La transizione

Democrazia Futura. Dibattito sulla Grande trasformazione digitale con Andrea Melodia, Augusto Preta, Giuseppe Richeri e Marco Severini

a cura di Bruno Somalvico, storico ed esperto dei media |

Sette domande a docenti universitari, giornalisti ed esperti di settore per comprendere la trasformazione digitale in atto e le sue conseguenze.

andrea melodia
Andrea Melodia

Nel secondo blocco di risposte alle “Sette domande a proposito della Grande trasformazione digitale” intervengono Andrea Melodia, Augusto Preta, Giuseppe Richeri e Marco Severini. Andrea Melodia sottolinea nella risposta alla sesta domanda come per evitare che “Le bolle e filtri digitali costruiti attorno agli utenti dalle piattaforme restringono gli spazi pubblici” come siano “necessari algoritmi etici e interventi pubblici: una “internet pubblica”, come viene proposto con una lunga analisi da The Public Service Media and Public Internet Manifesto (http://bit.ly/psmmanifesto) che ha raccolto le firme di 600 personalità, soprattutto accademiche, tra cui Juergen Habermas e Noam Chomsky. Un sistema pubblico di media adeguato alle tecnologie odierne richiede consapevolezza politica e finanziamenti adeguati. Cercherei anche di sostenere, più che i media tradizionali, i professionisti della comunicazione pubblica adeguatamente formati”.

Augusto Preta

Per Augusto Preta “Il tema della frammentazione può essere affrontato (e auspicabilmente risolto) solo se si riesce a creare un ambiente culturale e politico (in senso alto) favorevole. La società della conoscenza richiedeva prima e richiede ora l’impegno di tutti a trovare soluzioni semplici per questioni complesse, dal momento che – chiarisce Preta – le istanze corporative, basate su privilegi e scarsamente legate al merito (si veda la fuga dei cervelli) hanno caratterizzato negli ultimi venti anni il modello di crescita economica di Paesi come l’Italia e ne spiegano la profonda crisi che l’ha attanagliata”.

Giuseppe Richeri

Giuseppe Richeri, per parte sua, concorda con l’affermazione dell’ingegner Pozzi secondo cui siamo in presenza di un “ordine che cambia radicalmente l’economia, la politica, la società, la storia e muta radicalmente i modi di apprendere, lavorare, relazionarsi, fare impresa, amministrare la cosa pubblica” contenuta nella seconda domanda, “dal momento che i processi sia per chi si occupa di cose materiali sia per chi si occupa di cose immateriali stanno cambiando nel tempo di lavoro e nel tempo libero. Non sono però d’accordo – aggiunge Richeri – con chi pensa che l’ordine sia determinato dalle tecnologie, in questo caso quelle digitali. La storia insegna al contrario come siano gli uomini, o meglio una parte di loro, a scegliere le applicazioni delle tecnologie, magari dopo vari tentativi, per adattarle agli interessi, desideri e bisogni delle persone”.

Marco Severini

Infine, Marco Severini, dopo aver riconosciuto che “Si tratta di una grande trasformazione culturale e sociale, direi collettiva, coinvolgente ogni aspetto della vita pubblica. Naturalmente, come per le trasformazioni cruciali del passato, va conosciuta e compresa con un atteggiamento di libertà critica e costruttiva”, aggiunge – rispondendo alla seconda domanda: “E’ certo che, a seguito di questo cambiamento epocale, sono disponibili fonti e archivi che prima richiedevano una presenza fisica prolungata. Lo stesso, ampio dibattito sull’Open Science invita a un nuovo e fattivo coinvolgimento da parte degli storici che non devono dimenticarsi che senza confronto e condivisione non esiste vera trasmissione culturale”.

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Prendendo spunto dalla pubblicazione dal dizionario interdisciplinare curato da Pieraugusto Pozzi che in ventisei voci indaga la grande trasformazione digitale, Democrazia futura ha raccolto in questo Dossier le risposte di alcuni accademici, giornalisti ed esperti di varie discipline a sette interrogativi posti nell’introduzione del volume che precede, sulle caratteristiche politiche, economiche, sociali e culturali di questo complesso fenomeno. Abbiamo optato per accorparli in alcuni blocchi contenenti le risposte di tre o quattro esperti. Dopo gli interventi di Alberto Abruzzese, Giacomo Mazzone e Michele Mezza https://www.key4biz.it/democrazia-futura-dibattito-sulla-grande-trasformazione-digitale-con-alberto-abruzzese-giacomo-mazzone-e-michele-mezza/376634/, presentiamo un secondo blocco con le risposte di Andrea Melodia, Augusto Preta, Giuseppe Richeri e Marco Severini.

II. Le risposte di Andrea Melodia, Augusto Preta, Giuseppe Richeri e Marco Severini

1) La grande trasformazione digitale è interpretabile come “una grande trasformazione culturale”? O è più semplicemente una nuova modalità tecnologica (numerica) di produzione e distribuzione di creazioni ed oggetti culturali e della loro diffusione/divulgazione?

Andrea Melodia
Certamente è anche una grande trasformazione culturale. Penso sia presto per definirne compiutamente gli effetti. Si tratta di capire anzitutto se il grande balzo è in buona parte compiuto, oppure se ci riserva nuove sorprese sostanziali con l’avvento del 5G e del 6G; poi come e in quanto tempo questa trasformazione culturale sarà assorbita dal gap generazionale; se e come sarà possibile evitare che le nuove disparità socioeconomiche provochino conflitti; infine, in che misura la geopolitica e i sistemi normativi siano in grado di controllarne lo sviluppo a livello globale. Resta da capire se sia sufficiente parlare di trasformazione culturale o di trasformazione antropologica, come molti sostengono con buoni argomenti.

Augusto Preta
La trasformazione digitale è un fenomeno di dimensioni globali che segna una tappa fondamentale nell’evoluzione sociale, frutto, come in tutte le vere rivoluzioni, di profondi cambiamenti a livello, tecnologico, economico e naturalmente anche culturale. Senza anche una sola di queste dimensioni, questo processo pervasivo, distruttivo e inarrestabile non avrebbe potuto dispiegare, come sta facendo, a livello globale e in tutti gli ambiti dell’esistenza umana, i suoi poderosi effetti.

Giuseppe Richeri
Per miliardi di persone le reti digitali (pervasività e velocità) e i loro terminali (interazione) favoriscono un cambiamento culturale profondo e la trasformazione non è finita.  Cambia il loro mondo interiore, gli stimoli, la percezione e la memoria che li lega a sè stessi e alle cose fuori di sé. Cambia il mondo esteriore, la vastità degli interlocutori e l’accelerazione dei rapporti. Non basta però constatare la trasformazione culturale in atto senza sottolineare l’effetto del gap tecnologico che favorisce le persone più colte, con maggiori relazioni e dotate di strategie rispetto agli altri. Credo quindi che ci sia una trasformazione declinata secondo lo status interno ed esternodelle persone che accentua la differenza tra più favoriti e meno favoriti.

Marco Severini
Si tratta di una grande trasformazione culturale e sociale, direi collettiva, coinvolgente ogni aspetto della vita pubblica. Naturalmente, come per le trasformazioni cruciali del passato, va conosciuta e compresa con un atteggiamento di libertà critica e costruttiva

2) II digitale è davvero un “ordine che cambia radicalmente l’economia, la politica, la società, la storia e muta radicalmente i modi di apprendere, lavorare, relazionarsi, fare impresa, amministrare la cosa pubblica” o è più semplicemente un aggettivo che caratterizza l’attuale fase dello sviluppo tecnologico, come fu per la meccanica, l’elettronica, eccetera?

Andrea Melodia
Credo che cambi tutto o quasi, perché gli algoritmi e l’intelligenza artificiale sono sempre più interconnessi con le scelte umane. Per questo è indispensabile che algoritmi e intelligenza artificiale sviluppino regole di comportamento controllate eticamente.

Augusto Preta
L’evoluzione dell’attuale contesto economico e sociale conferma la preminenza dell’economia digitale quale motore di trasformazione. L’intensa innovazione introdotta a livello tecnologico si traduce in innovazioni radicali anche in chiave di prodotto e servizio. La trasformazione digitale agisce infatti in tutti gli ambiti della vita civile, dando impulso a interi settori: lavoro, assistenza, salute, accesso ai servizi bancari, acquisti, scuola, interazioni sociali, tutto passa ormai attraverso questo filtro.

Giuseppe Richeri
Mi sembra che si tratti di “un ordine che cambia radicalmente……” dal momento che i processi sia per chi si occupa di cose materiali sia per chi si occupa di cose immateriali stanno cambiando nel tempo di lavoro e nel tempo libero. Non sono però d’accordo con chi pensa che l’ordine sia determinato dalle tecnologie, in questo caso quelle digitali. La storia insegna al contrario come siano gli uomini, o meglio una parte di loro, a scegliere le applicazioni delle tecnologie, magari dopo vari tentativi, per adattarle agli interessi, desideri e bisogni delle persone. Basterà ricordare, per limitarci ai tempi moderni, le differenze tra le scoperte e le applicazioni del telegrafo e del telefono, della radio e dei satelliti artificiali fino a Internet. Altrettanto mi aspetto che succeda anche per le prossime “invenzioni” digitali.

Marco Severini
In parte ho già risposto. Ma vorrei fare un esempio tratto dalla mia professione di storico. E’ certo che, a seguito di questo cambiamento epocale, sono disponibili fonti e archivi che prima richiedevano una presenza fisica prolungata. Lo stesso, ampio dibattito sull’Open Science invita a un nuovo e fattivo coinvolgimento da parte degli storici che non devono dimenticarsi che senza confronto e condivisione non esiste vera trasmissione culturale. Inoltre l’esperienza pandemica, non ancora superata, ci ha lasciato tre rilevanti insegnamenti: l’importanza della condivisione, perché quando il sapere si condivide tutti “vincono” e l’umanità può progredire; la necessità impellente di dati aggiornati e concreti; e infine che le ricerche servono subito, specie per fronteggiare emergenze come quella che stiamo vivendo.

3) Per quali ragioni la promessa di “un universo digitale libero, aperto, trasparente, di conoscenza condivisa, di benessere” si è trasformata in una realtà di “disinformazione, polarizzazione settaria, sfiducia risentita, forti diseguaglianze”? È possibile che la straordinaria utopia del World Wide Web possa essere riutilizzata per consentire un dibattito pubblico informato, consapevole e partecipato?

Andrea Melodia
Non credo sia il World Wide Web la causa di queste gravi carenze. È vero che il digitale è binario, ma abbiamo imparato a gestire, con gli 0 e gli 1, una infinita scala di grigi e di colori. Credo, invece, che derivino dalla mancanza di controllo e dall’insufficiente autocontrollo in alcuni social oggi vincenti. Tuttavia, è vero che nella moltiplicazione della comunicazione interpersonale non essendo adeguatamente educata sono presenti rischi anche in assenza di algoritmi intermedi. Se mando dieci SMS di insulti offendo dieci persone, se ne mando solo uno su Facebook potrei offenderne migliaia. Se su Facebook ci fosse un algoritmo “responsabile”, forse non offenderei nessuno. Nella rete convivono enormi potenzialità in espansione e oscuri meandri di follia.

Augusto Preta
Tutte le utopie debbono fare i conti con la realtà, ma non i sistemi che hanno dato vita a quelle utopie lasciano necessariamente in eredità un mondo peggiore del precedente. Nel nostro caso i benefici della società digitale sono sotto gli occhi di tutti, ad esempio nella resilienza al Covid-19, poiché la pandemia ha reso evidente quanto cittadini, lavoratori, consumatori e imprese dipendano dai servizi digitali, che grazie alla loro presenza hanno reso possibile, in una situazione così drammatica, di sostenere settori critici essenziali (salute, infrastrutture, lavoro, scuola e formazione, economia). Dall’altro lato è evidente che in una società liquida, come l’attuale, caratterizzata dalle “camere dell’eco” e i cosiddetti bias cognitivi, si accentuino quelle tendenze negative che peraltro la stessa televisione e altri mezzi di comunicazione di massa (stampa) aveva già conosciuto e favorito, anche se naturalmente non con la stessa magnitudine dei social media.

Giuseppe Richeri
Non pochi osservatori hanno indicato fin dall’inizio e senza ambiguità che il World Wide Web non sarebbe stato un universo aperto trasparente e di conoscenza condivisa. Non per estro, ma per la loro capacità di indagare il fenomeno e di trarre poi le conseguenze, cosa che molte persone per entusiasmo o ingenuità, non hanno saputo o voluto fare. L’esposizione “positiva” alla rete ha effetti che dipendono dall’abilità cognitiva e dalla dotazione culturale di chi ne fa uso e dal suo contesto. Credo che ciò che avviene sul web rappresenti in modo molto amplificato, strumentale e spesso anonimo, quanto succede nella stampa e negli altri organi di informazione, nonostante che in quest’ultimo caso le leggi tentino di calmierare gli eccessi. Non è un caso che da un po’ di tempo in molti Paesi, anche quelli “democratici”, si discuta per esempio se sia il caso di proibire l’uso dei social media a certe fasce di età, o di vigilare, regolare, limitare in modo più attento il loro uso.

Marco Severini
Per via degli interessi economici che risultano sempre più massicci e invasivi. Da una parte, c’è un serio problema di governance nel settore, dall’altra, come qualsiasi altra forma di profitto non regolamentato, vengono prodotte diseguaglianze sempre più forti e pervasive.

4) Per quali ragioni si sono affermati monopoli di fatto di poche piattaforme egemoni fondate su sistemi proprietari e in che modo queste potrebbero essere diversamente regolate e responsabilizzate in un’economia di mercato più aperta?

Andrea Melodia
Perché sono stati più abili, veloci e creativi nella fase iniziale, poi proprio perché hanno agito in quelle economie di mercato dove è stato più facile trovare finanziamenti espansivi e dove minori erano le regole antitrust. La velocità della loro crescita è stata davvero impressionante. Non so se nelle future fasi di espansione tecnologica digitale, che sono legate essenzialmente alla capacità delle reti di autoregolarsi via software – resta da capire a favore di chi – ci potranno essere fenomeni di crescita così eclatanti.

Augusto Preta
Il tema in questo caso è molto scivoloso, perché bisogna sempre fare molta attenzione a regolare il mercato, perché questo richiede: 1) che le soluzioni siano chiare, uniche e condivise; 2) che chi regola non sia parte in causa; 3) che l’innovazione, che rimane e che continua a costituire il motore fondamentale della trasformazione digitale, non venga bloccata

Giuseppe Richeri
Quando le piattaforme hanno preso forma gli Stati Uniti, grazie alle loro capacità tecnologiche, alle loro disponibilità finanziarie pubbliche e private e alle dimensioni del loro mercato hanno messo nelle condizioni i più abili (creatività, competenze, orientamento agli affari e altro) di raggiungere posizioni dominanti. La loro espansione fuori dagli Stati Uniti d’America è dipesa, oltre alla dinamica espansiva degli affari, da almeno due fatti: il sostegno del governo statunitense e l’incapacità, nel nostro caso, dell’Europa di sostenere i propri “campioni” potenziali proteggendoli rispetto all’esterno. Si è cominciato a correre ai ripari troppo in ritardo e vedremo cosa potranno fare le nuove regole che l’Europa ha adottato. Da questo punto di vista la Cina ha fatto quello che l’Unione Europea avrebbe dovuto fare, non ripetendo però  lo sfruttamento delle piattaforme per indagare, controllare e orientare i comportamenti delle persone come succede laggiù.

Marco Severini
Perché non si sono date regole chiare e uniformi. Ha prevalso la classica libertà di mercato e il sempre più persistente individualismo che caratterizza il nostro tempo. Insieme a ciò si riscontra, giorno dopo giorno, una evidente sfiducia nello Stato e nelle sue articolazioni. Invece, perlomeno nel mondo occidentale, lo Stato può offrire alla comunità servizi migliori e più economici rispetto all’iniziativa privata.

5) Il controllo della gestione dei big data è davvero lo strumento di una nuova forma di dominio di un capitalismo digitale che esercita una stretta sorveglianza su tutta l’attività in un mondo globalizzato e come tale è destinato ad essere il motore di un nuovo profitto per un lungo periodo dell’umanità o siamo solo in una prima fase di accumulazione primitiva cui seguirà una fase di assestamento e di ridistribuzione delle ricchezze grazie alla ripresa del controllo o comunque dell’indirizzo esercitato da entità statuali o sovra-statuali di fronte alle nuove sfide e ai nuovi rischi globali: sanitari, climatici, ambientali?

Andrea Melodia
Difficile rispondere, dipende se si è fondamentalmente ottimisti o pessimisti. I dati, nati come sottoprodotto della rete, sono diventati la misura del suo valore. Tutto dipenderà dalle norme e dalla consapevolezza negli interventi pubblici, ma è evidente che i confini nazionali sono insufficienti. C’è da sperare che le grandi emergenze globali, clima e pandemie in primis, costringano la mano pubblica a interventi decisivi. A livello privato, chi pensa di fare la cosa giusta proteggendo i propri dati personali relativi a azioni pubbliche – salvo il legittimo pudore personale, in senso lato  – mi pare un illuso. Non potrà riuscirci, e forse ostacolerà aspettative legittime. Io cerco di proteggere solo le mie password.

Augusto Preta
La tendenza inarrestabile a innovare e all’uso di tecnologie sempre più performanti, in chiave di efficienza e di prestazioni, impone il crescente utilizzo dei dati e dell’Intelligenza Artificiale, anche nella prospettiva di sostituzione del lavoro umano in vari ruoli e compiti, ma anche in chiave di sviluppo di nuove opportunità. Oggi è evidente che coloro che hanno investito per primi in questo ambito e ne hanno fatto il proprio modello di business cercano di evitare che altri possano sostituirsi ad essi, secondo un modello “winner takes all”. Trattandosi di un fenomeno globale, le conseguenze sono planetarie e gli interventi per favorire un maggior grado di concorrenza non possono che essere quantomeno bilaterali o trilaterali (Europa/Usa/Cina).

Giuseppe Richeri
Non vedo per ora la possibilità che il tema sia trattato e regolato attraverso l’intervento di eventuali “entità globali”. Sui big data se ne sentono di tutti i colori. Per chi non ha competenze tecnologiche adatte è assai difficile capire il loro funzionamento e interpretare le loro potenzialità e le prospettive. Sappiamo quali sono oggi i terreni di applicazione e i vantaggi competitivi di chi li applica in modo più accorto (vedi per esempio Netflix) e disponiamo ormai di alcune informazioni di carattere generale relative alla contesa tra Cina e Stati Uniti sulle tecnologie. Vista la piega recente imposta da Trump e seguita finora da Biden, quella dei big data sarà una battaglia campale perché la Cina intende emanciparsi completamente dalle tecnologie americane e punta, tra le altre cose, alla leadership mondiale nel campo dei big data e di altre tecnologie che intende raggiungere entro il 2035. Prima di un nuovo profitto o di entità globali la situazione dei big data sarà dominata da tale conflitto.

Marco Severini
Nella condizione attuale, assomiglia più a una forma di capitalismo digitale, con conseguenze via via più funeste, che non ad altro. Il Financial Times, il 17 giugno 2020, riportava i “cento vincitori” dei primi mesi pandemici, dal primo posto di Amazon che ha aggiunto al suo capitale 401,1 miliardi di dollari, agendo su più filiere negli States e nel mondo occidentale, agli altri big del cloud computing e della logistica, tutti statunitensi con l’eccezione del colosso cinese Tencent (in quinta posizione) ma tutti operanti nel settore delle nuove tecnologie o delle telecomunicazioni: Microsoft, anche grazie alla diffusione dell’applicazione Teams, aveva guadagnato 269,9 miliardi e a beve distanza lo seguivano Nvidia, che produce schede video, Facebook, Alphabet (holding di Google), PayPal e T-Mobile. Oltre a questo ambito, tra le prime 50 imprese nel primo semestre del 2020 c’erano solo, per evidenti ragioni, la farmaceutica.

6)“Le bolle e i filtri digitali costruiti attorno gli utenti dalle piattaforme restringono gli spazi pubblici, frammentando e polarizzando le opinioni, anziché favorire come la stampa e i mezzi di comunicazione nelle società aperte la formazione di un’opinione pubblica informata e conoscenze aperte e verificate”. Si tratta di un fenomeno irreversibile di riduzione e frammentazione della sfera pubblica destinato a segnare la storia nei prossimi decenni o è ancora possibile governare la rete e rilanciare quella società della conoscenza aperta e condivisa a cui aspiravano i fondatori del Web?

Andrea Melodia
Valgono le risposte precedenti. Sono necessari algoritmi etici e interventi pubblici: una “internet pubblica”, come viene proposto con una lunga analisi da The Public Service Media and Public Internet Manifesto (http://bit.ly/psmmanifesto) che ha raccolto le firme di 600 personalità, soprattutto accademiche, tra cui Juergen Habermas e Noam Chomsky. Un sistema pubblico di media adeguato alle tecnologie odierne richiede consapevolezza politica e finanziamenti adeguati. Cercherei anche di sostenere, più che i media tradizionali, i professionisti della comunicazione pubblica adeguatamente formati.

Augusto Preta
Il tema della frammentazione può essere affrontato (e auspicabilmente risolto) solo se si riesce a creare un ambiente culturale e politico (in senso alto) favorevole. La società della conoscenza richiedeva prima e richiede ora l’impegno di tutti a trovare soluzioni semplici per questioni complesse, dal momento che le istanze corporative, basate su privilegi e scarsamente legate al merito (si veda la fuga dei cervelli) hanno caratterizzato negli ultimi venti anni il modello di crescita economica di Paesi come l’Italia e ne spiegano la profonda crisi che l’ha attanagliata. La società aperta non ha trovato grande modo di esprimersi in passato e solo partendo da questa consapevolezza si può tentare di modificare in senso positivo gli elementi negativi e distorsivi della dimensione attuale, per creare una nuova società aperta e della conoscenza anche nel mondo digitale.

Giuseppe Richeri
Negli ultimi anni è aumentato il numero di persone che accedono al web ed è diminuito quello degli spettatori televisivi lineari (tipo Rai, Mediaset) e dei lettori di giornali. L’identità collettiva era più forte prima o adesso? I social network e, più in generale, il web polarizzano e separano le  persone in base a fattori identitari e distintivi. Non ci sono passerelle capaci di ridurre  le divisioni. Credo che questo processo sia irreversibile e sia omogeneo allo sviluppo del web: governare le sollecitazioni offerte dall’insieme del web, come avviene per esempio con un giornale, è impossibile e le persone devono ritagliarsi un campo informativo di riferimento, più facilmente controllabile, che ne esclude però mille altri.

Marco Severini
Di irreversibile nella storia dell’umanità ci sono state solo le grandi trasformazioni. Ma non è detto che questa passi alla storia come una di queste. Infatti gli squilibri, le dissonanze, i problemi sempre più accentuati che ha creato e continua quotidianamente a creare la porterà, prima o poi, a una sorta di punto di non ritorno o a una specie di rotta di collisione contro sé stessa. Potrebbe verificarsi una sorta di implosione di una realtà trasformativa e performante che, invece, di migliorare le sorti dei cittadini planetari le avrà nettamente peggiorate.

7) La politica e la democrazia potranno riconquistare campo nel disegno del futuro e nella ricerca del bene comune o il tecno-capitalismo dei dati e della sorveglianza è destinato ad egemonizzare il governo delle prossime generazioni, segnando il tratto caratteristico di società tecnocratiche, autocratiche, post-democratiche?     

Andrea Melodia
L’espressione “capitalismo della sorveglianza” non mi convince molto. Parlerei di “capitalismo della profilazione”, che certo va regolato ma che fa meno danni della sorveglianza, soprattutto illegittima. Il digitale può davvero creare sorveglianza stile “grande fratello”, ma credo sia più tentazione della mano pubblica che di quella privata. Del resto, già lo vediamo in atto in alcuni Paesi, ed è fondamentale tenerlo ovunque sotto controllo, anche se mi sembra inevitabile che se ne estenda l’uso contro la criminalità, il terrorismo e anche per salvaguardare la salute pubblica.

Giuseppe Richeri
Democrazia e dittatura hanno bisogno di forme di controllo sempre più complesse. Siamo abituati a osservare l’uso di Internet, del riconoscimento facciale attraverso le telecamere pubbliche o di altro da parte di paesi come la Cina per controllare le persone, i loro movimenti, le loro idee con l’obiettivo di orientarle o eventualmente punirle. Ma nei paesi democratici gli strumenti di controllo pubblico o privato delle persone stanno facendo passi avanti. Basta pensare al controllo altrettanto capillare di vari comportamenti individuali attraverso le carte di credito, i telefoni cellulari, Internet, le telecamere pubbliche, oltre ai comportamenti finanziari. Sappiamo che in certi casi anche in Occidente l’uso di Internet (accessi, messaggi, eccetera) è soggetto a controlli personali da parte dello Stato, oltre al fatto che imprese come Google, Facebook, Amazon e altre registrano, trattano e utilizzano a fini economici un gran numero di informazioni su ciascuno dei loro utenti.

Marco Severini
Le società democratiche sono giunte ormai a un bivio: possono aggiornarsi e rifondarsi attorno a una idea critica, propositiva e accessibile a tutti di cultura e di partecipazione politica e civile oppure consolidare le derive agghiaccianti contenute nella domanda. Sembra facile, ma l’analogia più evidente è con la drammatica situazione ambientale del pianeta che ci ospita: se si avrà il coraggio di cambiare strada, lavorando tutti in direzione del contenimento subitaneo delle diverse forme di inquinamento, rinunciando quindi a privilegi e posizione di forza, potremo coltivare concrete speranze di salvezza. Viceversa, gli scenari terribili si concretizzeranno. Bisogna però coinvolgere in prima istanza le giovani generazioni, senza aver paura della loro inesperienza. Tuttavia, vedendo il calo costante di chi va a votare (confermato dalle recenti amministrative), è meglio non farsi grandi illusioni.