l'analisi

Net neutrality: le 4 lacune che non la rendono neutrale

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A quanto sembra, l’Europa non sarà più schiava di roaming e avrà delle regole sulla neutralità della rete. Questo però è un risvolto della medaglia, che quasi acceca l’ignaro consumatore e non lo mette di fronte a quelli che sono le quattro scappatoie che renderanno il nuovo internet non più tanto libero.

È stato definito un risultato ‘storico’ quello di ieri, sull’approvazione da parte dell’UE del pacchetto Telecom, che abolirà il roaming per giugno 2017 e introdurrà nuove regole sulla net neutrality. Tutto bene fin qua, ma per esperti, aziende del settore e associazioni dei consumatori ci sono 4 scappatoie nella legislazione approvata che rendono la net neutrality in Europa tutt’altro che neutrale.

Il Parlamento ha finalmente votato martedì e con 500 voti a favore e 163 contrari l’Europa non sarà più schiava di roaming e avrà delle regole sulla neutralità della rete. Questo però è un risvolto della medaglia, che quasi acceca l’ignaro consumatore e non lo mette di fronte a quelli che sono alcuni dei risvolti tecnici o postille che sono, oramai, passate all’interno di questo ‘storico’ pacchetto.

Martedì, infatti, il Parlamento ha bocciato gli emendamenti che avrebbero posto rimedio a queste 4 scappatoie legislative, creando un pericoloso precedente per l’Europa.  Quello infatti che si critica maggiormente al pacchetto Telecom è proprio il fatto che a livello di internet aperto, queste postille lascerebbero un ampio spazio di manovra agli operatori e potrebbero minare il vero principio della net neutrality, ovvero l’accesso libero alla rete.

Nel particolare, ecco quali sono le problematiche ed ecco come gli emendamenti -che non sono passati- le avrebbero risolte:

  • Corsie preferenziali: Il pacchetto consente ai fornitori di servizi Internet (ISP) di creare corsie ‘preferenziali, quindi più veloci di altre, che danneggerebbero le start-up, le piccole imprese in tutto il mondo. L’emendamento proposto avrebbe chiuso questa scappatoia sui, così detti, servizi specializzati che rendono possibili queste corsie preferenziali.
  • Zero-rating: è la pratica da parte degli operatori di reti mobili (MNO) e fornitori di servizi Internet (ISP) di non far pagare ai clienti finali i dati utilizzati da specifiche applicazioni o servizi Internet attraverso la loro rete. Dei servizi, per così dire, tutelati che danneggiano la concorrenza, l’innovazione, e la libertà di parola. In questo caso l’emendamento prevedeva di dare agli Stati membri la libertà di adottare norme più rigorose che potessero limitare questa pratica dannosa.
  • Discriminazione: La proposta consente agli ISP di definire classi (gruppi) in cui ascrivere siti web e accelerare o rallentare il traffico in quelle classi, anche in assenza di congestione. Ciò significa che gli ISP possono apertamente discriminare determinati siti web, falsare la concorrenza, soffocare l’innovazione, danneggiare gli utenti, e colpire tutto quello che è il traffico crittografato, semplicemente spostandolo nella corsia (internet) lenta. Gli emendamenti avrebbero potuto rimuovere le capacità degli ISP di discriminare tra classi di siti e servizi.
  • Congestione imminente: Per ultimo, la proposta consente inoltre agli ISP di rallentare il traffico in qualsiasi momento se si presenta una situazione di ‘congestione imminente’. Il che da pieni poteri ai fornitori di decidere quando e se rallentare il traffico di dati in base alle loro esigenze.

A niente quindi sono serviti gli appelli mossi dagli esperti e guru come Tim Berners-Lee o l’esperta in net neutrality alla Stanford University, Barbara van Schewick, ma anche da aziende del settore come BitTorrent, Cogent, Etsy, Foursquare, Kickstarter, MeetUp, Netflix, Reddit, Soundcloud, Tumblr, Twilio, e Vimeo.

 

La net neutrality che abbiamo raggiunto quindi non è neanche vicina a quella passata quest’anno negli Stati Uniti. Una regolamentazione ben più articolata, volta a garantire il libero accesso a internet e in un’ottica non interamente focalizzata sul business ma nel vero interesse del consumatore. Un aspetto che in Europa sembra essere sfuggito di mano.