Criptovaluta

Digital Crime. Il Bitcoin: potenziali usi criminosi e vuoti normativi

di Giulia Scalzo, Docente di Diritto Penale dell’Informatica all’Università La Sapienza |

L’uso illecito del Bitcoin è favorito dal quasi assente controllo sulla veridicità dei dati degli utenti.

Il nuovo fenomeno Bitcoin sta attirando sempre di più l’attenzione degli Stati. Se la Cina infatti ne permette l’uso solo ai privati, altri paesi, come Germania, Singapore, Finlandia e Canada hanno subito risposto in merito alla tassazione della criptovaluta, mentre Usa, Europa, Irlanda, Italia (ma la lista è lunghissima) stanno ancora studiando l’impatto di questa nuova tecnologia con l’intenzione di voler intervenire in merito.

La rubrica #DigitalCrime, a cura di Paolo Galdieri, Avvocato e Docente di Informatica giuridica, alla LUISS di Roma, si occupa del cybercrime dal punto di vista normativo e legale.
Clicca qui per leggere tutti i contributi.

Il guadagno di consensi sembra poi non arrestarsi, vista anche l’ultima conferma da parte di Paypal, gruppo di proprietà di eBay, di aver stipulato accordi con le principali società di pagamento legate a Bitcoin (BitPay, Coinbase e GoCoin), sebbene ci chiediamo come riusciranno a convivere sotto lo stesso tetto il carattere della reversibilità delle transazioni, baluardo di Paypal, e l’irreversibilità delle stesse, caposaldo di Bitcoin.

Ancora, proprio qualche giorno fa la Microsoft ha riconosciuto ufficialmente i Bitcoin come metodo di pagamento per i suoi software, potendo gli utenti già da oggi acquistare tutti i prodotti del marchio informatico attraverso un credito online in cripto valuta.

Ma cos’è Bitcoin? E perché spaventa tutti?

Dal sito stesso vediamo che in sostanza parliamo di una rete di pagamento digitale che sfrutta la tecnologia peer-to-peer per effettuare pagamenti. Esso può essere inteso come un nuovo tipo di moneta, creata mediante crittografia e che sfrutta la stessa per controllare le transazioni, e che gli utenti possono utilizzare attraverso un’applicazione per tablet, computer o smartphone, creando un portafoglio virtuale. Questo nuovo strumento sembra facile da usare, specie per chi fa spesso uso di internet e dell’e-commerce, ma, come ogni fenomeno, presenta i suoi vantaggi e rischi per gli utenti.

A riguardo sappiamo infatti che chi compra con Bitcoin vede quasi azzerati i costi di transazione ed effettua le stesse con grande velocità. Continuando, il consumatore non corre più il rischio che il commerciante effettui cambiamenti indesiderati o inosservati, visto che la transazione è gestita direttamente ed esclusivamente dal cliente.

 

I veri vantaggi del Bitcoin

Ma i veri vantaggi che differenziano questo strumento da qualsiasi strumento di pagamento elettronico sono due. Primo, il fatto che i pagamenti vengono effettuati senza lo scambio di alcuna informazione personale dei soggetti. Secondo, l’uso del sistema block chain.

Grazie a quest’ultimo infatti, come chiarito da Bitcoin Foundation Italia, associazione di riferimento per la community italiana dei bitcoiner, tutte le informazioni sul magazzino di criptovaluta e sulle transazioni effettuate sono disponibili a chiunque, in maniera condivisa, pubblica e liberamente scaricabile su tutta la rete dei nodi, nel segno della trasparenza e della neutralità.

Esistono però rischi che non possono sottacersi. Il primo è dato proprio dalla natura dello strumento. L’utente quando acquista Bitcoin è come se facesse un vero e proprio investimento, in quanto il valore della moneta virtuale è soggetto a fluttuazioni. C’è il rischio quindi che il valore della cripto moneta cambi, come è successo infatti con la svalutazione dei Bitcoin in seguita alla vendita all’asta di quelli di Silk Road, e che i soldi investiti perdano concretamente il valore originario.

Rischi criminosi della moneta virtuale

Continuando, esistono poi rischi criminosi legati all’uso della moneta virtuale. Uno di questi viene spesso ricollegato al carattere “anonimo” delle transazioni effettuate con Bitcoin. Numerosi casi di cronaca infatti, quali Liberty Reserve, piattaforma che fungeva da borsellino online per il deposito di ingenti somme convertite in moneta digitale, e che oggi è accusata dalla Procura di New York per aver contribuito al riciclaggio di ben sei miliardi di dollari, o parimenti il caso Silk Road, sito che è accusato di aver usato Bitcoin per effettuare transazioni illegali, hanno infatti mostrato come la moneta virtuale possa fungere da strumento per agevolare attività criminose come quella del riciclaggio o del terrorismo.

In questo senso in effetti l’uso illecito di tale strumento è favorito dal quasi assente controllo sulla veridicità dei dati degli utenti. Il rischio quindi non è legato ad un’anonimità formale delle transazioni, in quanto i dati sono sempre  registrati, ma diventa evidentemente difficile risalire ad un utente che, sfruttando la carenza di controlli,  potrebbe indicare una falsa identità.

Questi aspetti hanno colpito molto il business Bitcoin, tanto da portare gli Stati Uniti a dettare stringenti linee guida per le compagnie che operano con tale valuta. Queste nuove regole hanno portato molte aziende online a chiudere o a spostarsi all’estero per riuscire ad aggirarle. Rimane comunque il serio rischio per l’utente di vedere da un giorno all’altro il suo wallet virtuale bloccato in seguito alla chiusura delle piattaforme a causa dei procedimenti penali a carico delle stesse.

Ma non è finita qui. Gli utenti infatti sono rimasti scossi da quello che è successo ultimamente ai siti Mt. Gox, Bitcoinc, Inputs.io, MyBitcoin e Flexicoin, tutte piattaforme che hanno subito attacchi hacker che hanno fatto volatilizzare Bitcoin per oltre 350 milioni di dollari. Il pericolo di furto di Bitcoin, aggiunto al pericolo di frode ai consumatori, è così alto che l’ABE (Autorità Bancaria Europea), e da ultimo la Banca d’Italia nel rapporto sulla stabilità finanziaria 2014, sono intervenute con un’avvertenza per i consumatori sulle monete virtuali. Non esiste infatti per gli utenti di Bitcoin un sistema di garanzia dei depositi come per le banche, né si applicano, nel caso di acquisti con la moneta virtuale, il diritto al rimborso come descritto dalla normativa UE vigente.

Tutto questo in una società ormai pervasa dalle tecnologie dell’informazione è inaccettabile. L’Italia ancora non regolamenta il sistema e finora è stata presentata solo una mozione di Sel per limitare l’uso del Bitcoin prima di una sua regolamentazione. Ma il vero problema è che manca una normativa a livello armonizzato, data la vasta estensione geografica dell’uso di questo nuovo strumento. Sarebbe un peccato perdere l’occasione di avere finalmente una prima moneta globale.