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Materie prime: perché i prezzi aumentano e quali le industrie più danneggiate. Il Rapporto CDP

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Gli aumenti dei prezzi sono riconducibili a quattro ordini di fattori secondo CDP: congiunturali, strutturali, geopolitici, speculativi. In Europa la fornitura di gran parte delle materie prime “critiche”, che poi sono quelle essenziali per la transizione energetica, è soddisfatta da Paesi terzi. Cosa fare per uscire da questa situazione?

SCARICA IL RAPPORTO CDP “COSA SUCCEDE ALLE MATERIE PRIME?”

Energia e materie prime: uno scenario mondiale difficile

Sono mesi che parliamo di aumento dei prezzi delle materie prime e dell’energia. Solo qualche giorno fa il Centro Studi di Assolombarda ci ha ricordato che l’indice di quotazione delle materie prime continua a crescere del +45% rispetto al 2019.

Stesso discorso per il prezzo dell’energia, con il gas naturale in Europa che ha registrato una fiammata notevole dei prezzi del +660% rispetto ai livelli pre-Covid-19.

Leggermente meno decisi gli aumenti del petrolio, che ha messo a segno un +31%. Il future aprile sul WTI sale dell’1,10% a 92,07 dollari al barile, mentre l’analoga consegna sul Brent guadagna l’1,27% a 94,73 dollari, secondo quanto riportato da Teleborsa.

Ne è conseguito uno straordinario aumento del prezzo dell’energia elettrica, raggiungendo i 281 MWh a dicembre, con un incremento del +492% su base annua. A gennaio il prezzo unico nazionale dell’energia elettrica si è attestato sui 224 euro per MWh, anche qui un +372% su base annua.

Lo studio italiano CDP sulle materie prime

Ma quali sono le ragioni di questi incredibili aumenti che tanto spaventano consumatori, famiglie e imprese di tutto il Paese? Lo spiega bene il nuovo Rapporto della Cassa depositi e prestiti (Cdp), dal titolo “Cosa succede alle materie prime?.

Anche in questo caso i ricercatori hanno passato in rassegna tutte le voci più importanti, scoprendo che da aprile 2020 a dicembre 2021 gli incrementi dei listini sono stati davvero storici, sia per le materie prime energetiche, sia per quelle agricole e industriali: +1.692% il gas naturale, +108% l’olio di soia, +89% il rame.

I motivi sono diversi e Cassa li mette tutti in fila, dividendoli in fattori congiunturali, strutturali, geopolitici e speculativi.

Tra i fattori congiunturali, si legge in un comunicato, “l’analisi rileva innanzitutto lo squilibrio tra domanda e offerta ma anche i tagli alla produzione del petrolio da parte dei Paesi OPEC+, le condizioni climatiche estreme e altri eventi avversi”.

Tra quelli strutturali, invece, secondo lo studio “rientra il forte incremento della domanda delle commodities necessarie per il raggiungimento degli obiettivi connessi alla transizione ecologica“.

Come fattori geopolitici emergono: “il peso preponderante di pochi attori, nonché il verificarsi di alcuni eventi destabilizzanti che hanno rallentato le catene di fornitura globali”.

Tra i fattori speculativi, infine, “va tenuto conto che numerose commodities fungono da asset finanziari e la speculazione finanziaria ha amplificato le pressioni al rialzo sui loro prezzi”, di legge nel Rapporto.

Unica via l’indipendenza europea dai mercati internazionali?

Come uscire da questa situazione di crisi generale? Non in maniera semplice, ovviamente. Lo studio CDP invita l’Europa “ad investire in innovazione, diversificare le forniture da Paesi terzi e rafforzare l’uso circolare delle risorse, al fine di garantire un approvvigionamento sicuro e resiliente delle materie prime”.

La situazione attuale vede la fornitura di rame, nickel, litio, cobalto o manganese essere soddisfatta da più Paesi terzi. Ad esempio, oltre il 98% delle terre rare proviene dalla Cina, l’87% del litio dall’Australia, il 71% del platino dal Sudafrica.

Riguardo l’Italia, però, almeno una buona notizia c’è: “ha già un vantaggio competitivo, essendo il Paese europeo con la più alta percentuale di riciclo sulla totalità dei rifiuti raccolti”, si legge nel commento al documento.