, a lungo andare, controproducente pensare di potere fare diversamente.

Key4biz. Perché è così rilevante la convergenza fra energia, automotive e reti intelligenti?

Francesco De Leo. In una certa misura è qualcosa di totalmente nuovo, che ribalta molte delle certezze che davamo per scontate, come la supremazia dei produttori tradizionali di automobili, che sembrava non potere essere rimessa in discussione da nuovi protagonisti, come nel caso di Tesla. Ricordo solo che le più autorevoli case di investimento hanno iniziato a darne copertura solo dopo che, l’anno passato, Tesla aveva superato i 500 miliardi di dollari di capitalizzazione. Quindi si tratta, almeno in parte, di un effetto sorpresa. Tuttavia, molto di quello che stiamo osservando oggi come risultato della convergenza fra energia, automotive e reti intelligenti, è qualcosa che abbiamo già vissuto negli ultimi anni nel settore della telefonia mobile, con l’introduzione dell’I-phone. Se partiamo dall’ipotesi di fondo che ci troviamo di fronte ad un cambio di paradigma, allora occorre ripensare i nostri modelli di analisi e le metriche che utilizziamo per valutarne l’impatto economico-finanziario. In primo luogo, con l’automobile che diventa una piattaforma di servizi applicativi sempre più simile a quanto viene offerto da un I-phone, dovremo concentrare l’attenzione non tanto sul numero di unità prodotte, quanto piuttosto sulla base installata, sul numero di utilizzatori attivi, su quante volte viene eseguito un download di nuove applicazioni, e sui servizi che di volta in volta vengono resi disponibili. Per avere un’idea, quando il numero di I-phone sul mercato quasi raddoppiò da 490 milioni a 920 milioni fra il 2012 e i 2018, i ricavi da servizi legati all’Apple Store, ICloud, Apple Pay, Apple Music, Apple TV Plus quadruplicarono. Anche in questo caso si tratta di effetti di rete. Se passiamo da una prospettiva legata al numero di unità prodotte, come è stato fino ad oggi il settore dell’automobile, ad un’analisi dell’automobile come nodo di una rete intelligente, cambiano anche i criteri di analisi e valutazione. Quindi cambiano anche i valori in gioco. Si stima che una Tesla Model 3 dopo 3 anni mantenga un valore prossimo al 87%, anche per la possibilità di continuarne a migliorarne l’efficienza e la performance con upgrade da remoto, “over the air”: mentre per una BMW Serie 3 stiamo parlando di un valore intorno al 57-60%. Le sole batterie di una Tesla potrebbero avere a fine ciclo (ndr. 10 anni) un valore residuale di 15 mila dollari, perché se ne può ipotizzare la riconversione ed utilizzo da parte delle aziende elettriche (ndr. utilities) come back-up in caso di picchi di consumo sulla rete. In termini comparativi, una BMW Serie 7 o una Mercedes Class S dopo 10 anni, con un numero di chilometri equivalente, avrebbero un valore residuale fra il 40-70% del valore del “battery pack” di una Tesla Model 3.

Key4biz. Si direbbe che la crescita esponenziale dei dati legati all’uso quotidiano dell’automobile potrebbe modificare anche settori attigui a quello automobilistico?

Francesco De Leo. Non è semplice, né immediato cogliere le implicazioni dei Big data generati dall’utilizzo di veicoli elettrici di nuova generazione, perché è difficile quantificarne i “network effetcs”. Un fatto è certo: uno dei settori in cui è più probabile che Tesla potrebbe decidere di entrare è quello assicurativo delle polizze auto. Già oggi Tesla dispone di un vantaggio competitivo, perché ha disponibile una base di dati in crescita esponenziale, che può consentire modalità di “pricing” dinamico ed in prospettiva pay-per-use e location/time/traffic-specific, grazie alla granularità dei dati di transito accumulati nel tempo sull’intero universo del proprio parco macchine in circolazione. Se si dovesse ipotizzare che Tesla potrebbe essere in condizioni di indirizzare verso il 40% della propria clientela un pacchetto assicurativo proprietario, personalizzato, con margini superiori agli operatori tradizionali del settore (per via della capillarità dei dati di utilizzo), si può immaginare che solo negli Stati Uniti potrebbe acquisire 20-25 miliardi di dollari di ricavi addizionali con margini superiori al 40% entro il 2026, in soli 5 anni da oggi. Difficile fare altrettanto senza avere a disposizione una base di dati equivalente, cosa che molti dei concorrenti tradizionali di Tesla impiegheranno tempo per replicare.

Key4biz. Quale sarà l’impatto dei “Big data” generati dalla convergenza fra energia, automotive e infrastrutture su reti stradali ed autostradali?

Francesco De Leo. La mobilità di nuova generazione, legata all’elettrificazione del settore automotive, ha bisogno di una rete autostradale “intelligente” in grado di integrare una molteplicità di reti di trasporto e di accesso ai dati generati in modo esponenziale dai veicoli in movimento, con una granularità che solo qualche anno fa non era possibile immaginare. Al Computer Science Department della UCLA (University of California Los Angeles) già 20 anni fa si stava lavorando a ripensare lo sviluppo delle reti autostradali, per ovviare principalmente ai problemi di traffico di Los Angeles ed in particolare alla congestione dell’Interstate 405, che collega Los Angeles a San Diego. A capo del Computer Science Lab c’era un professore italiano, Mario Gerla, che insieme con il suo team, di cui faceva parte anche Giovanni Pau (che oggi si divide fra l’Università di Bologna e l’Università Marie Curie a Parigi), stava sviluppando una nuova area di ricerca legata allo sviluppo di “ad hoc networks” e della possibilità di esplorare lo studio di modalità di “car-to-car-communications”.

Key4biz. Un bel riferimento agli italiani di successo nella ricerca sul tema alla University of California. Ma a quali conseguenze visibili andremmo incontro in Italia

Francesco De Leo. Sono passati quasi 20 anni e, grazie ai progressi fatti nel campo delle applicazioni dell’intelligenza artificiale e del machine learning, quella visione che si sta realizzando sotto i nostri occhi ha immediati campi di applicazione anche in Italia. Provate ad immaginare il traffico nell’ora di punta di un’autostrada italiana, come la A4, che collega Milano a Padova, passando per Brescia e per Verona, forse il tratto autostradale in assoluto più importante per la competitività dell’Europa nel suo insieme. Grazie ai dati a disposizione sarebbe possibile segmentare il mercato e creare delle corsie preferenziali “ad hoc” che prevedono tempi certi di percorrenza. Con gli strumenti analitici oggi a disposizione, si può ipotizzare di applicare modalità di pricing dinamico per quei clienti che hanno bisogno di ridurre i tempi di percorrenza nelle ore di punta, “isolando” delle corsie dedicate, entro le quali si può attivare la guida autonoma di livello 3, “agganciando” la rete intelligente di quel tratto di autostrada con modalità di “egde computing”, in grado di condurre i veicoli da punto a punto, fino a destinazione. Con la capacità di calcolo oggi disponibile a costi accessibili e con i sistemi adattativi della guida semi-autonoma sarebbe possibile già oggi fare viaggiare le automobili come se fossero un unico “convoglio”, a velocità più elevate di quelle oggi raggiungibili nelle ore di punta, con una riduzione sensibile del numero di incidenti. Mario Gerla aveva ipotizzato che utilizzando modalità simili si poteva elevare significativamente la velocità media di percorrenza e “fluidificare” il traffico, con un impatto senza precedenti sull’ efficienza della rete autostradale e sulla produttività complessiva del sistema industriale. Sono passati 20 anni, e quella visione non è solo attuale, ma realizzabile in concreto. Sono abbastanza sicuro che, se per ipotesi facessimo un sondaggio sulla disponibilità a pagare un prezzo più elevato per un tragitto come Milano-Brescia sull’A4 nell’ora di punta, potremmo anche immaginare modalità di “aste dinamiche” (ndr. dynamic auctions) perché la domanda supererebbe l’offerta. In sintesi, le nostre autostrade sono prossime ad una trasformazione senza precedenti, che può rimettere in corsa il nostro Paese verso posizioni di leadership tecnologica: occorre solo ritrovare la volontà e la determinazione a misurarsi con grandi sfide, rilanciando una nuova stagione di alleanze con i nostri partner storici in Europa. Si gioca in un “campo grande” e da soli siamo troppo piccoli per avere qualche ragionevole speranza di tornare ad essere competitivi. La posta in gioco e le risorse necessarie per affrontare il cambio di paradigma verso cui andiamo incontro ci devono portare a riflettere su come rilanciare una stagione di innovazione in una prospettiva europea.

Key4biz. Siamo ancora in tempo? Sia sincero…

Francesco De Leo. Siamo sempre in tempo per fare scelte migliori. Per chi di noi ha avuto la possibilità di lavorare a fianco di Mario Gerla, che insieme con Vint Cerf, oggi Vice-President e Chief Evangelist di Google, contribuì a creare a UCLA uno dei nodi chiave della rete ARPANET (Advanced Research Projet Agency Network), l’importante è continuare a sforzarsi di “immaginare l’inimmaginabile”. Dobbiamo solo fare tesoro delle intuizioni e del lavoro fatto da chi ci ha preceduto. Ho incontrato molte generazioni di ricercatori italiani al Computer Science Department di UCLA, e non sta a me dirlo, ma molti dei docenti italiani di quel Computer Science Department sono convinti che siano tra i migliori al mondo. Dobbiamo solo assicurarci di potere offrire alle nuove generazioni la possibilità di dimostrare il proprio talento e non ne saremo delusi. La trasformazione delle infrastrutture e delle reti in “information super highways” è la sfida che può partire dall’Italia per rilanciare la centralità dell’Europa nella competizione fra sistemi-paese con Stati Uniti e Cina. Ho in mente una frase di Pablo Picasso: “Gli altri hanno visto quello che c’è già e si si sono chiesti perché. Io ho visto ciò che potrebbe essere e mi sono chiesto perché no”. Per ogni generazione, per la nostra così come per quelle che ci hanno preceduto, arriva un appuntamento con la sfida che può ridefinire il futuro a cui andiamo incontro.

Questa è la nostra opportunità, non sprechiamola.