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I furbetti della plastica: da oggi stop al monouso, ma l’Italia non molla il modello “usa e getta”

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Entra in vigore il decreto che recepisce la direttiva UE “Sup” contro la plastica monouso e il modello “usa e getta”, che inquina e danneggia anche la nostra salute. In Italia, però, si cerca di aggirare la normativa, sostituendo materiali ad altri, invece che puntando dritto al riutilizzo e all’economia circolare.

Da oggi stop alla plastica monouso

Entra in vigore oggi, 14 gennaio, il decreto legislativo 196, che impone il divieto di utilizzo di plastica monouso, non compostabile e biodegradabile.

Il decreto recepisce così la direttiva dell’Unione europea detta “Sup”, acronimo di “Single Use Plastic”, appunto la plastica monouso o usa e gesta, del 2019.

Da oggi, quindi, stop a piatti, bicchieri, forchette, coltelli, cucchiai in plastica di ogni forma e dimensione, come anche a bastoncini cotonati (cotton fioc), agitatori per bevande, aste da attaccare a sostegno dei palloncini, contenitori e tazze per bevande in polistirene espanso e relativi tappi e coperchi e alcuni specifici contenitori per alimenti, ma la lista è molto più lunga.

Tutto il corollario di prodotti e manufatti in plastica per l’usa e getta e per il consumismo alimentare sregolato (che è stato tipico degli ultimi 30 anni almeno, con i vari fast o street food ad esempio), finalmente va nella soffitta della storia, o dovrebbe.

L’Europa chiede il riuso, l’Italia ripropone l’usa e getta

Perché a guardar bene la direttiva UE è stata recepita, ma con qualche deroga momentanea, diciamo così. In Italia, infatti, il decreto autorizza ancora la produzione di plastica monouso, basta che sia compostabile e/o biodegradabile, quando la direttiva europea lo vietava espressamente, proprio per superare questo tipo di approccio al consumo (usa e getta).

Previste inoltre agevolazioni per le aziende del settore sotto forma di credito di imposta, fino ad un massimo di 3 milioni di euro per gli anni dal 2022 al 2024.

I produttori ed i venditori di questi prodotti in plastica potranno comunque svuotare i magazzini, prima di cambiare merce secondo legge.

Non solo, come riportato dal Fatto Quotidiano, “per altri prodotti, come le bottiglie, non è previsto alcuno stop ma solo requisiti di progettazioni, misure che riguardano la EPR (responsabilità estesa del produttore), target di raccolta differenziata”.

Nello specifico, sì legge sul quotidiano, “a partire dal 2025, le bottiglie fabbricate con polietilene tereftalato come componente principale (quelle in PET), devono contenere almeno il 25% di plastica riciclata, percentuale che salirà al 30% a partire dal 2030”.

Comoda incertezza e rinvio della Plastic Tax

Il punto è che mentre da noi tutto va avanti come al solito nella confusione e nell’incertezza, a vantaggio di alcune categorie ben precise, in altri grandi Paesi europei, come Francia, Spagna e Germania, pur con qualche differenza, si va invece nella direzione di una plastica più sostenibile a livello ambientale, che sia riutilizzabile e non usa e getta.

L’Italia sceglie sempre di non scegliere e di rimandare il più possibile ogni scelta da parte dell’industria. Si guardi alla plastic tax, l’imposta (45 centesimi al chilogrammo sul consumo dei manufatti con singolo impiego) che avrebbe dovuto disincentivare l’utilizzo della plastica da parte delle aziende nella produzione di qualsiasi tipo di merce o manufatto non duraturo o riutilizzabile, che è stata fatta slittare al 2023 a causa dell’emergenza sanitaria.

L’attuale direttiva è vista da molti come uno stratagemma per aggirare il divieto che, unitamente al momento storico difficile che stiamo vivendo, va ad incentivare il continuo utilizzo di plastica monouso, con il concreto pericolo che il nostro Paese continui ad inquinare e che presto o tardi l’Ue ci verrà a cercare per notificarci una procedura d’infrazione.

Incubo microplastiche trovate anche nella placenta di donne in gravidanza

Si dovrebbe in realtà ridurre sensibilmente proprio il ricorso a questo materiale in generale, anche se compostabile o biodegradabile, perché la plastica che galleggia negli oceani ormai si aggira tra 5 e 13 milioni di tonnellate, di cui il 50% è proprio quella usa e getta.

Non solo mera questione economica e ambientale, comunque, perché la plastica è chiaro che rappresenta una grave minaccia alla nostra salute. Secondo un recente studio britannico, condotto dalla Hull York Medical School, le microplastiche che si generano dal processo di degrado di un qualsiasi prodotto ricavato da plastica potrebbero apportare danni anche permanenti alle cellule umane.

Le conseguenze sarebbero pesantissime, se confermate dai prossimi studi, perché parliamo di cellule danneggiate, quindi in grado di causare malattie pesanti, anche mortali. Ricordiamoci infatti che le microplastiche (particelle tra i 5 e i 10 micron, grandi come i batteri o i globulo rossi) sono ormai presenti in tutto o quasi ciò che beviamo e mangiamo.

Nel 2017 l’ONU ha dichiarato che ci sono 51mila miliardi di particelle di microplastica nei mari, 500 volte più numerose di tutte le stelle della nostra galassia.

Ne sono state trovate anche nella placenta di giovani donne in gravidanza. Lo ha dimostrato una ricerca dell’Ospedale Fatebenefratelli di Roma e dal Politecnico delle Marche pubblicata a fine 2020 sulla rivista scientifica Environment International. Sufficiente come campanello di allarme?