Le stime

Caro energia: a rischio lo 0,8% di PIL nel primo trimestre 2022. Impatto da 6 miliardi di euro sulle famiglie italiane

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La bolletta energetica nazionale si fa sempre più pesante. C’è il rischio di un impatto gravoso sui conti delle imprese e sulla spesa delle famiglie italiane. Le misure messe in campo dal Governo potrebbero non bastare e il 2022 inizia con una brusca frenata dei consumi.

Energia, inflazione e la minaccia della crisi alle porte

C’è una potenziale crisi economica che minaccia il nostro Paese e non solo. Forse un po’ tutta l’Europa ne potrebbe essere vittima e gli stessi Stati Uniti non godono di ottima salute. La pandemia da Covid-19 ha peggiorato una situazione che già nel 2019 non era rosea e l’inflazione da una parte e l’impennata dei prezzi del gas naturale dall’altra non hanno fatto altro che peggiorare la situazione generale.

Secondo stime del Centro Studi di Confindustria, questo stato di cose e soprattutto il caro energia rischiano di tagliare il prodotto interno lordo (PIL) del primo trimestre del 2022 dello 0,8%. Uno stop che se confermato potrebbe avere effetti negativi profondi su imprese, industria e le consumi.

Ripartire nel mezzo di una pandemia non è cosa facile, ma se intervengono anche altri fattori di crisi la situazione si potrebbe far seria.

Il peso dell’inflazione e della guerra

Per quanto riguarda l’inflazione, si legge nel documento del Centro studi, “è salita inaspettatamente in tutte le economie avanzate: a inizio 2021 le previsioni erano di modesto aumento, a +1,7% nell’Eurozona. Invece, a dicembre 2021 è arrivata a valori più che doppi, e in aumento rispetto a novembre, segno che il picco non è stato toccato”.

La dinamica dei prezzi al consumo nell’Eurozona è del +5,0% annuo, la più alta dal 1996 (+2,7% la misura core, al netto di energia e alimentari), mentre negli USA ha raggiunto il +7,0% (indice CPI). In Italia l’inflazione resta più bassa, +3,9%, ma è il valore più alto dal 2008”, si legge ancora nei commenti ai dati.

Ma c’è anche un altro fattore di non poco conto: il conflitto potenziale (al momento catalogato come “Nuova Guerra fredda”) tra Russia e Stati Uniti.

Oggi Goldman Sachs ha inoltre evidenziato che esiste il rischio concreto di una riduzione crescente delle forniture di gas naturale dalla Russia verso l’Europa, come rappresaglia per un eventuale appoggio alla Nato da parte dei Paesi dell’Unione europea: “Si potrebbe verificare una riduzione dei flussi per un periodo indefinito”.

E poi c’è il fattore prezzo, con uno scenario del genere i ricercatori che si aspettano una possibile nuova vampata, anche superiore a quella di dicembre, con un massimo ben oltre i 180 euro/MWh.

Intanto, si legge in una nota Teleborsa, nella giornata odierna il prezzo dei contratti futures del gas TTF, utilizzati dagli operatori come benchmark per il mercato europeo, mostra un rialzo dell’11,9% a 88,39 euro/MWh.

Il caro energia

E poi c’è il caro energia, che da una parte ha visto crescere del 30% i prezzi dei beni energetici su base annua e dall’altra potrebbe impattare sia sulla ripresa e quindi le imprese, sia sulla spesa delle famiglie italiane anche di 5-6 miliardi di euro durante l’anno.

L’aumento dell’inflazione, si legge nello studio, riflette l’anomalo rincaro dell’energia, prima petrolio, poi gas: “I prezzi di gas ed elettricità contribuiscono per più di 0,8 punti all’inflazione dell’Eurozona. In Italia il balzo dei prezzi dei beni energetici, +29,1% annuo a dicembre, ha spinto l’indice generale molto sopra quello core, che è rimasto, a fine 2021, su una dinamica simile al 2020 (+1,5%)”.

L’impatto sulla spesa delle famiglie del rincaro dell’energia (pari all’8,3% del paniere dei consumi) è stimato in circa 5/6 miliardi di euro: ciò sottrae risorse alla spesa in altri beni e servizi, frenando i consumi”. È sottolineato da Confindustria.

Negli USA, dove la fiammata è arrivata prima – è precisato nel testo – il rincaro energetico ha pesato meno e si è ridimensionato negli ultimi mesi: lo scarto tra l’inflazione USA totale e core è infatti di +1,5 punti, contro il +2,4 in Italia”.

L’azione del Governo

Il Governo Draghi ha cercato di porre rimedio, approvando aiuti alle imprese e un fondo per il taglio delle bollette: 4,7 miliardi sono stati erogati nella seconda parte del 2021, altri 3,8 miliardi sono stati introdotti con la legge di Bilancio 2022 e infine sono stati aggiunti 1,7 miliardi per decreto.

Secondo la Cgia di Mestre, l’esecutivo ha messo in campo in questo primo trimestre dell’anno 5,5 miliardi di euro di aiuti per famiglie e imprese.

Un importo giudicato insufficiente a mitigare i costi addizionali, perché se durante il 2022 si attende una spesa complessiva di quasi 90 miliardi di euro (30 a carico delle famiglie, 60 circa delle imprese), le misure prese da Palazzo Chigi non arrivano a coprire che il 6% della bollettona nazionale.

Il prezzo del gas in Europa è aumentato del +600% in un solo anno. Una famiglia media italiana pagherà nel 2022 complessivamente 1.200 euro in più, secondo stime Nomisma Energia.

Un futuro complicato … che deve essere green

In Italia, se si avvereranno le stime governative, si potrebbe verificare una parziale flessione dei prezzi energetici e il rientro dell’inflazione sui valori pre-Covid, nonostante la dinamica possa continuare a crescere nel breve termine.

Al calo, secondo il Centro studi, “contribuirebbe la perdurante debolezza della domanda e il risparmio accumulato, che potenzialmente potrebbe affluire sui consumi, difficilmente verrà speso a breve, a causa della fiducia ridotta”.

Viceversa, le attuali pressioni sui costi e i nodi nelle catene del valore potrebbero in parte trasmettersi ai prezzi dei beni nel 2022. Insieme alla spinta ai prezzi implicita in alcuni processi in atto (transizione ecologica, PNRR), ciò potrebbe condurre a un’inflazione core strutturalmente più elevata.

La transizione verde

Sulla transizione ecologica, infine, vale la pena ricordare che il nostro Paese ha scelto la strada della decarbonizzazione, dei vettori a basso impatto ambientale (come l’idrogeno e l’idrogeno verde in particolare) e delle fonti energetiche rinnovabili.

Non è una cosa da poco, perché significa che tutte le richieste giunte dal mondo imprenditoriale e da determinati ambienti industriali, di tornare a scavare pozzi per l’estrazione di gas naturale, sperando di arrivare tra 2-3 anni alla copertura del 7% del fabbisogno energetico nazionale, non hanno molto senso.

Primo perché tutto questo ha un costo, secondo potrebbe risultare una mossa controproducente, terzo dobbiamo premere sull’acceleratore delle rinnovabili.

Tra qualche anno potremmo non averne più bisogno, mentre aprire nuovi impianti estrattivi peserebbe non poco sul nostro percorso di decarbonizzazione, che ha come obiettivi già di per se difficili da raggiungere il -55% di emissioni inquinanti entro il 2030 e la neutralità climatica entro il 2050.