Lo studio

Rame inospitale per il coronavirus, il suo utilizzo raddoppierà nelle smart home dal 2021

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Ottimi risultati dall’acciaio e il cartone, ma il rame è il materiale che più di tutti è in grado di azzerareo la capacità infettiva del covid-19, in sole 4 ore. Il suo utilizzo nelle case intelligenti crescerà ad un tasso medio del +32% da qui al 2030, impiegandone a livello globale oltre 1,5 milioni di tonnellate l’anno.

In un nuovo articolo pubblicato su MedicalFacts da Roberto Burioni, Professore Ordinario di Microbiologia e Virologia all’Università Vita-Salute San Raffaele di Milano e noto in questa pandemia per la sua attività divulgativa in televisione, si cerca di capire quale sia la resistenza del coronavirus sulle superfici degli oggetti e allo stesso tempo quali siano quindi i materiali migliori per depotenziare il più rapidamente possibile la sua capacità infettiva.

Lo studio

Dagli studi in laboratorio, è emerso che sono quattro i materiali più adatti ad abbattere la capacità del covid-19 di infettare gli esseri umani: rame, cartone, acciaio inossidabile e plastica. In particolare, si legge nell’articolo, “i materiali più “inospitali” per il virus sono risultati essere il rame e il cartone, con un dimezzamento della capacità infettiva in meno di due ore per il primo materiale e entro 5 ore abbondanti nel caso del secondo. Un abbattimento completo dell’infettività è stato osservato rispettivamente dopo le 4 ore per il rame e le 24 ore per il cartone”.

Il rame quindi è in grado, più di qualsiasi altro materiale noto 8 o preso in considerazione dai ricercatori), di dimezzare velocemente la capacità infettiva del virus, in meno di due ore, depotenziandone totalmente gli effetti in circa 4 ore.

Non male anche la performance dell’acciaio inossidabile, dove però la carica infettante risultava dimezzata solo dopo circa 6 ore, mentre per osservare un completo azzeramento dell’infettività ne servono almeno 48 di ore.

Rame ed acciaio che vedono aumentare notevolmente il loro utilizzo nel settore delle costruzioni di nuova generazione, soprattutto smart home e smart buildings.

Rame nelle smart home

Secondo uno studio pubblicato dall’ International copper association (Ica), si stima che l’utilizzo del rame raddoppierà nel mercato smart home già dall’anno prossimo, mentre il suo impiego a livello mondiale nel settore è calcolato attorno 1,5 milioni di tonnellate l’anno entro il 2030.

Il tasso di crescita composto annuo (Cagr 2018-2030) dovrebbe attestarsi sul +32% lungo il prossimo decennio.

Il rame è un materiale fondamentale soprattutto per i sistemi smart home, che potrebbero arrivare a 1.600 milioni di istallazioni entro il 2030 (dai 177 milioni del 2018). Si tratta principalmente di piattaforme di gestione dei device e dei servizi connesse in rete, interruttori (switche), router, impianti elettrici (wiring), batterie e sistemi di accumulo, più altri apparecchi elettronici dell’architettura smart home e smart meter.

Sostenibilità

Il rame è facilmente riciclabile, secondo stime dello European Copper Institute: “si calcola che l’80% di quello estratto fin dall’antichità sia tutt’oggi ancora in uso sotto varie forme. Nell’anno 2000 il 50% del fabbisogno italiano di rame (compreso quello contenuto nelle leghe) è provenuto dal riciclo”.

Dal 1990 ad oggi, sono state prodotte 550 milioni di tonnellate di rame di cui due terzi completamente riciclate e oggi ancora in uso. In media, 50 kg di rame procapite.

Il riciclo ed il riuso del rame, si legge in un rapporto Eci, copre un terzo della domanda mondiale. Il riciclo industriale del rame consente l’85% di risparmio energetico in più rispetto alla produzione primaria, che tradotto in termini ambientali significa evitare l’emissione di 40 milioni di tonnellate di CO2, quanto generato da 16 milioni di automobili.

C’è sempre da ricordarsi, però, che il rame è un minerale e come tale va estratto, con grave stress ambientale e spesso violazione dei diritti dei lavoratori, con pesanti ricadute sugli ecosistemi e le comunità che li abitano.

Costi umani e ambientali

Devastazioni ambientali, violazione dei diritti umani (in particolare delle popolazioni indigene locali), sfruttamento di lavoro minorile, inquinamento delle falde acquifere, corruzione, cancellazione di interi ecosistemi (fondamentali per la nostra salute e il nostro benessere), sono solo alcuni dei problemi legati all’estrazione intensiva di minerali dal sottosuolo, ci ha ricordato l’ultimo Rapporto pubblicato dal Business & Human Rights Resource Centre.

Cobalto, litio, manganese, nickel, rame, zinco, sono i principali in lista, impiegati soprattutto per la fabbricazione di auto elettriche, turbine eoliche, pannelli fotovoltaici, device elettrici ed elettronici e altri componenti.

Materie prime sempre più rilevanti per l’economia globale ad alto contenuto tecnologico e per la transizione ad uno scenario di piena decarbonizzazione o “100% green oriented”, ma dall’altissimo costo ambientale e umano da tenere costantemente presente ogni volta che se ne parla.