Incentivi e contributi a fondo perduto per la transizione ecologica industriale
Stamattina il ministero dello Sviluppo economico (Mise) ha annunciato nuove agevolazioni finanziarie e nuovi contributi a fondo perduto per sostenere gli investimenti industriali finalizzati alla realizzazione di progetti di ricerca, sviluppo e innovazione per la transizione ecologica e circolare, “coerenti con gli ambiti di interventi del Green new deal italiano”.
Si tratta di 750 milioni di euro messi a disposizione delle imprese che devono avviare o accelerare i processi di riconversione e decarbonizzazione.
“La sostenibilità ambientale è decisiva per il nostro futuro ed è un obiettivo da perseguire e raggiungere. Ma dobbiamo essere consapevoli che la rivoluzione verde ha un prezzo e nostro compito è fare in modo che la transizione non lasci per strada morti e feriti in termini sociali ed economici. Per questo ho più volte sottolineato che la sostenibilità ambientale deve essere in equilibrio con quella economica e sociale. Da ministro dello Sviluppo economico mio dovere è tutelare il sistema delle imprese ad attraversare questa transizione in maniera costruttiva”, ha dichiarato il ministro dello Sviluppo economico, Giancarlo Giorgetti.
“Per queste ragioni, in questa delicata fase di transizione – ha aggiunto il ministro – dobbiamo sostenere le imprese italiane con tutti gli strumenti e le risorse, nazionali ed europee, che abbiamo a disposizione per favorire la ricerca e lo sviluppo di tecnologie innovative, i processi di riconversione industriale e gli investimenti per la decarbonizzazione in settori strategici come quelli della siderurgia e dell’automotive”.
Troppo tardi, troppo lenti
Il problema, però, è proprio relativo a questa “delicata fase di transizione”, che è sempre più spesso presentata come “un costo”, o “un prezzo”, come lo ha definito Giorgetti, ribadendo la necessità di tutelare le imprese che si apprestano a compiere la transizione ecologica.
Sono anni che si parla di questo obiettivo e dei ritardi clamorosi che si sono accumulati nel tempo. Sono anni che si spiega in tutti i modi, attraverso le varie COP (dalla 21 in poi) o altri vertici mondiale come il G7 o il G20, che i cambiamenti climatici, il surriscaldamento globale e i livelli impressionanti di concentrazione di gas serra in atmosfera sarebbero stati un problema grandissimo per industria ed economia e una minaccia molto seria per la nostra salute.
Ora si scopre che è tardi e che bisogna correre. Allo stesso tempo, però, non si vuole riconoscere che degli errori, anche gravi, sono stati commessi tanto dallo Stato, quanto dal mondo imprenditoriale.
Ciò che colpisce, comunque, è la lentezza con cui il Governo, anzi, i Governi, prima Conte I e II, ora Draghi, si sono accostati al tema in questione: da un lato accelerare la transizione green, dall’altro evidentemente supportare le organizzazioni che devono imbarcarsi in questo percorso di riconversione e innovazione.
Sono due anni che si parla con cadenza quasi giornaliera di questa transizione ecologica, del Green New Deal europeo e nazionale, della decarbonizzazione, del taglio delle emissioni inquinanti come obiettivo di massima entro il 2035, necessario milestone per raggiungere la meta della neutralità climatica per la metà del secolo.
Una transizione ecologica ancora su carta
Eppure, c’è la netta sensazione che tutti gli annunci fatti siano ancora o quasi tutti su carta. Siamo cioè a livello di “interventi normativi”, che poi dovranno affrontare i protocolli amministrativi e le procedure burocratiche, che rallentano sensibilmente ogni tentativo di velocizzare progetti, cantieri e messa in opera.
La sfida energetica è ancora tutta sul tavolo, tra guerre più o meno fredde a livello internazionale, speculazioni di varia natura, tassonomie fantasiose e un’inspiegabile serie di ostacoli che si frappone tra gli investimenti crescenti in fonti energetiche rinnovabili e la realizzazione dei progetti con la costruzione degli impianti, necessari per aumentare la capacità a livello nazionale.
Ora la maggioranza che sostiene il Governo Draghi ha dato il via alla battaglia per l’elezione del Presidente della Repubblica, come successore di Sergio Mattarella, complicando ancora di più il quadro.
Che accadrà al Governo, se come molti hanno suggerito, il Presidente Draghi si sposti da Palazzo Chigi al Quirinale? Che fine faranno i tanti progetti legati alla transizione green inseriti nel Piano nazionale di ripresa e resilienza? Chi controllerà che tutto vada per il verso giusto e nei tempi stabiliti dalla Commission europea?
Non è la transizione ecologica ad avere un prezzo, o la volontà di orientare l’economia verso le fonti rinnovabili, ma la nostra idea di modernità semmai, caratterizzata da uno stile di vita indubbiamente insostenibile, da altissimi consumi e uno sfrenato modello di sviluppo.