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Il ‘Bonus Cultura’ sarà rimodulato, ma come?

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La nuova “18App” (che forse cambierà anche nome) potrebbe essere rimodulata a favore dei giovani che vivono al Sud ovvero nei territori culturalmente svantaggiati. E potrebbe essere escluso l’online.

Il dibattito sul “Bonus Cultura” alias “18App”, al quale l’Istituto italiano per l’Industria Culturale – IsICult ha dedicato un dossier esclusivo su queste colonne (vedi “Key4biz” di lunedì 11 dicembre 2022, “Bonus Cultura”, tra fake news e pie illusioni? I numeri di 18app negli ultimi 6 anni”), si è arricchito negli ultimi tre giorni di alcuni contributi importanti, che meritano essere segnalati, nelle more del testo definitivo dell’emendamento annunciato dalla maggioranza di governo, ed in particolare dal Presidente della Commissione Cultura Federico Mollicone (Fratelli d’Italia): in sostanza, il “bonus” non verrà abolito, ma verrà modificato, introducendo un tetto reddituale per i potenziali beneficiari.

Questa decisione è stata annunciata dallo stesso Presidente del Consiglio dei Ministri in occasione della sua nuova modalità di comunicazione via web, poco prima del mezzogiorno di lunedì, in occasione di una nuova ‘puntata’ dei suoi “Appunti di Giorgia”, una diretta sui “social”, in cui ha affrontato a trecentosessanta gradi i principali temi della settimana a partire dalle polemiche legate alla Legge di Bilancio.

In sintesi, Giorgia Meloni ha sostenuto: “nessuno vuole abolire il bonus ai diciottenni ma 18 app va rivista perché è sbagliata una misura che viene riconosciuta a tutti indipendentemente dal reddito”.

La Premier ha precisato: “negli ultimi giorni molta polemica sull’emendamento sul bonus ai 18enni per la cultura. Non vogliamo abolirlo, crediamo sia importante avvicinare i giovani alla cultura e il ministro Sangiuliano sta lavorando a una carta cultura. Ma 18app è una misura che va rivista. Questi 500 euro vengono riconosciuti a tutti, indipendentemente dal reddito. Non c’è ragione per cui i figli dei milionari potrebbe rinunciare ai bonus. Credo che vada introdotto un limite del reddito di chi accede a questa misura” (clicca qui per l’estratto video di lunedì scorso, dal canale YouTube dell’agenzia stampa Vista).

Queste le motivazioni della annunciata revisione della misura: “innanzitutto, perché questi 500 euro al compimento dei 18 anni vengono riconosciuti a tutti, indipendentemente dal reddito, ed io penso, sinceramente, che non ci sia ragione per la quale i figli di un milionario, dei parlamentari… mia figlia – se domani compisse 18 anni, ma ne ha molti di meno – io penso che potrei rinunciare ai 500 euro per comprarle dei libri o dei contenuti culturali. E credo che la stessa misura, concentrata invece su chi è in difficoltà, su chi ha i redditi più bassi, possa essere sicuramente più impattante. Quindi credo vada introdotto un limite nel reddito di chi accede a questa misura” (trascrizione esatta dal video, allorquando alcune agenzie hanno accorpato alcune frasi).

Inoltre, vanno “meglio definiti i contenuti e le cose che si possono acquistare con queste risorse e credo anche che occorra lavorare un po’ sulle truffe. Quindi confermo che intendiamo modificare questa norma, senza però togliere queste risorse alla loro destinazione originale: i giovani e la cultura”.

La notizia è stata ripresa con adeguata attenzione dai quotidiani dell’indomani, ovvero di ieri martedì 13 dicembre. Prevedibile l’apprezzamento da parte del centrodestro. E finanche prevedibili le critiche di parte avversa.

Matteo Renzi (Italia Viva/Azione) e Matteo Orfini (Pd): il “Bonus Cultura” non è una “mancia per poveri”, non è “strumento di protezione sociale”

Matteo Renzi è intervenuto polemicamente sostenendo che Meloni “è per i sussidi”, sostenendo che 18App “non è stata pensata come un sussidio per i poveri, ma come il modo con il quale lo Stato accoglie i diciottenni nella comunità degli adulti. Con l’incentivo alla cultura, non con la mancia per i poveri. Noi siamo per la cultura, la Meloni è per i sussidi”.

Per il Partito Democratico, si è registrata soltanto la voce del parlamentare Matteo Orfini, membro della Commissione Cultura della Camera: “oggi Giorgia Meloni ha spiegato che non è vero che il governo vuole cancellare i 500 euro di bonus cultura per i diciottenni, ma che la sua intenzione è di modificarlo in modo che possa essere utilizzato solo da chi ha redditi bassi. Peccato che in questa affermazione apparentemente sensata ci siano due cose che non vanno”.

Due le contraddizioni evidenziate da Orfini: “la prima è che quello che afferma la Meloni non è del tutto vero. è stato depositato un emendamento della sua maggioranza, che abolisce quel bonus e destina altrove le risorse. Quindi intanto lo si leva, poi si vedrà se e cosa farà di sostitutivo il governo e dove prenderà le risorse per finanziarlo. A meno che la maggioranza che sostiene il governo abbia presentato quell’emendamento contro il parere del governo, tesi onestamente assai poco credibile. Ma così fosse la soluzione sarebbe semplice: ritirino l’emendamento, invece di fare dichiarazioni. La seconda cosa riguarda la natura del bonus cultura, che evidentemente Giorgia Meloni non ha compreso. Si tratta di una misura di sostegno alla domanda culturale: cioè un bonus pensato per spingere le persone a fruire cultura. Tutte le persone”. E qui il parlamentare dem è in sintonia con Renzi: “in Italia la spesa culturale è molto bassa e soprattutto nei momenti di crisi è la prima che le famiglie tagliano. E perché da ragazzi si tende a seguire l’abitudine della propria famiglia: se si cresce in un contesto in cui si consuma cultura, anche i ragazzi tendono a seguire, altrimenti no. Il bonus serve anche a rompere questo meccanismo, allargando la platea di chi fruisce prodotti culturali e stimolando su questo terreno l’autonomia dei più giovani. E così facendo anche a sostenere le industrie culturali e creative, che sono tante sono un pezzo del Pil del nostro paese e danno lavoro a tante persone. Insomma il bonus cultura non è uno strumento di protezione sociale”.

Da segnalare che ieri, sulle colonne del “Corriere della Sera”, si è pronunciato anche Aldo Cazzullo (che in passato s’era mostrato molto critico rispetto alla misura), rispondendo ad un lettrice (Elisa Scarpanti), sostenendo che secondo lui “sarebbe un errore abolire il bonus cultura”. Cazzullo si dichiara contrario anche alla limitazione per reddito: “toglierlo ai ‘ricchi’ significherebbe toglierlo alle famiglie dei lavoratori dipendenti e dei pensionati che hanno ben meritato nella vita, e che sono le vittime designate del sistema fiscale italiano in generale, e di questa manovra nello specifico: sono quelli che pagano l’Irpef, e che hanno diritto a meno prestazioni. Comunque l’importante è che resti almeno per i ceti popolari”.

E sul “Corriere del Veneto” di ieri 13 dicembre, in un articolo intitolato “Il bonus (e il malus) cultura”, Massimiano Bucchi (sociologo studioso dei rapporti tra scienza, tecnologia e società), propone cinque critiche alla misura, che riteniamo stimolanti: (1.) distribuisce benefici a pioggia, “anche a coloro che per reddito non ne avrebbero alcun bisogno”; (2.) non è vero che i giovani non leggono perché i libri costano cari, perché “le famiglie non si fanno alcun problema a spendere cifre ben più ingenti per smartphone, capi di abbigliamento e vacanze”; (3.) “piove sul bagnato”, ovvero si incentiva per esempio ad andare nei musei chi già ci va, e non chi non ci è mai andato; (4.) si darebbe per scontato che “il mezzo sia di per sé una garanzia” ovvero che “qualunque libro è utile a far apprezzare la cultura”, il che in verità non è, e sarebbe piuttosto utile “aiutare i lettrici e lettori a distinguerli, lasciando poi a loro se impiegare il proprio tempo e denaro in una passeggiata all’aperto o per leggere le memorie di un influencer”; (5.) l’effetto simbolicamente controproducente della “gratuità”, che può essere interpretata come “free = no value”.

In 3 anni, accertate truffe per 17 milioni di euro: un 5 % della spesa totale nel triennio (574 milioni)

L’agenzia Agi quest’oggi in tarda mattinata segnala che gli imbrogli accertati sarebbero non nell’ordine di 9 milioni di euro soltanto (come anticipato qualche giorno fa dall’agenzia Italpress), ma di circa 17 milioni, sulla base di documenti – non pubblici – del Nucleo Speciale Spesa Pubblica e Repressione Frodi Comunitarie della Guardia di Finanza. Scrive l’Agenzia Italia che ammonterebbero “a oltre 17 milioni di euro le frodi sul bonus cultura, secondo un rapporto della Guardia di Finanza che sintetizza i risultati delle indagini effettuate su 18 App dal 2018 al 2020. Il documento, in possesso dell’Agi, evidenzia tra i meccanismi fraudolenti più utilizzati la compravendita di su internet attraverso piattaforme come Instagram, Facebook, Telegram, la conversione del bonus cultura in voucher da spendere in un periodo temporale successivo alla scadenza del periodo di validità, l’acquisto di apparecchiature elettroniche non consentite dalla normativa, come smartphone, tablet, e console, la simulazione dell’acquisto di un bene consentito, poi restituito in cambio di un altro bene, il furto di identità digitale Spid per accedere alla piattaforma 18 App e generare il codice del buono da spendere”.

Si segnala che si tratterebbe comunque di una quota percentuale modesta, rispetto al totale della spesa dei 18enni nelle succitate 3 edizioni della misura (192 milioni nel 2018, 198,7 milioni nel 2019, 183 milioni nel 2020, per un totale di 573,8 milioni): in effetti, 17 milioni di euro rappresentano soltanto un 5 % della spesa totale di circa 574 milioni di euro in quei tre anni.

Non esiste una valutazione di impatto sul “Bonus Cultura”

Come abbiamo dimostrato su queste colonne nel dossier IsICult chiuso in redazione nella notte tra domenica e lunedì, le varie contrapposte tesi sono in verità tutte fragili, per un motivo essenziale: non esiste una valutazione di impatto della effettiva efficacia del “Bonus Cultura”, perché il Ministero della Cultura, nel corso dei sei anni di applicazione della misura non ha ritenuto opportuno produrre uno studio analitico.

Per cui le ragioni del “pro” e le ragioni del “contro” si azzerano reciprocamente, in assenza di un dataset adeguato.

La tesi sostenuta da IsICult è stata rilanciata nel pomeriggio di lunedì 12 dicembre anche dall’agenzia stampa specializzata AgCult, e ci piace che la giurista Vitalba Azzolini (lavora presso la Consob ed ha redatto paper per l’Istituto Bruno Leoni – Ibl) sulle colonne del quotidiano “Domani” di ieri martedì 13 ha manifestato la stessa lamentazione, con un articolo intitolato “Il vero problema del bonus ai diciottenni è che nessuno ha valutato se funziona o no” (articolo richiamato anche in prima pagina).

Scrive Azzolini (e noi non possiamo che condividere): “l’erogazione monetaria era stata concepita come reazione agli attentati terroristici del novembre 2015 a Parigi. Renzi aveva annunciato lo stanziamento di ‘un miliardo in sicurezza e uno nell’identità culturale’, promettendo un’elargizione di 500 euro per tutti i neo maggiorenni, di qualsiasi censo, da ‘investire in attività culturali’. La misura, all’epoca della sua introduzione, era stata connotata da una valenza sia emotiva («asciugate le lacrime, è il tempo di reagire»), sia simbolica («diventare maggiorenne in Italia: protagonista e coerede del più grande patrimonio culturale del mondo»). Ma non ci si preoccupò di stabilirne gli effetti attesi, né di definire i criteri per misurarne i risultati, tra l’altro in termini di aumento nella fruizione culturale dei neo maggiorenni, anche al fine di aggiustare il tiro della misura stessa o per eliminarla se inefficace rispetto all’intento perseguito”.

Deficit di valutazione, “ex ante” e “ex post”

Deficit di valutazione di efficienza e di efficacia, per dirla con lo slang degli economisti.

E “tanto meno vi fu una valutazione comparativa rispetto ad altre misure per accertare se i fondi con cui si era finanziato il bonus avrebbero potuto essere impiegati al medesimo fine incentivare la cultura nei giovani – ma in modo diverso, idoneo a determinare maggiori benefici, specie a favore dei ragazzi culturalmente più svantaggiati. In altre parole, l’utilità del bonus fu data per scontata, in considerazione della bontà dello scopo – incentivare i consumi culturali – per cui veniva erogato, giustificando così pure la bontà della spesa che lo finanziava”.

Di fatto, questa è la tesi stessa ribadita da Matteo Renzi e Matteo Orfini.

È d’altronde evidente – come abbiamo scritto sostanzialmente anche noi – “del resto, se vengono erogati dei soldi, quei soldi vengono spesi, determinando un qualche impatto nel settore in cui vengono utilizzati. In altri termini, comprare gratis non può che funzionare”. Ovvio, ma “tuttavia ci si dovrebbe porre una domanda: gli impatti positivi prodotti sono valsi la spesa che li ha determinati? E la medesima spesa avrebbe potuto ottenere effetti più proficui se utilizzata per un diverso impiego? Ma siccome né da parte del governo che aveva varato la misura né da parte di quelli successivi che l’hanno confermata è stato fatto alcun esame in concreto su di essa, queste domande restano senza risposta”.

E Azzolini giunge a quelle stesse conclusioni che abbiamo proposto, da anni, anche su queste colonne: “la vicenda del bonus cultura rende palese, per l’ennesima volta, uno dei vizi delle politiche pubbliche nazionali: non sono oggetto di valutazione, né preventiva né successiva”.

Circoscrivere il “Bonus Cultura” ai 18enni con reddito familiare basso?!

E cioè non sono individuati gli obiettivi perseguiti né vengono vagliate le varie opzioni di intervento, comparando i vantaggi e gli svantaggi di ognuna di esse e quantificandone il ‘prezzo’ per cittadini e imprese; non è delineato un attendibile scenario del futuro funzionamento dell’opzione selezionata, soprattutto dei suoi possibili effetti inattesi o indesiderati; non sono costruiti indicatori di carattere quantitativo che consentano di verificarne il grado di raggiungimento. In assenza di tutti questi elementi, non può nemmeno farsi un esame successivo circa il reale funzionamento dell’opzione prescelta. Il fatto è che in Italia le politiche pubbliche paiono sempre assistite da una sorta di presunzione di efficacia. La trasparenza dei processi decisionali ex ante e di verifica ex post delle politiche stesse – rendendo conoscibile ciò che non ha funzionato o cosa è stato valutato non correttamente nella fase di progettazione – sarebbe doverosa nei confronti dei cittadini, i cui soldi vengono utilizzati per finanziare qualunque azione pubblica. In Italia, invece, la nobiltà dell’obiettivo perseguito – specie nell’erogazione di certi sussidi socialmente encomiabili – di fatto basta a giustificare l’impiego di denari dello stato, cioè dei contribuenti: il beneficio è dato per scontato. Ciò si traduce nel fatto che in Italia l’efficacia dei provvedimenti degli esecutivi pro tempore viene di norma misurata in termini di fondi distribuiti, non di risultati concretizzati”.

La “corrigenda” ovvero l’emendamento “rivisto e corretto” annunciato dal Ministro Gennaro Sangiuliano e confermato dalla Presidente del Consiglio ha un senso, per quanto riguarda l’aspetto reddituale?!

IsICult ritiene che la risposta debba essere positiva, per una ragione essenziale: il meccanismo del “Bonus Cultura” non ha funzionato al meglio, se è vero che lo Stato, nell’arco delle prime sei edizioni, ha messo a disposizione 1.550 milioni di euro, e sono stati spesi soltanto 1.076 milioni di euro.

In sostanza oltre un terzo dei potenziali beneficiari non ha utilizzato la misura ed oltre un terzo delle risorse non sono state allocate. Questi dati debbono stimolare adeguate riflessioni critiche sul mal funzionamento della misura e sull’esigenza di alcune corrigende.

In argomento, Azzolini scrive: “erogare il bonus cultura a tutti i diciottenni, pure a quelli benestanti, ha tolto preziose risorse al recupero di giovani in contesti più precari. Perché dare 500 euro a tutti significa trattare in modo uguale individui che sono in situazioni di partenza diseguali, con buona pace del principio di uguaglianza delle opportunità. I fondi avrebbero potuto essere destinati, ad esempio, a progetti volti a riequilibrare e compensare situazioni di difficoltà socio-economica, in zone particolarmente a rischio o periferiche, per sostenere l’inclusione sociale e la lotta al disagio giovanile. Andrebbe pure tenuto presente che le persone più svantaggiate, con le proprie tasse, pagano il bonus erogato anche a chi non ne avrebbe bisogno. Ma anche questo pare non sia stato valutato”.

Rispetto alla limitazione reddituale e temi “correttivi” connessi, è intervenuto questa mattina (14 dicembre) il Coordinamento di StaGe! & Indies (che si autodefinisce “la filiera della musica indipendente ed emergente”): il Coordinamento “risponde all’appello del Governo di sedersi intorno a un tavolo da subito  e ragionare su come migliorare la misura dell’App18, che nella sua bontà di proposta, purtroppo in alcune sue applicazioni ha creato disparità tra i generi culturali, una parità economica tra giovani che non esiste nella realtà e deve aiutare maggiormente i giovani in difficoltà e meno abbienti, che deve limitarne gli abusi e le truffe, e che deve supportare trattandosi di soldi pubblici le imprese italiane che producono, distribuiscono e diffondono cultura letteraria, musicale, teatrale e di tutte le altre arti e spettacoli dal vivo in modo equanime e non favorendo in alcun modo le multinazionali con sedi all’estero”.

StaGe! & Indies si dichiara d’accordo rispetto alla “limitazione reddituale favorendo con la stessa cifra, anzi magari aumentandola per avere un maggiore accesso, i giovani dei ceti meno abbienti nel loro rapporto con la cultura, cosi come ci trova certamente d’accordo quella di equiparare maggiormente le spese per generi culturali e soprattutto che ogni acquisto vada a finire solo ed esclusivamente presso aziende italiane che fatturano, producono, operano, pagano le tasse e lavorano nel nostro Paese e favorendo l’acquisto presso i circuiti commerciali e i negozi fisici del nostro Paese, supportando così l’occupazione del mondo del commercio fisico come le librerie, i negozi di dischi, le prevendite fisiche e tanti altri esercizi commerciali schiacciati dai monopolisti on line”.

L’Istituto italiano per l’Industria Culturale – IsICult ritiene – anche alla luce del dossier elaborato per “Key4biz” (pubblicato lunedì scorso) – che la misura dovrebbe essere rimodulata su 4 assi:

  1. circoscrivere l’accesso ai giovani che fanno parte di nuclei familiari a basso reddito, o comunque differenziare l’entità della misura per fasce reddituali;
  2. differenziare l’entità della misura territorialmente, per stimolare i consumi nelle zone più svantaggiate;
  3. limitare le spese a beni e attività che vengano acquistate in luoghi fisici della cultura: librerie, teatri, cinema, musei, edicole…
  4. prevedere, sul modello spagnolo, che, dei 500 euro, una quota sia vincolata a “prodotti fisici” come libri, giornali, dischi… (40 % indicativamente); una a favore di spettacolo dal vivo, cinema e musei (40 % indicativamente); una, minore, ai prodotti digitali (indicativamente 20 % ma non via Amazon)…

Perché non modulare il nuovo “Buono Cultura” a favore anzitutto dei 18enni che vivono nei territori culturalmente svantaggiati, se non addirittura desertificati come luoghi di offerta culturale?

Rispetto al secondo asse qui prospettato (una differenziazione territoriale), si ricorda che abbiamo dedicato molta attenzione – soprattutto nelle ultime settimane – ad un problema di cui il sistema politico e le istituzioni non ha adeguata coscienza: il divario Nord / Sud nella fruizione di cultura.

Si tratta di una questione politica – di politica sociale ed economica, non soltanto di politica culturale – delicata e grave.

Emerge incontrovertibilmente dai dati che la Società Italiana degli Autori ed Editori ha pubblicato il 17 novembre 2022, con la edizione n° 86 del suo storico “annuario statistico”, divenuto quest’anno il “Rapporto Siae 2021 sullo Spettacolo e lo Sport nel sistema culturale italiano”, e si ha conferma di questo “gap” impressionante (e deprimente) tra Nord e Sud anche dalle statistiche che ha reso noto il quotidiano “Il Sole 24 Ore” nella edizione di ieri l’altro lunedì 12 dicembre, attraverso la 33ª “Indagine sulla Qualità della Vita nelle Province Italiane”.

Il confindustriale “Il Sole 24 Ore” propone, attraverso un ricco dataset corredato da infografica molto evoluta, alcune “mappe del benessere”, dedicate a 6 macro-temi (strutturati attraverso 92 indicatori): “Ricchezza e consumi”, “Affari e lavoro”, “Demografia, società e salute”, “Ambiente e servizi”, “Giustizia e sicurezza”, “Cultura e tempo libero”.

Il progetto “Qualità della Vita” è curato da Michela Finizio, con Giacomo Bagnasco e Marta Casadei. La visualizzazione dei dati online è a cura della struttura Lab24 del Sole 24 Ore (qui il link per accedere al database infografico).

Si osserva come le elaborazioni IsICult per Siae (nel succitato “Rapporto 2021 sullo Spettacolo e lo Sport”) portino, su alcune questioni allo stesso risultato, rispetto alle dimensioni drammatiche del divario territoriale.

Esemplificativamente, concentrandosi sui dati più allarmanti, dalle elaborazioni Siae e da quelle del Sole 24 Ore si ha conferma che la Provincia d’Italia più svantaggiata in termini di fruizione culturale è Crotone, che risulta al rank n° 104 della classifica Siae (in base all’indicatore “quota percentuale spettatori su totale Italia”, al n° 105 per quanto riguarda la % spesa su totale Italia, ed al n° 107 per quanto riguarda la % di  spettacoli su totale Italia… E Crotone risulta al rank n° 107 della classifica del Sole 24 Ore, che utilizza l’indicatore “spettacoli ogni 1.000 abitanti”.

Non sarebbe quindi opportuno che il “Bonus Cultura”, in una sua versione evoluta, possa essere in qualche modo rapportato anche ai bisogni dei giovani nei territori d’Italia culturalmente svantaggiati?!

Si attende di leggere l’emendamento “rivisto e corretto”.

Sicuramente cambierà nome il “Bonus Cultura” e “18App”, e diverrà “Carta della Cultura”.

D’altronde questo Governo intende fare leva anche su alcuni “nominalismi”: il tanto criticato Fus acronimo di Fondo Unico per lo Spettacolo diverrà verosimilmente “Fondo Nazionale per le Arti Performative e per lo Spettacolo dal Vivo” (l’acronimo – Fnapsdv?! – sarà però impronunciabile…) ha annunciato il 1° dicembre il Ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano (nel corso dell’audizione sulle linee programmatiche del suo dicastero di fronte alle Commissioni Cultura congiunte di Camera e Senato)

Come dice il saggio Nanni Moretti, “le parole sono importanti”.

Clicca qui per il dossier IsICult per Key4biz, “Bonus Cultura”, tra fake news e pie illusioni? I numeri di 18app negli ultimi 6 anni”, su “Key4biz” dell’11 dicembre 2022.