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Net neutrality: a che punto siamo? Nella Ue attese le mosse di Oettinger, negli Usa è guerra tra telco e FCC

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Negli Usa gli operatori si oppongono all'eventualità che internet venga classificato come un servizio pubblico. Nella Ue, dopo il nulla di fatto della presidenza italiana, si guarda alle mosse della nuova Commissione.

Le maggiori società telefoniche americane si stanno mobilitando contro la proposta della FCC di regolamentare internet come un servizio pubblico. La proposta del presidente dell’Autorità, Tom Wheeler, include di fatto anche i dati che viaggiano sulle reti, che le aziende del settore vorrebbero invece mantenere separati da eventuali regole sulla net neutrality.

Riclassificare la banda larga come un servizio di pubblica utilità – quindi portarla, al pari dei servizi di telecomunicazione, sotto il Title II del Telecommunications Act del 1934 – è un passaggio che le associazioni dei consumatori ritengono di estrema urgenza, data l’importanza crescente della banda larga, ormai comparabile per utilità a quello che erano i servizi telefonici nel secolo scorso.

Ma gli operatori telefonici si oppongono a questa eventualità, che implicherebbe di dover sottostare a rigide norme sulla net neutrality: le aziende tlc sottolineano che non hanno alcun interesse a bloccare i contenuti di chicchessia, ma vogliono essere liberi di sviluppare nuovi servizi specializzati, che permetterebbero, ad esempio, alle aziende che offrono servizi sanitari di pagare un extra per avere una priorità. Gli operatori temono anche che il Title II darebbe alla FCC facoltà di regolamentare i prezzi dei servizi o di chiedere agli operatori di rivendere servizi di accesso a internet ai rivali sulle loro reti.

A dicembre era stato lo stesso presidente Obama a chiedere alla FCC di regolamentare internet come un servizio pubblico: un passo non certo solito visto che il regolatore delle tlc è per sua natura indipendente dal potere politico, o almeno dovrebbe esserlo.

Le proposte di Wheeler dovrebbero essere messe ai voti alla fine di febbraio.

Anche in Europa il dibattito sulla net neutrality è acceso: il Parlamento ha approvato un testo molto rigido, che impedirebbe alle aziende telefoniche di offrire servizi specializzati in maniera prioritaria. La presidenza italiana, nei sei mesi a sua disposizione (terminati a luglio) ha tentato una mediazione, proponendo di rimuovere le definizioni di ‘net neutrality’ e ‘servizi specializzati’ e di permettere l’uso di misure di gestione del traffico in grado di bloccare, rallentare, alterare, degradare o discriminare specifici contenuti, applicazioni o servizi solo in 4 casi: “ordine del tribunale e obblighi legislativi; sicurezza e integrità della rete; controllo di congestione temporanea; su richiesta di un utente”.

Ma non si è riusciti a giungere a un compromesso e la palla passa ora alla nuova Commissione Juncker.

In Italia, il sottosegretario alle comunicazioni Antonello Giacomelli, si è accodato a Obama, sottolineando che l’accesso alla rete “è un bene essenziale, un servizio universale e chi meglio dell’Europa, che ha nella sua storia e nella sua cultura l’affermazione del servizio universale, può promuovere l’accesso alla rete come moderno diritto universale delle persone?”.

Per questo, la presidenza italiana aveva proposto di definire la rete un servizio universale, intervenendo con una regolamentazione che garantisca parità di condizioni tra telco e Ott e assicuri che gli accordi commerciali, laddove fossero concessi, non creino svantaggi agli utenti finali.