il futuro del marketing

Enterprise 4.0. Small Data, quale ruolo per la rivoluzione industriale?

di Neosperience Team |

I big data rischiano di lasciare le aziende all’oscuro su alcuni degli aspetti più importanti dei desideri e delle esigenze dei loro clienti. Per intercettarli è necessaria l'osservazione diretta di piccoli dettagli e abitudini apparentemente insignificanti. Gli small data, appunto.

Enterprise 4.0 è una rubrica settimanale dedicata ai processi di innovazione aziendale a cura di Neosperience. Per consultare gli articoli precedenti clicca qui.

Il volume “Small Data – I piccoli indizi che svelano i grandi trend” di Martin Lindstrom è stato l’oggetto di uno dei discorsi del World Business Forum. La tesi è semplice: le aziende cominciano a capire che i big data rischiano di lasciarle all’oscuro su alcuni degli aspetti più importanti dei desideri e delle esigenze dei loro clienti. Per intercettarli è necessaria molta osservazione diretta di piccoli dettagli, comportamenti inconsci, abitudini apparentemente insignificanti. Gli small data, appunto.

Il rischio, avverte Lindstrom, è di fidarci di correlazioni che in realtà non vogliono dire niente, dimenticando di cercare anche le cause. I big data, nella sua visione, non sono rinnegati, ma sono tenuti sullo sfondo. I dati, ama dire, descrivono il passato. Per capire il futuro serve anche l’intuizione, derivante dagli anni di esperienza che si accumulano.

Si tratta, nello specifico, di analizzare modelli di comportamento, azioni che compiamo tutti i giorni senza rendercene conto o quantomeno senza capire bene il perché. Parliamo di dettagli che alla maggior parte delle persone passerebbero inosservati e che vengono utilizzati dall’esperto di branding danese come indizi funzionali a migliorare l’immagine di un brand ottimizzare un prodotto.

Ad esempio, perché passiamo l’aspirapolvere in continuazione sullo stesso posto anziché raccogliere direttamente da terra ciò che non viene aspirato? Può sembrare una domanda banale, però lo “Sherlock Holmes” dei tempi moderni ha trovato in queste semplici azioni delle informazioni preziose, così preziose da poter parlare di una rivoluzione degli small data. Essi, quindi, altro non sono che osservazioni, indizi utili all’analisi di singoli essere umani che eseguono quotidianamente delle azioni in maniera costante che possono raccontare molto sui loro processi decisionali.

Il suo approccio, chiaramente, viene considerato “fuori dal comune”, perché osserva i consumatori nel loro “ambiente naturale” anziché studiare i dati raggruppati all’interno di un database.

Il caso Lego 

Tra i vari casi, Lindstrom racconta anche l’esempio Lego. Seguendo il suo metodo, la multinazionale è andata a cercare risposte direttamente nelle case dei consumatori più fedeli, arrivando così nella stanza di un bambino tedesco di undici anni, che ha contribuito alla fine al rialzo di un’azienda sull’orlo del fallimento. In effetti nel 2002, affidandosi ai risultati dei big data, Lego ha deciso di aumentare le dimensioni dei piccoli Lego Brick, decisione che si è poi rivelata un grande errore. Nel 2003, infatti, il brand ha avuto un calo di vendite del 35% negli Stati Uniti e del 29% nel resto del mondo, numeri che rappresentavano una perdita senza precedenti nella storia dell’azienda.

I risultati basati sui big data ai quali Lego si era affidata rimandavano a concetti quali “time compression” e “gratificazione istantanea“, entrambi basati sull’idea che la società, così come pure i consumatori, cerchino sempre di più prodotti o servizi in grado di fornirgli una gratificazione immediata, riducendo il più possibile lo spreco di tempo. In altre parole, dall’analisi dei big data emergeva che alle nuove generazioni mancava il tempo e la pazienza per questo tipo di giocattoli e, quindi, era giunta l’ora di un cambiamento. Purtroppo, però, la strada intrapresa l’ha quasi portata al fallimento, ma la soluzione per ritornare al successo è stata trovata nella stanza di un bambino: il team di marketing della Lego ha voluto sapere quale oggetto all’interno di quella camera fosse per lui motivo d’orgoglio. La risposta è stata molto diversa da ciò che il gruppo si aspettava: l’oggetto indicato è stato, infatti, un vecchio paio di scarpe Adidas che per il ragazzino rappresentava il suo più grande trofeo e la prova concreta dell’essere stato il miglior skater della città.

Si può trarre da tutto ciò la “morale della favola“: la necessità di gratificazione immediata è certamente una caratteristica della società attuale, ma per quanto riguarda i bambini la storia sembra essere ben diversa. Secondo le conclusioni raggiunte in seguito all’analisi dei big data, la Lego rappresentava un giocattolo che non rispondeva alle esigenze di vita contemporanea, proprio per la mancanza di gratificazione immediata da parte del fruitore. Puntando, però, sull’approccio small data l’azienda ha compreso che i bambini cercano di integrarsi socialmente, giocando e dimostrando la propria abilità in un determinato gioco o attività; indipendentemente da quanto questo possa essere impegnativo o richiedere tempo per essere portato avanti, se permette loro di comunicare agli altri le proprie capacità, allora vale la pena farlo.

Per questa ragione le scatole Lego sono diventate sempre più ricche e complesse perché costituivano una sfida per il cliente che attraverso esse poteva dimostrare la propria abilità.

Come usare small data per il proprio business

Gli small data più importanti sono riferibili all’universo dei propri clienti e oggi un primo passo importante è avere partire da un collegamento con la propria fanbase social in modo da poter avere un’idea anche solo “spannometrica” del proprio contesto. In particolare utilizzando la tecnica di analisi degli “small data” è possibile da subito avere un’idea di massima di ogni singolo cliente individuando non solo l’offerta giusta ma modo giusto di relazione realizzando una strategia di marketing one-2-one. Ad esempio da una prima analisi dei dati social si può classificare un utente all’interno di una variabile “psicometrica” in modo da avere un’idea di massima sul tipo di personalità del nostro cliente. Due ricercatori McCrae e Costa postulano 5 grandi dimensioni (Big Five) di personalità: l’estroversione-introversione, gradevolezza-sgradevolezza, coscienziosità-negligenza, nevroticismo-stabilità emotiva, apertura mentale-chiusura mentale (Goldberg, 1993). Tali dimensioni sono state individuate a partire da studi psicolessicali, secondo i quali l’uomo ha codificato in forma verbale tutte le esperienze significative per la comunità comprese, in questo caso, parole che si riferiscono alle differenze individuali: le 5 dimensioni elencate, quindi, corrisponderebbero alle macro-categorie più usate, nel linguaggio, per descrivere le diversità tra individui.

Queste 5 dimensioni e molte altre variabili) possono essere individuate in modo automatico dai dati presenti nei social network  e approfonditi con veloci questionari mirati in grado di centrare aspetti particolarmente importanti per l’azienda.

Proviamo a concretizzare questa practice in alcuni esempi:

  • Nel caso di un brand è spesso importante comprendere se una persona è “impulsiva o analitica” nel primo caso devo relazionarmi a questa con delle offerte occasioni nel secondo caso con una configurazione di prodotto più alta. E’ la stessa logica del ristorante che può approcciarti con i piatti del giorno (scelta adatta ad una persona impulsiva) rispetto al menu completo (gradito ad un’analitica);
  • Nel caso di un’assicurazione una delle metriche più significative è il cosiddetto “locus of control” che è interno o esterno. Chi possiede un locus of contro totalmente interno tende a personalizzare tutto con dinamiche di colpa e merito, chi esterno pensa di essere in balia del caso. Questo elemento non è banale per capire come presentare un prodotto assicurativo perchè in un caso il cliente riceve più volentieri un’offerta che protegge loro da fatto fare danni agli altri e nell’altro un’offerta che li tutela da eventi contestuali;
  • Nel caso di una banca la metrica su cui si cerca di lavorare è la propensione al rischio individuando alcuni possibili trend nelle preferenze. Una persona che è abituata a fare sport ad esempio ama la competizione e quindi è più probabile che abbia un tasso di tolleranza al rischio maggiore. Il family banker che ha in mano un pacchetto di contatti può avere una spannometrica indicazione su quelli con cui ha senso magari insistere di più;
  • Infine un produttore di un veicolo con trazione 4×4 I può essere interessato alla metrica della coscienziosità. Se “coscienzioso posso invitare il mio customer ad una prova sulla trazione a 4 ruote motrici in chiave sicurezza se “spericolato” la trazione 4 è la scusa per un contest più avventuroso sulla neve.
  • Più in generale sempre utilizzando il modello degli small data posso capire se una persona è “amichevole o meno” in modo da usare i canali di comunicazione in modo più attento. Una persone irascibile non gradirà certa certo ricevere delle chiamate sul proprio telefono. La tecnica degli SMALL DATA è un primo passo pragmatico verso l’integrazione tra modelli di marketing tradizionale (economia) e psicologia e scienze comportamentali: la più promettente ed evoluta frontiera per innovatore i rapporti tra i brand e le aziende con i loro clienti.

Per approfondire:

https://www.neosperience.com/it/industria-40