il fronte

Democrazia Futura. La Russia fa sempre più paura

di Giampiero Gramaglia, giornalista, co-fondatore di Democrazia futura, già corrispondente a Washington e a Bruxelles |

La guerra in Ucraina due anni dopo l’inizio dell’invasione entra in una fase più dinamica. Il punto di Giampiero Gramaglia.

Giampiero Gramaglia

Giampiero Gramaglia osserva come dopo la fase di stallo “La guerra in Ucraina due anni dopo l’inizio dell’invasione entra in una fase più dinamica”. Per l’ex direttore dell’Ansa come recita il titolo ” La Russia fa sempre più paura[1]“. “Visto il vacillante supporto occidentale, Putin è ormai convinto di potere conseguire i suoi obiettivi in Ucraina: le forze russe hanno ripreso ad esercitare una forte pressione sul fronte. Ma il protrarsi del conflitto ha risvolti negativi sull’economia e sulle risorse militari russe e innesca tensioni sociali per le perdite subite e le chiamate alle armi. Il leader russo ha ripetutamente manifestato la disponibilità a negoziare e a cessare i combattimenti, ma ha avvertito che la Russia vuole conservare i territori conquistati (e annessi coi referendum farsa del settembre 2022). E incalza i Paesi della Nato a indurre l’Ucraina, Paese “satellite” – parole sue – a trattare”. In queste condizioni “L’Europa si ritrova fragile e impotente, tra le minacce che la assediano”. Di qui l’invito all’Unione europea a “prendere la sicurezza nelle proprie mani” per mantenere la sua democrazia “salva e sicura” – come sottolineato da Ursula von der Leyen, candidandosi a un secondo mandato alla presidenza della Commissione europea.   

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Una riunione virtuale straordinaria dei leader del G7, sabato 24 febbraio nel pomeriggio, aprirà i consulti al vertice nell’anno di presidenza di turno italiana del Gruppo dei Grandi e segnerà il secondo anniversario dell’invasione dell’Ucraina da parte della Russia, presente l’immarcescibile presidente ucraino Volodymyr Zelen’skyj.

L’Occidente ribadisce la vicinanza a Kiev, ma lo fa – sostanzialmente – a mani vuote.

La ritirata caotica e paurosa dei militari ucraini da Avdiivka riporta in primo piano il conflitto

E sul terreno la guerra va male: gli ucraini, a corto di munizioni, perché gli aiuti militari si sono rarefatti, devono ritirarsi da Avdiivka, città sulla linea del fronte, da mesi contesa, e perdono pure una testa di ponte alla sinistra del Dniepr; i russi segnano i loro primi successi militari importanti da un anno in qua.

Con un resoconto giudicato “straordinariamente sincero” dai media occidentali, i militari ucraini descrivono una ritirata caotica e pericolosa. Mosca continua a bombardare la notte installazioni e infrastrutture militari ed energetiche e intensifica la disinformazione contro Zelen’skyj, per dividere l’opinione pubblica ucraina: i social network veicolano articoli e commenti che fomentano ed amplificano le divisioni nella leadership a Kiev, specie fra politici e generali.

Il passaggio del conflitto a una fase più dinamica, dopo uno stallo, coincide con una nuova ondata di sdegno internazionale per la morte in carcere, venerdì 16 febbraio, del maggiore oppositore del presidente russo Vladimir Putin, Alexiei Navalny, con migliaia di russi che sfidano la polizia per onorarne la memoria – centinaia gli arresti -.

Il presidente statunitense Joe Biden e tutti i leader della Nato e dell’Unione europea unanimi attribuiscono a Putin la responsabilità del decesso, avvenuto in una remota colonia penale siberiana, indipendentemente da quali ne siano cause e circostanze, ancora da chiarire.

L’anniversario dell’invasione e la morte di Navalny riportano la guerra in Ucraina in primo piano nell’attenzione diplomatica e mediatica, rispetto alla guerra in Medio Oriente tra Israele e Hamas, che dal 7 ottobre 2023 aveva invece preso il sopravvento. All’Onu, gli Stati Uniti bloccano per la terza volta una proposta di risoluzione per il cessate-il-fuoco nella Striscia di Gaza.

Nato e Unione europea invitano, d’intesa con l’Amministrazione Biden, il Congresso di Washington a sbloccare gli aiuti all’Ucraina incagliati nelle schermaglie elettorali tra democratici e repubblicani: gli arsenali di Kiev semi-vuoti non permettono di reggere la pressione dei russi. Biden dice che i repubblicani stanno “facendo un grosso errore” privando l’Ucraina dei mezzi per resistere all’aggressione, dopo che l’Unione ha stanziato oltre 50 miliardi di euro e alcuni Paesi europei fanno grossi sforzi nazionali – la Svezia, da sola, dà 700 milioni di euro -.

Visto il vacillante supporto occidentale, Putin è ormai convinto di potere conseguire i suoi obiettivi in Ucraina: le forze russe hanno ripreso ad esercitare una forte pressione sul fronte. Ma il protrarsi del conflitto ha risvolti negativi sull’economia e sulle risorse militari russe e innesca tensioni sociali per le perdite subite e le chiamate alle armi.

Il leader russo ha ripetutamente manifestato la disponibilità a negoziare e a cessare i combattimenti, ma ha avvertito che la Russia vuole conservare i territori conquistati (e annessi coi referendum farsa del settembre 2022). E incalza i Paesi della Nato a indurre l’Ucraina, Paese “satellite” – parole sue – a trattare, ché

 “prima o poi troveremo un accordo”. 

Charles A. Kupchan, del prestigioso think tank Council on Foreign Relation (Cfr), ammette che in Ucraina, nel 2023, “le cose sono andate peggio del previsto”: adesso, l’inerzia del conflitto è a favore della Russia.

L’effetto Navalny non s’è ancora stemperato, con il cadavere da restituire alla famiglia e le cause della morte non chiarite, che un altro caso acuisce la paura di quel che il Cremlino fa a oppositori e traditori. In Spagna, un disertore russo, l’elicotterista Maksym Kuzminov, la cui defezione era stata ampiamente sfruttata dalla propaganda ucraina, viene assassinato in quella che potrebbe essere un’azione dei servizi segreti russi, che vengono a colpire dentro l’Unione europea.

Stati Uniti d’America e Unione europea preparano nuovi pacchetti di sanzioni contro la Russia, la cui efficacia resta da verificare. E l’Amministrazione Biden informa Congresso e alleati che la Russia può collocare nello spazio armi nucleari: per le informazioni d’intelligence in merito, giudicate “allarmanti”, i nuovi ordigni non sarebbero ancora stati posizionati. Si parla di armi anti-satellite, che non potrebbero però colpire dallo spazio la Terra; il segretario di Stato Antony Blinken ne avrebbe parlato con Cina e Russia perché convincano la Russia a desistere dal progetto.

Il conflitto in Medio Oriente: veti, negoziati e, soprattutto, bombe e morti

Largamente anticipato, il veto degli Stati Uniti alla mozione dell’Onu per un cessate-il-fuoco nella Striscia di Gaza, dove la guerra s’avvicina ai 150 giorni e supera le 30 mila vittime complessive, non blocca le trattative in corso al Cairo per una tregua, che, però, non paiono ancora prossime a un’intesa. Stati Uniti, Qatar ed Egitto mediano tra israeliani e palestinesi.

Washington, che resta contraria a un’azione di terra a Rafah, nel sud della Striscia, dove s’accalcano un milione e mezzo di palestinesi in fuga da bombardamenti e combattimenti, motiva il veto perché la mozione non esprime il diritto di Israele a difendersi dopo gli attacchi terroristici del 7 ottobre, che fecero 1200 vittime israeliane, e non chiede l’immediato rilascio di tutti gli ostaggi – non si sa quanti siano ancora vivi, dei circa 130 non tornati a casa -. Nel Consiglio di Sicurezza, 13 Paesi votano a favore, la Gran Bretagna si astiene, gli Stati Uniti pongono il veto.

La rappresentante statunitense all’Onu Linda Thomas-Greenfield prova a contrapporre senza successo al testo algerino un proprio testo, con la richiesta di levare tutte le restrizioni agli aiuti umanitari. Non è escluso che la risoluzione ‘vetata’ venga ora sottoposta all’Assemblea generale, dove siedono tutti i 193 membri delle Nazioni Unite e dove sarebbe sicuramente votata da una larga maggioranza. Ma le decisioni del Consiglio di Sicurezza sono vincolanti, quelle dell’Assemblea no.

Sollecitata di nuovo dal Sud Africa, la Corte di Giustizia internazionale dell’Aia respinge la richiesta di misure urgenti a protezione di Rafah, ma ribadisce che Israele deve rispettare gli inviti a tutela delle vite dei civili e dei diritti umani già emanati. E la Corte, sollecitata dall’Assemblea generale, avvia una serie di audizioni sulla legalità dell’occupazione, che dura da 57 anni, da parte di Israele, dei territori che dovrebbero costituire lo Stato palestinese: il parere della Corte, una volta emesso, non avrà comunque carattere vincolante.

Nonostante trattative e diplomazia, la guerra va avanti e Israele conferma l’azione di terra a Rafah, se tutti gli ostaggi non saranno liberati. Il premier israeliano Benjamin Netanyahu ribadisce il no alla soluzione dei due Stati, perché – dice –

“non è il momento di fare dei regali ai palestinesi” e bisogna “continuare a combattere fino alla vittoria assoluta”.

L’Egitto, che teme un esodo di massa dalla Striscia, allestisce lungo il confine una zona cuscinetto larga oltre tre chilometri.

Relegati ormai a routine sui media occidentali, continuano i bombardamenti e i combattimenti, ci sono raid negli ospedali: a Gaza, un’interruzione di corrente durante una perquisizione costa la vita a una ventina di feriti e ammalati; a Khan Younis, centinaia di pazienti sono evacuati. La situazione s’inasprisce al confine con il Libano, dove raid israeliani fanno dieci vittime civili in un solo giorno – il bilancio più grave da inizio conflitto -, innescando minacce di ritorsioni da parte di Hezbollah.

Tutta la Regione resta in fermento, incluso il Mar Rosso, dove s’intrecciano gli attacchi degli Huthi a navi commerciali e ritorsioni occidentali. L’Unione europea lancia l’operazione navale EuNavFor Aspides, comando strategico greco, comando operativo italiano, a garanzia della libertà di navigazione e tutela degli scambi europei.

L’Europa esposta ai rischi e impotente verso un’Unione della Difesa

A Est, l’invasione dell’Ucraina e la repressione del dissenso culminata nell’eliminazione del leader dell’opposizione. A Sud, l’ascesso cruento del terrorismo di Hamas e gli eccessi brutali della guerra a Gaza. A Ovest, il rischio che gli Stati Uniti rinneghino la solidarietà atlantica, se Donald Trump sarà di nuovo presidente. L’Europa si ritrova fragile e impotente, tra le minacce che l’assediano.

Kupchan prova a rassicurarla:

“E’ tornata centrale per gli Stati Uniti” dell’Amministrazione Biden.

Ma, con Trump, tutto potrebbe cambiare.

Che sia stata naturale o criminale, la morte di Alexiei Navalny è stata indubitabilmente provocata dal presidente russo Vladimir Putin, che ha voluto, per il suo oppositore, un trattamento durissimo, ai limiti – e oltre – della sopportazione umana. Mentre la vedova del dissidente Yulia Navalnaya s’impegna a proseguirne la lotta, l’Occidente s’interroga sulla risposta da dare, al di là delle parole di condanna, pietre di retorica che non scalfiscono il Cremlino.

Il presidente statunitense Joe Biden dice che “ci saranno conseguenze” – la Russia potrebbe finire sulla lista dei Paesi sponsor del terrorismo, accanto a Cuba, Siria, Iran, Corea del Nord -; Stati Uniti d’America e Unione europea decidono un giro di vite alle sanzioni anti-russe. Ma Putin in Russia non vacilla: guarda senza affanni al voto che gli darà, il 17 marzo, per la sesta volta il mandato presidenziale; e, in Ucraina, mantiene le posizioni, anzi le consolida con la presa di Avdiivka, mentre il presidente ucraino Volodymyr Zelen’skyj pare febbrile, avvicenda i vertici militari e vede inaridirsi il flusso d’aiuti dall’Occidente, specie dall’America.

Per il Washington Post, con la morte di Navalny Putin

“cementa una nuova era della sua dittatura”.

Ma, come sempre, non tutto è scontato.

Gli analisti del Council on Foreign Relation invitano a prepararsi alla possibilità di un cambio di leadership a Mosca, accelerato dalle privazioni imposte al popolo russo da due anni di sofferenze e perdite conseguenti all’invasione dell’Ucraina.

Le ricercatrici Liana Fix e Maria Snegoyava avvertivano, però, che

“data l’onnipresenza dello Stato, la debolezza della società civile russa e i precedenti storici, il successore di Putin emergerà all’interno dell’attuale sistema… Il campo di leadership sarà probabilmente un processo dal basso all’alto, deciso da lotte di potere al vertice, piuttosto che un processo dal basso in alto”.

Putin, insomma, non deve temere le elezioni o le proteste di piazza, bensì una congiura di pretoriani.

L’Europa deve prendere la sicurezza nelle proprie mani

Ma la sicurezza dell’Europa non può dipendere da un Tigellino moscovita o dalle bizze di Trump, che progetta di “incoraggiare” Putin “a fare quel che vuole” dei Paesi europei morosi con la Nato. Candidandosi a un secondo mandato alla presidenza della Commissione europea, Ursula von der Leyen, fra gli artefici della fermezza con cui, incrinature a parte, l’Unione europea ha risposto all’invasione dell’Ucraina da parte della Russia, dice che l’Unione deve mantenere la sua democrazia “salva e sicura”.

Le venature ‘putiniane’ che, in Europa, si intravvedono nella riluttanza dell’Ungheria ad aiutare l’Ucraina e, in Italia, nelle reticenze della Lega a indicare le responsabilità nella morte di Navalny sono segnali che la democrazia europea non è oggi “salva e sicura”, anche se la cacofonia a Roma s’attenua il tempo di una manifestazione in Campidoglio.

Tanto più che le minacce non vengono solo da Est, ma anche da Ovest. Le sortite anti-Nato di Trump e la morte in carcere di Navalny possono dare un impulso all’Europa della Difesa, perché evocano lo spettro di un disimpegno degli Stati Uniti verso gli alleati europei e rinnovano la minaccia per la libertà rappresentata dal regime di Putin. Ma Politico, nella sua versione europea, lascia poco spazio all’ottimismo:

“Trump è già tornato e l’America ha già abbandonato l’Europa”,

scrive con un giudizio un po’ brutale, dando per scontato che il magnate vinca le presidenziali e, poi, metta in pratica i suoi propositi.

L’auspicio, intuitivo e immediato, di un colpo di reni europeo di fronte agli eventi internazionali trova riscontro nelle reazioni e nelle dichiarazioni a caldo dei leader europei alle frasi di Trump e alla scomparsa di Navalny. A Monaco, dove si tiene il Forum della Sicurezza, von der Leyen dice che, se sarà confermata presidente della Commissione europea – il mandato scade a novembre -, creerà un commissario alla Difesa: un gesto significativo, ma allo stato simbolico.

Sarebbe, infatti, illusorio pensare che basti nominare un commissario alla Difesa per fare un’Unione della Difesa: dal 2009, c’è un capo della diplomazia europea (ora, Josep Borrell), ma non per questo c’è una politica estera europea. Per arrivarci, alla politica estera come a quella della difesa, bisogna conferire all’Unione poteri adeguati e abolire, su questi temi, il vincolo dell’unanimità: sarebbe forse meglio partire non a 27, ma da un nucleo ristretto, coeso e determinato, come s’è fatto con l’euro. La sortita di Ursula von der Leyen, inattesa, ha lasciato un po’ interdetto Jens Stoltenberg, il segretario generale dell’Alleanza atlantica, che accoglie

“con favore sforzi per la difesa complementari alla Nato”,

fermo restando che l’Alleanza

“resta la pietra angolare per la sicurezza europea”.

Stoltenberg fa notare che otto decimi delle risorse Nato vengono da Paesi non appartenenti all’Unione europea e che due di essi (Stati Uniti e Regno Unito) sono “potenze nucleari”: non serve “sovrapposizione” e tanto meno “competizione” fra le due sponde dell’Atlantico, avverte.

Il ministro degli Esteri italiano Antonio Tajani, che a Monaco ha presieduto un consulto informale G7, parla, invece, di

“una proposta che mi vede assolutamente favorevole: senza difesa comune europea, non possiamo essere protagonisti in maniera paritaria nella Nato e non possiamo avere un’azione efficace di politica estera”.

A Monaco, i responsabili statunitensi, la vice-presidente Kamala Harris il segretario di Stato Antony Blinken, hanno sciorinato tutta la retorica dell’ortodossia atlantica, per cercare di rassicurare gli alleati europei su un punto: nonostante quel che dice Trump, Washington rimane impegnata nella difesa del mondo democratico. Ma il voto del 5 novembre può cambiare quadro e referenti.

Il cancelliere tedesco Olaf Scholz rileva che

“qualsiasi relativizzazione della garanzia di assistenza da parte della Nato va solo a vantaggio di chi, come Putin, vuole indebolirci”.

E Zelen’skyj auspica che la risposta a Putin resti “comune”: l’alternativa è “una catastrofe” per l’Ucraina e per l’Europa. Al ministro degli Esteri cinese Wang Yi, Borrell chiede che Pechino “non sostenga la Russia”; generica ed evasiva la risposta, “resteremo una forza di stabilità”.


[1] Scritto per The Watcher Post, 22 febbraio 2023.  Cf. https://www.thewatcherpost.it/news/ucraina-due-anni-dopo-incubo-navalny-la-russia-fa-sempre-piu-paura/.