Fintech. Quel fenomeno chiamato Fin-tech. Ma cos’è la Banca 2.0?

di Giulia Aranguena, ADLP Studio Legale |

Il settore Fintech, ovvero la digitalizzazione dei servizi finanziari, è più che triplicato dal 2008 superando i 4 miliardi di dollari nel 2014. La prospettiva è di raggiungere 8 miliardi di dollari nella sola area di New York.

Sia la definizione che la percezione comune di cosa sia “tech” sono notevolmente cambiate nel corso degli ultimi 40 anni.

Background

 

A metà degli anni ‘70, la parola “tech” definiva solo la fabbricazione tecnologica e il settore era principalmente composto da produttori di elettronica. Con l’avvento del personal computer, la definizione si è ampliata e negli anni ‘80 ha incluso anche il settore del software. Tra il  1990 e il 2000, la definizione si è di nuovo dilatata e sono entrate nel mercato le società Internet come AOL e Yahoo, e più tardi Google. La fabbricazione elettronica è andata in retroguardia e sono state introdotte nuove professioni come sviluppatore web e tecnico di rete.

  La rubrica Fintech, in collaborazione con l’Avv. Giulia Aranguena di ADLP Studio Legale e la redazione del blog Iuslab, approfondisce i temi dell’innovazione tecnologica in ambito bancario e finanziario e le nuove tendenze di mercato in questo settore. Per consultare gli articoli precedenti clicca qui.

Negli ultimi anni, la definizione si è ulteriormente trasformata per diventare Information Technology (IT) o “tech-info”, ed incentrarsi sui contenuti e l’interconnettività. In questo nuovo contesto, la chiave fondamentale è diventata la combinazione di competenze tecnologiche con la profonda conoscenza di settori complementari di tipo tradizionale.

C’è stata la disruption tecnologica nei settori della pubblicità, intrattenimento, media, telecomunicazioni, editoria, musica, moda, design, etc; e sono sorte nuove aziende di software, programmazione di computer, sviluppatori di app, società di telecomunicazioni, società di servizi Internet, società di Big Data, piattaforme e start-up di vario tipo.

Ma l’ondata tech-info non si è arrestata qui. Infatti, poiché focalizzata ad intercettare la convergenza tra tecnologia, contenuti, e interconnettività, la tech-info sta accelerando ancora investendo settori di più intensa base “informazionale”, come, ad esempio, l’istruzione, la sanità e, da ultimo, anche il settore finanziario e bancario, fatto – a pensarci bene – di dati e “numbers”; quindi “it’s just information”, per dirla con le parole di Marc Andreessen in una recente intervista a Bloomberg.

Definizione

 

L’applicazione della tecnologia all’industria bancaria si definisce con il termine “Fintech“, che descrive la digitalizzazione in atto per l’abilitazione o la fornitura dei servizi finanziari attraverso l’impiego di tecnologie basate su Internet.

Generalmente (specie in Italia), si ha una percezione frammentata di qualche particolare area del settore. Ma lo spazio che sta prendendo la nuova tecnologia finanziaria è unitario e già molto vasto, come spiegato in un documento di Ernst & Young, dal titolo Landscaping UK Fintech”. L’area Fintech, attualmente, include una svariata tipologia di attività diverse: nuovi strumenti di pagamento per il commercio elettronico, servizi di analisi dati (c.d. credit scoring per calcolare il merito di credito), software specifici (per i segmenti di risk management, asset managment, accounting, etc.), e le più visibili piattaforme di mPayment, o di finanziamento e investimento attraverso il prestito tra privati (i.e. P2P lending) e il crowdinvesting, o anche piattaforme di pagamento in cripto-valute digitali.

L’open source ha consentito il rapido abbassamento delle barriere di ingresso nel mercato, configurando un ecosistema di sub-industrie che coprono dal crowdfunding (Kickstarter) e prestito peer-to-peer (Lending Club, oppure OnDeck per i prestiti alle PMI), alla gestione del risparmio su basi algoritmiche (Wealthfront); dall’investimento tematico (Motif Investing), alla sicurezza informatica (iDGate), al credit scoring (ZestFinance), all’accesso alle informazioni (Betterment), agli scambi (SecondMarket), all’e-payment, ai trasferimenti di valuta digitale (Coinbase) o alla gestione del capitale circolante, ad esempio attraverso il collocamento di fatture autorizzate presso soggetti che offrono i migliori sconti per l’anticipazione (Tesorio).

Nonostante operino in una serie tanto diversificata di settori, le aziende Fintech condividono una caratteristica comune: utilizzano la tecnologia per rendere i sistemi finanziari e bancari più efficienti sia per le istituzioni finanziarie tradizionali (B2B), sia per gli utenti finali (B2C), a cui, in entrambi i casi, vengono offerti i nuovi servizi sfruttando la convergenza delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione.

Mercato

 

Gli investimenti in innovazione finanziaria sembrano verificarsi in modo relativamente decentrato con una serie di hub geograficamente diffusi che stanno mano mano assumendo importanza, come, ad esempio, i cluster di Silicon Valley e New York, Londra, Dublino, Singapore e Sidney.

Un recente rapporto di Accenture, titolato “The Rise of FinTech”, indica che gli investimenti globali in iniziative Fintech sono più che triplicati dal 2008, passando a 3 miliardi di dollari nel 2013 e poi a oltre 4 miliardi di dollari nel 2014; con la ragionevole prospettiva di raggiungere nel 2018 la somma di 8 miliardi di dollari nella sola area di New York.

Ma tali metriche non tengono conto né di quanto è stato raccolto dalle due IPO avutesi in questo dicembre per le quotazioni di Lending Club e di OnDeck, né degli investimenti che stanno cominciando a fare le banche tradizionali nel settore, come HSBC, Barclays Santander, e BBVA (Banco de Bilbao Vizcaya y Argentaria).

 

Le ragioni di sviluppo

Il settore bancario e finanziario ha sempre avuto a che fare con la tecnologia. Negli anni ‘70, ad esempio, l’introduzione degli ATM è stato un fattore cruciale per il cambiamento del sistema con cui gli utenti gestivano il loro comportamento finanziario.

Ma dal 2008 in poi, il tasso di utilizzo tecnologico nel settore bancario e finanziario è notevolmente incrementato sia in estensione, sia in velocità di trasformazione. Tant’è che con l’avvento del movimento Fintech si ha netta la sensazione di una incombente trasformazione strutturale del modello economico e organizzativo di tutta l’attività bancaria retail (c.d. consumer finance).

Il boom del settore Fintech dipende da una molteplicità di fattori. In primo luogo, l’impatto della crisi finanziaria del 2008, che ha comportato una considerevole diminuzione nell’opinione pubblica della fiducia nelle istituzioni finanziarie tradizionali. In secondo luogo, l’inasprimento degli oneri legali e regolatori imposti a seguito della crisi economica, che ha indotto le banche e le altre istituzioni finanziarie a concentrare i loro investimenti più nell’area della compliance, che in quella della ricerca e sviluppo di soluzioni innovative c.d. customer centric.

Il notevole spazio lasciato e il sentimento diffuso dei consumatori sulla lentezza del sistema bancario tradizionale a dare delle risposte customer centric affidabili stanno, dunque, determinando l’ingresso di nuovi soggetti economici non bancari in grado di offrire, in modo dinamico, servizi alternativi e sostitutivi dei prodotti storicamente offerti dalle banche, come, ad esempio, i prestiti, i conti personali di deposito, i trasferimenti di valore finanziario o lo sconto di fatture.

E sempre più spesso, per tali ragioni, si parla di ‘banking without banks’ per sottolineare tanto la natura non bancaria dei nuovi soggetti emergenti (per l’assenza di autorizzazioni bancarie dirette), quanto, soprattutto, la loro estraneità ai requisiti di compliance imposti alle banche ed agli altri intermediari finanziari soggetti a regolazione bancaria.