Previsioni

Facebook, Google, Amazon & Co: che 2017 sarà per le tech company Usa in Europa

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Dopo un 2016 ad alta tensione per le grandi web company Usa in Europa, diversi nodi arriveranno al pettine quest’anno. Ecco i casi aperti che faranno più discutere.

Come sarà il 2017 per le grandi tech company Usa nella Ue? La domanda se la pone, con una certa preoccupazione, il New York Times, analizzando le potenziali insidie per Facebook, Google, Amazon & Co alle prese con un’Europa che già nel 2016 non è stata troppo tenera nei confronti dei grandi player americani della Rete. Dal versante fiscale a quello della privacy, passando per le schermaglie sulla cyber security, la Commissione Ue ha usato il pugno di ferro nei confronti delle tech company a stelle e strisce in un mercato strategico, con i suoi 500 milioni di consumatori.

Tensioni palpabili, che si sono tradotte in una richiesta in tasse inevase di 13 miliardi di euro nei confronti di Apple da pagare al governo irlandese; il caso Google, accusato di favorire i suoi servizi digitali nell’indicizzazione del motore di ricerca, prosegue spedito; Uber è stato bloccato in diversi paesi. La cessione di dati da WhatsApp a Facebook è stata stoppata.

Nei prossimi 12 mesi una serie di procedimenti aperti in Europa giungerà al termine e l’esito, in un senso o nell’altro, potrebbe modificare radicalmente i modelli di business di molti protagonisti della Silicon Valley. Non solo nella Ue, ma anche a livello globale.

 

Google

Google sta affrontando tre procedimenti antitrust legati ad servizi di ricerca e al sistema operativo mobile Android.

Il caso legato alle accuse di abuso di posizione dominante per favorire in maniera illecita i suoi prodotti di shopping nei risultati di ricerca potrebbe andare a conclusione all’inizio della primavera e potrebbe chiudersi, in caso di condanna, in una maxi multa del 10% dei ricavi globali di Google, pari a circa 7,5 miliardi di dollari.

Google ha inoltre fatto appello contro la decisione del Garante francese della Privacy secondo cui il diritto all’oblio deve valere su tutti i domini globali del motore di ricerca, compresi quelli negli Usa. Secondo la normativa oggi in vigore, i cittadini della Ue possono chiedere ai motori di ricerca la rimozione di contenuti che giudicano lesivi, al netto del diritto di cronaca e del fatto che il richiedente sia un personaggio pubblico. L’appello di Google sarà discusso nel 2017.

Apple

In cima all’agenda di Apple nel 2017 c’è l’appello contro la richiesta di pagamento di 13 miliardi di euro in tasse inevase in Irlanda. Anche l’Irlanda ha fatto appello contro la decisione della Ue, sostenendo che la Commissione Europea con questa richiesta ha fatto il passo più lungo della gamba, superando il suo ambito di competenza, e che Apple non ha goduto di corsie fiscali preferenziali a Dublino.

Entrambi gli appelli saranno discussi non prima della fine del 2017.

Secondo il Wall Street Journal, entrambi i casi assumeranno una veste sempre più politica.

Il presidente eletto Donald Trump ha preso posizione, suggerendo che le grandi tech company Usa dovrebbero rimpatriare i loro capitali a fronte di una riduzione della pressione fiscale. Se effettivamente le cose andranno così, è prevedibile uno scontro ulteriore fra le autorità fiscali sulle due sponde dell’Atlantico, ma c’è da giurarci che gli europei rivendicheranno la loro fetta della torta (fiscale) in base al principio territoriale del paese dove i ricavi sono stati generati.

Facebook

Il social media sta diventando sempre più un bersaglio delle autorità europee, di pari passo con il crescente influsso economico che esercita nell’area Ue.

Nel 2017 Facebook dovrà affrontare indagini in diversi paesi: Francia, Spagna, Germania e Olanda stanno indagando le modalità con cui l’azienda controlla membri e non del social che utilizzano i suoi servizi e visitano i siti di terze parti usando il bottone “like”.

Facebook ha già vinto un caso analogo in Belgio.

Inoltre, Facebook ha tempo fino a fine gennaio per rispondere alle accuse delle autorità Ue rispetto alla fusione da 19 miliardi di dollari con WhatsApp, accordata nel 2015, ma messa in dubbio con l’accusa di informazioni fuorvianti. In questo caso, nel mirino c’è la cessione di dati da WhatsApp a Facebook a scopi pubblicitari, una pratica bloccata su richiesta dei Garanti Privacy Ue.

Altri fronti aperti in Europa, soprattutto dopo le elezioni Usa, riguardano le fake news e l’hate speech troppo diffusi sul social che secondo diversi esponenti dell’Unione dovrebbe essere considerato responsabile dei contenuti pubblicati dagli utenti sulla piattaforma.

A marzo una task force ad hoc in Germania renderà note le conclusioni su un’indagine su questi temi molto delicati e sentiti dall’opinione pubblica europea. In caso di esito negativo, il legislatore potrebbe intervenire imponendo a Facebook e ai social in genere un ruolo nettamente più attivo (e quindi più oneroso) sul controllo dei contenuti pubblicati.

 

Uber

Il destino europeo di Uber potrebbe decidersi ad aprile, quando la Corte di Giustizia Europea deciderà se la società è un servizio di trasporto a tutti gli effetti oppure una piattaforma digitale.

Se Uber sarà qualificato come un servizio di trasporto, dovrà sottostare alle regole del servizio pubblico di trasporto non di linea, come i taxi, con conseguenze evidenti sulle sue casse. Se al contrario Uber sarà qualificata come una piattaforma digitale, l’azienda Usa avrà maggiori possibilità di espandersi in maniera aggressiva in tutta l’area Ue, che rappresenta uno dei suoi maggiori mercati internazionali.

Amazon

Amazon sta aspettando l’esito di una lunga indagine fiscale sull’ipotesi di trattamenti di favore da parte delle autorità in Lussemburgo, dove la società ha la sua sede europea.

Amazon non accetta le accuse e sostiene di essersi sempre adeguata al regime fiscale dei paesi dove opera. L’esito dell’indagine, che ricalca analoghi casi nei confronti di altre aziende Usa come McDonald’s e Starbucks, è atteso al più presto entro l’inizio dell’estate.

Amazon ha annunciato nel 2015 che vuole a pagare le tasse direttamente in diversi paesi Ue, dove dispone di attività consistenti, e non soltanto in Lussemburgo.