La querelle

Mediaset-Sky, Agcom chiarisce: ‘Retransmission fee? Vale solo per la Rai’

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L’Autorità interviene per precisare che la delibera citata da Mediaset, per ‘supportare’ la richiesta di un accordo commerciale con Sky, riguarda solo il servizio pubblico.

Mediaset va allo scontro aperto con Sky. Il Biscione ha attaccato frontalmente la pay tv di Rupert Murdoch chiedendo il pagamento di quelle che definisce ‘retransmission fee’.

Le parole di Gina Nieri, consigliere di amministrazione di Mediaset, sono state molto chiare: “Formalizzeremo la richiesta di un accordo commerciale con Sky”, aggiungendo “chiediamo un accordo sulle ‘retransmission fee’ e siamo consolidati nella nostra richiesta dalla delibera Agcom” 128/15 pubblicata lo scorso 23 marzo, che decide nella controversia Rai-Sky.

E ancora: “I nostri contenuti sono free nei confronti del pubblico, se però vengono trattati da piattaforme pay noi chiediamo un fee, perché indubbiamente forniscono un vantaggio competitivo alla piattaforma che li ritrasmette”.

 

Ma due sono gli elementi da considerare in questa vicenda. Intanto una domanda, ma in questo caso si può davvero parlare di retransmission fee?

E poi c’è anche da tenere in conto che l’Agcom è intervenuta per precisare con una nota che la delibera citata da Mediaset non riguarda le tv commerciali ma lo specifico caso della Rai, in quanto servizio pubblico, e Sky.

Ecco perché non si può parlare di retransmission fee

 

Federico di Chio, direttore marketing strategico dell’azienda di Cologno Monzese, ha citato alcuni casi europei a supporto delle tesi dell’azienda.

In Gran Bretagna i broadcaster che fino a poco tempo fa pagavano per essere trasmessi dalla piattaforma satellitare hanno richiesto circa 200 milioni di sterline agli operatori della pay tv. In Germania, invece, i ricavi da redistribuzione dei propri contenuti hanno portato nel 2014 nelle casse del gruppo ProsiebenSat.1 Media Ag 93 milioni di euro (erano 73 milioni nel 2013).

Il punto però è che nel caso di Sky Italia è inesatto parlare di ‘retransmission’, in quanto i canali Mediaset, così come gli altri free-to-air, sono semplicemente “trasmessi” sul satellite e non sono presenti nell’offerta commerciale come invece avviene in Gran Bretagna e in Germania.

Sono, infatti, visualizzabili anche togliendo la scheda Sky dal decoder.

E’ corretto invece parlare di ritrasmissione nel caso inglese o tedesco, dove numerosi canali free-to-air sono a tutti gli effetti parte delle offerte commerciali delle pay tv.

Già questo aspetto pone le richieste di Mediaset sotto una luce diversa.

I canali diffusi da Mediaset sul satellite in chiaro, infatti, per definizione sono ricevibili da tutti i decoder satellitari, nonché ricevibili da ogni satellite, quindi anche da quello usato da Sky per l’irradiazione dl suo segnale. La pay tv di Murdoch, in altre parole, non ritrasmette il segnale, trasferendolo da una piattaforma all’altra, ma si limita a riceverlo in onda. Mediaset, tra l’altro, potrebbe oscurare quando vuole il segnale in chiaro. La tv del Biscione non è mai stata obbligata a farlo, né, d’altra parte esiste alcun obbligo a pagare per ricevere un segnale in chiaro. Se invece Mediaset decidesse di iniziare a criptare totalmente i suoi canali gratuiti, essi non sarebbero più ricevibili. Una decisione che, in altre parole, non dipenderebbe da Sky, ma dalla stessa Mediaset.

Mediaset, per i suoi canali in chiaro, vive di pubblicità e dunque di audience, quanto più ampia possibile, quindi cosa ci guadagnerebbe a diminuirla criptando i canali in chiaro sul bouquet Sky e di conseguenza la raccolta pubblicitaria?

 

La delibera Agcom riguarda solo il servizio pubblico

A questo poi bisogna aggiungere che la delibera Agcom, che Nieri cita a ‘supporto’ dell’accordo sulle ‘retransmission fee’, riguarda invece la Rai.

A dirlo è la stessa Autorità che parla di effetti solo per il servizio pubblico radiotelevisivo: “Eventuali pretese di retransmission fee da parte di emittenti televisive commerciali nulla avrebbero a che fare con i contenuti e le finalità dell’odierna decisione e della delibera 128/15/CONS”.

Con delibera n. 128/15/CONS, spiega l’Agcom, il Consiglio dell’Autorità ha concluso un procedimento avviato nei confronti della Rai ex art. 48 del Testo Unico in relazione all’applicazione dell’art. 22 del vigente Contratto di servizio, vicenda scaturente da un pregresso contenzioso con Sky.

Nella riunione di ieri il Consiglio ha conclusivamente valutato l’ottemperanza prestata dalla concessionaria pubblica a quel provvedimento, alla luce dei criteri proposti da Rai per la valorizzazione dell’offerta per la ritrasmissione dei propri canali da parte di altre piattaforme commerciali che ne facciano richiesta e, segnatamente, di Sky.

La delibera n. 128/15/CONS, in particolare, chiariva da un lato la facoltà per Rai di richiedere un equo corrispettivo per la cessione dei propri programmi; dall’altro, la necessità per la stessa Rai di rinunciare a frapporre diritti di soggetti terzi a sostegno dell’oscuramento di taluni eventi, nonché, per Sky, il diritto di negoziare sulla base di un’offerta triennale, equa e non discriminatoria.

“Il tema – ribadisce l’Agcom – costituisce questione di primario interesse generale, in quanto connesso alla corretta applicazione dei principi sanciti a presidio del servizio pubblico radiotelevisivo, al diritto dei cittadini a disporre dei contenuti di servizio pubblico su ogni piattaforma e bouquet esistente, ed al dovere della società che esercita il servizio pubblico di conformarsi ai precetti dettati al riguardo dall’ordinamento”.

La delibera Agcom in questione ha segnato la fine di una battaglia cominciata nel 2009 quando l’allora Direttore generale della Rai, Mauro Masi, decise di far oscurare i principali eventi mandati in onda sulle reti pubbliche agli abbonati della tv satellitare.

Una decisione definita da alcuni ‘scellerata’, che portò allo scioglimento di un accordo, quello tra Rai e Sky, di circa 400 milioni di euro.

Scegliendo di criptare alcuni programmi di punta agli abbonati Sky, la Rai ha inoltre finora rinunciato a un fatturato pubblicitario più consistente, diretta conseguenza di un’audience più allargata.

A marzo è poi arrivata la delibera Agcom che ha stabilito che la Rai non potrà più oscurare i programmi agli abbonati di Sky. Farlo è illegittimo.