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Perché un museo pubblico dovrebbe considerare gli NFT: rischi ed opportunità nel metaverso

di Paolo Zagaglia, Professore di Economia Unibo |

Perché un direttore di un museo dovrebbe considerare l'idea di portare le mie opere in un 'universo parallelo' che funziona in modo diverso da quello reale?

La digitalizzazione delle attività dei musei italiani è parte di un processo già consolidato. Tutti i musei hanno un sito web, spesso con immagini e descrizione delle opere d’arte. Molti di essi fanno marketing digitale e offrono biglietti o gadgets online. Esperienze di realtà aumentata sono talvolta disponibili. In sostanza, i musei italiani sono già presenti nel ‘metaverso’ digitale. E tutto questo è valido anche per i musei che appartengono al settore pubblico.

Ma il mercato corre veloce. Ed il metaverso è ora costituito anche da NFT, che vengono ormai venduti anche Christie’s and Sotheby’s. Ci potremmo aspettare che le collezioni presenti proprio nei musei pubblici del nostro paese possano diventare oggetto di attenzione da parte dei players internazionali per progetti riguardanti gli NFT.

In questo articolo, consideriamo il problema decisionale che può emergere da tutto questo dalla prospettiva del direttore di un museo pubblico. Perché un direttore di un museo dovrebbe considerare l’idea di portare le mie opere in un ‘universo parallelo’ che funziona in modo diverso da quello reale? Quali obiettivi e funzioni di un museo possono essere espletate tramite gli NFT? Possono emergere meccanismi di competizione o complementarietà con le mie attività nel mondo reale?

Funzioni dei musei pubblici e funzione degli NFT

Partiamo da tre considerazioni di ordine generale. Innanzitutto, per un museo pubblico, il perseguimento del profitto non è fine a sé stesso, ma è funzionale ad obiettivi finali di benessere collettivo, stabiliti dal legislatore. Il secondo punto: un museo pubblico pone in essere – per sua costituzione – attività di conservazione e divulgazione del patrimonio culturale. Infine, la terza considerazione: un NFT è diverso dagli altri ed identifica – poiché ne è legato – un oggetto digitale. Tutto ciò che avviene ad un NFT viene tracciato nel ‘libro mastro’ della blockchain – in origine, Ethereum.

Supponiamo che il direttore di un museo decida di digitalizzare l’immagine di un’opera reale – disponibile nei locali del museo – e creare un NFT. Questo NFT può essere conservato o scambiato con criptovalute. L’accesso e la copia dell’opera digitalizzata possono essere aperti a chiunque – per esempio, riutilizzate per un sito web -, oppure possono essere limitati al solo soggetto che ha la proprietà dell’NFT. Per l’utilizzazione o l’accesso all’immagine digitalizzata, il museo può essere remunerato in criptovaluta – anche in funzione del numero di accessi al file digitale.

A prima vista, tutto questo pare coniugarsi bene con le funzioni di conservazione e diffusione dell’opera – e non soltanto nel metaverso. Vi è consistenza anche con la possibilità di ottenere risorse economiche – in criptovaluta – tramite la vendita dell’NFT, senza toccare l’opera nel mondo reale. Si potrebbero anche creare e vendere – tramite NFT – opere puramente digitali utilizzando l’immagine digitalizzata dell’opera reale, in un’operazione che genererebbe ricavi per il museo. Inoltre, nell’attuale fase di boom delle criptovalute, aprirsi al metaverso può alimentare la creazione di comunità di visitatori online, generando interesse nelle opere in esposizione nel museo reale. Dunque, la mera partecipazione al mercato degli NFT può diventare un ulteriore strumento di marketing digitale per la promozione dell’attività museale.

In breve, l’apertura al metaverso tramite gli NFT non richiede necessariamente la vendita di un NFT sulle immagini delle opere di un museo. E può comunque portare all’accesso a fonti esterne di vantaggio economico in modo compatibile con la missione principale di un museo pubblico. 

Solo vantaggi economici? Non c’è ‘pasto gratis’

Potrebbe sembrare che vi siano solo vantaggi certi in per un ‘progetto NFT’. Ma che cosa occorre fare per generare un NFT? Che cosa succede, in pratica? Tutto ha origine con la creazione di uno ‘smart contract’: un contratto ‘digitale’ che assegna i diritti di proprietà a chi lo ha creato e che stabilisce le regole della successiva gestione dell’NFT stesso – per esempio, per la sua vendita. Lo smart contract viene ‘eseguito’ generando istruzioni software che producono informazioni. Tali informazioni prendono forma in un NFT. Queste vengono aggiunte alla blockchain in cui l’NFT viene gestito. Nel compiere la sequenza di operazioni, la catena a blocchi ‘certifica’ o ‘valida’ le informazioni e le registra in modo permanente. In altre parole, la blockchain registra l’NFT in capo al soggetto che lo ha creato – assegnandolo al suo ‘portafoglio virtuale’ -, producendo un effetto che non può essere cambiato. Va ricordato che tutte le operazioni di trasferimento che avvengono in una blockchain sono pubbliche – cioè osservabili da chiunque.

Dopo questa discussione, diviene più chiaro che creare un NFT significa pensare in termini di un ‘progetto’: l’accesso ad un nuovo mercato richiede la pianificazione e valutazione di scelte diverse. Ed ogni progetto porta con sé dei costi – impliciti o espliciti – pianificazione, realizzazione e di entrata nel mercato.

Per validare un NFT, occorre sostenere i cosiddetti ‘gas fees’: si tratta di costi espressi in criptovaluta che derivano dall’uso delle reti di computers sulle quali la blockchain opera. La scelta della blockchain o del marketplace su cui riporre l’NFT richiede una comprensione adeguata degli aspetti delle diverse opzioni: dunque, richiede tempo che potrebbe essere dedicato ad altre attività. E questa considerazione rimane valida anche in sede di definizione degli obiettivi da raggiungere con un progetto. Il caso in cui il direttore di un museo pubblico venga approcciato da soggetti del settore privato che si occupano di progetti NFT non è esente dai ‘costi opportunità’.

Dalle esperienze di digitalizzazione al metaverso

Abbiamo già detto che l’accesso al metaverso permette offrire una fruizione del patrimonio culturale disgiunta dal luogo fisico. Ma le esperienze di digitalizzazione italiana tendono spesso a puntare verso qualche forma di ‘digital divide’ – e questo rimane vero anche per l’attività museale. Se l’utilizzo degli NFT consente di creare fruizione non facilmente comprensibili o a cui le persone non hanno ampio accesso, allora un problema di accessibilità digitale può emergere. Ed una parte della comunità può preferire continuare a visitare la struttura museale.

Ampliare la comunità di utenti e visitatori di un museo costituisce lo scopo ultimo del marketing digitale. E l’accesso al mercato NFT può contribuire alla visibilità dell’istituzione museale. Allo stesso tempo, la realizzazione di un progetto NFT poggia sulla presenza di una comunità di supporto. Per esempio, i visitatori degli eventi museali organizzati nel mondo reale possono diventare collezionisti nel metaverso tramite l’acquisto di NFT. E la presenza di un pool di potenziali acquirenti può spingere proprio il museo a portare le proprie opere in formato digitale sulla blockchain.