Riflessioni

Democrazia Futura. La storia nasconde ma non ruba

di Beppe Attene, autore, sceneggiatore e manager audiovisivo, già responsabile della produzione di Cinecittà |

Le riflessioni “storiosofiche” di Beppe Attenne per Democrazia Futura: “Occorre operare costantemente per rimuovere le rimozioni e non cadere nelle trappole delle falsificazioni operate per cancellazione”.

Beppe Attene propone una riflessione potremmo dire “storiosofica” nel suo pezzo “La storia nasconde ma non ruba”: “…se è vero che la Storia nasconde ma non ruba non è molto difficile aiutarla a occultare quel che non si vuole che venga visto. Forse si può sostenere che il fatto grave non è tanto ritenere (o illudersi) che la Storia abbia una sua finalità quanto che gli uomini possano e debbano agire attivamente per aiutarla […]. In realtà, a parte i casi estremi delle dittature di destra o di sinistra che siano, la rimozione di quel che non corrisponde alla propria lettura della Storia è molto frequente e sempre dannosa anche se non viene attuata con violenza e prevaricazione. Il regime fascista si adoperò costantemente – ricorda Attene – a rimuovere il valore del Risorgimento nella costruzione dell’Italia. Sognava, Mussolini, di collegarsi come Dux alla romanità e di riconferire così agli italiani quei caratteri di indipendenza e autorevolezza che illusoriamente attribuiva agli antichi Romani. Altrettanto illusoriamente la dirigenza comunista del dopoguerra si affannò a far dimenticare l’appello che nel 1936 Palmiro Togliatti lanciò ai fratelli italiani in camicia nera”.

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Proprio così.

La Storia è come la Casa. Piccola o grande che sia, affascinante o meno, ogni cosa successa nel corso del Tempo e all’interno dello Spazio può scomparire dalla nostra percezione ma continua a esserci.

E, esattamente come ogni cosa nel nostro domicilio, agisce direttamente anche attraverso la assenza.

Ciò vale sia per la Storia in generale come per la vita di ogni singolo membro della umana specie.

Niente di ciò che abbiamo fatto o subito, nel bene come nel male, ci abbandona.

Possiamo elaborare, convivere, apparentemente superare ma tutto agisce, più o meno sotterraneamente, su ogni cosa che facciamo, pensiamo o diciamo.

Va intanto detto che non è facilissimo accettare questo punto di vista e di consapevolezza.

Siamo abituati a pensare che quel che non abbiamo in qualche modo incontrato non ci riguarda e non ci influenza.

La Storia del mondo prima del 1492 sembra prescindere completamente dallo sconosciuto continente americano ma esso era già lì. E non ci aspettava.

Tutto ciò che nel corso dei millenni precedenti era avvenuto oltre Atlantico nella completa non conoscenza degli Europei non aveva soltanto un valore in sé in riferimento a chi quei fatti li aveva vissuti direttamente.

Dall’arrivo di Colombo in poi proprio quella “assenza” sarebbe diventata un fattore fondamentale agendo in maniera definitiva sugli equilibri mondiali.

Quella lunga assenza, quella lontananza continua ad operare nel mondo dopo oltre 500 anni e giustifica e determina tuttora una serie di fatti di interesse mondiale.

La Storia non procede a scatti e anche quello che non è apparentemente avvenuto agisce direttamente sulla continuità dei suoi percorsi di cui fa costitutivamente parte.

Spesso gli uomini hanno tentato, e tentano ancora, di negare la continuità spazio – temporale della Storia cercando di ridurla alla nostra percezione.

Sarebbe, si dice, il nostro punto di vista a creare queste connessioni.

Altre volte qualcuno si è proteso nella direzione opposta, vale a dire individuare un Senso, un Fine nel percorso storico.

Spesso questa velleità ha prodotto mostruosità parallele.

I due “gemelli totalitari” (come li definì Herling) nazismo e comunismo condividevano l’idea di una finalità palingenetica.

Da una parte la felice società comunista, che doveva “purtroppo” passare attraverso il periodo della dittatura del proletariato.

Dall’altra il definitivo trionfo della razza superiore. Anche in questo caso si doveva “purtroppo” passare per la guerra e l’atrocità della soluzione finale antiebraica.

Inutile qui ricordare ciò a cui, nella realtà, queste visioni ci hanno condotto e ancora ci conducono.

Ovviamente gli aderenti a queste concezioni hanno sempre ritenuto loro diritto (e forse persino dovere) rimuovere e cancellare dall’evidenza del percorso storico tutti i passaggi che non coincidevano con il disegno che avevano tracciato.

E, purtroppo, se è vero che la Storia nasconde ma non ruba non è molto difficile aiutarla a occultare quel che non si vuole che venga visto.

Forse si può sostenere che il fatto grave non è tanto ritenere (o illudersi) che la Storia abbia una sua finalità quanto che gli uomini possano e debbano agire attivamente per aiutarla.

In fondo il mistico che si limita fervidamente ad attendere il Giudizio Finale non danneggia minimamente gli altri esseri umani.

Assegna alla sua esistenza un senso e un obiettivo e si attribuisce regole di vita conseguenti. Punto e basta.

In realtà, a parte i casi estremi delle dittature di destra o di sinistra che siano, la rimozione di quel che non corrisponde alla propria lettura della Storia è molto frequente e sempre dannosa anche se non viene attuata con violenza e prevaricazione.

Il regime fascista si adoperò costantemente a rimuovere il valore del Risorgimento nella costruzione dell’Italia.

Sognava, Mussolini, di collegarsi come Dux alla romanità e di riconferire così agli italiani quei caratteri di indipendenza e autorevolezza che illusoriamente attribuiva agli antichi Romani.

Altrettanto illusoriamente la dirigenza comunista del dopoguerra si affannò a far dimenticare l’appello che nel 1936 Palmiro Togliatti lanciò ai fratelli italiani in camicia nera.

“I comunisti fanno proprio il programma fascista del 1919, che è un programma di pace, di libertà, di difesa degli interessi dei lavoratori…

Fascisti della vecchia guardia! Giovani fascisti! Noi proclamiamo che siamo disposti a combattere assieme a voi ”.

Ma, per fortuna, la Storia nasconde ma non ruba e il Risorgimento è lì, accanto alla connivenza staliniana con nazismo e fascismo che porterà dopo poco tempo all’accordo Molotov – Ribbentrop.

Tutto semplice, insomma. Occorre operare costantemente per rimuovere le rimozioni e non cadere nelle trappole delle falsificazioni operate per cancellazione.

Più complesso appare, però, capire la difficoltà generalmente umana ad accettare l’idea che nel corso del Tempo e dello Spazio tutto opera su tutto.

Forse ci aiuterebbe l’osservazione del percorso della Natura.

Qui appare chiaro come il susseguirsi di milioni di piccolissime modificazioni si confermi e determini infine uno stravolgente e inaspettato risultato finale sia che si tratti di piante che di esseri viventi.

Nei nostri deboli corpi come in tutto ciò che ci circonda nulla va mai perduto.

Un immenso groviglio di correlazioni a distanza regge il mondo.

Dovremmo ricordarcene mentre sorseggiamo con piacere un bicchiere di quella stessa acqua in cui centinaia di migliaia di anni fa nuotava allegramente un qualche “mostro antidiluviano”.

All’inizio del suo straordinario cammino di Pensiero Karl Marx, filosofo ebreo di Treviri, incontrò un problema teorico che andava in collisione con la struttura stessa della sua potente elaborazione.

Una volta riconosciuta, come lui sosteneva, la dipendenza dialettica della sovrastruttura culturale dalla struttura economica restava assai difficile giustificare l’emozione che a distanza di millenni ci prende di fronte, per mero esempio, a una scultura di Prassitele.

Quell’Hermes o quel Satiro erano stati concepiti e realizzati in un mondo lontano migliaia di anni dal suo (che poi è anche il nostro), con un assetto economico e sociale diversissimo e con religioni lontanissime.

In base alla legge struttura – sovrastruttura quelle statue avrebbero dovuto riflettere quel mondo e quell’ambito temporale.

Ma, allora, perché al vederle ci prende la commozione e ci si spezza il respiro?

Noi viviamo in un altro mondo, siamo espressione di un’altra struttura economico – sociale.

Il giovane Marx si rispose che quelle opere vivevano in noi come ricordo dell’Umanità fanciulla.

Ci spiegava anche lui, insomma, che nulla va perduto.