Domande e risposte

Democrazia Futura. Dibattito sulla Grande trasformazione digitale, con Alberto Abruzzese, Giacomo Mazzone e Michele Mezza

a cura di Bruno Somalvico, storico ed esperto dei media |

Sette domande a docenti universitari, giornalisti ed esperti di settore. Nel primo blocco ecco le risposte di Alberto Abruzzese, Giacomo Mazzone e Michele Mezza.

Alberto Abruzzese

Sulla base di queste e altre considerazioni contenute nell’introduzione dell’ingegner Pozzi, Bruno Somalvico pone “Sette domande a proposito della Grande trasformazione digitale” ad accademici giornalisti ed esperti, raccogliendole in alcuni blocchi. Nel primo blocco troviamo le risposte di Alberto Abruzzese, Giacomo Mazzone e Michele Mezza che con accenti diversi condividono le problematiche evidenziate negli interrogativi loro sottoposti condividendo le riflessioni dell’introduzione del Piccolo dizionario della Grande Trasformazione digitale ma approdano a considerazioni e soluzioni diverse. Per Alberto Abruzzese così come “I primi giardini “terrestri” erano tanto liberi da essere “paradisi” eppure già da allora qualcuno o qualcosa vi creò un inciampo, un tranello. Le matrici del delitto. Il conflitto di interessi tra deboli e forti”, allo stesso modo “il Web non ha mantenuto le sue promesse di libertà […] per la stessa ragione che, sul piano comunicativo/operativo, il salto da piattaforme analogiche a piattaforme digitali è stato compiuto sempre ancora di nuovo dalle forme conflittuali e mutanti dell’abitare. Con il crescere della loro complessità, esse non hanno tuttavia depotenziato ma anzi hanno esaltato le possibilità di violenza della natura umana (ciò che ci ostiniamo ad attribuire al fantasma del capitalismo invece che riconoscerlo come protesi umana).

Giacomo Mazzone

Delle sue organizzazioni sociali e dei loro apparati”. “Le ideologie (falsa coscienza) – elaborate nel tempo antico, moderno e postmoderno con lo scopo di negare e contrastare la verità, o meglio oggettività dei regimi e forme di potere – sono servite per costituire gli stessi dispositivi (questa è stata la democrazia) storicamente necessari alla violenza della civilizzazione […] aggiunge Abruzzese prima di concludere: “è urgentemente necessario intraprendere una lunga e laboriosa ridefinizione dello spazio della persona all’esterno delle ideologie della politica e della sua più “squisita”, dunque delittuosa, radice umanistica.  La persona – i suoi spazi di sopravvivenza – ha il bisogno vitale di riuscire almeno a controllare, frenare, gli effetti più tragici delle etiche, estetiche e politiche della soggettività e dei soggetti del tempo moderno”. “Per Giacomo Mazzone la trasformazione del web in una realtà di “disinformazione, polarizzazione settaria, sfiducia risentita, forti diseguaglianze” deriva da due ragioni. “Prima ragione. Alcune imprese (statunitensi e cinesi) hanno capito per tempo che la digitalizzazione poteva fornire loro un vantaggio competitivo per la prima volta davvero a livello globale. E quindi hanno approfittato dell’attuale far west (creato dal Millennium Act approvato oltre Oceano nel 2000) per stabilire il loro dominio globale […]. In un circolo vizioso, questo abuso di posizione dominante e le brutali modalità applicate da questi soggetti per sbarazzarsi dei concorrenti o per eliminare le forme preesistenti non digitali, a loro volta stanno accelerando il processo di diffidenza e di sfiducia dei cittadini. Seconda ragione. Purtroppo però questi comportamenti delle imprese sono solo un’accelerazione e una ‎esasperazione di una caratteristica propria della trasformazione digitale. Il digitale – per sua natura – è binario. Non a caso è ‎un susseguirsi all’infinito di zero e uno.

Michele Mezza
Michele Mezza

E’ assai più semplice, immediato e di diretta comprensione nella comunicazione digitale dire “bianco” o “nero” che spiegare le infinite varietà di grigio che ci stanno in mezzo. Questo spiega anche il meccanismo delle fake news.” Per Michele Mezza “Il digitale proprio come aggettivo e non sostantivo ridisegna ogni attività umana mediante le nostre azioni e i nostri pensieri con l’arbitrato dell’algoritmo che ricalcola interessi, obbiettivi e emozioni del nostro agire riproducendole con modelli proprietari che prefigurano nuove forme di dominio”. Per Mezza “l’uso di una mole mastodontica dei dati permette a chi dispone di una potenza di calcolo proporzionale di azzerare ogni possibile rischio esercitando un potere inedito e continuo su tutti i fattori del mercato dai consumatori ai concorrenti”. Come se ne esce? “Colmando il buco nero dell’attrito sociale. Ci vogliono – conclude Mezza – nuovi soggetti negoziali che non siano una bolsa ripetizione delle dinamiche del Novecento nel contrasto capitale-lavoro, ma che colgano la specificità della centralità oggi dei processi di formazione del sapere come motori della ricchezza e del potere sociale. Occorre che questi soggetti collettivi […] ripropongano esperienze e procedure di conflittualità sociale e di negoziato civile per domare e addomesticare la potenza di calcolo che, in una logica di trasparenza e condivisione, sarebbe una straordinaria forza di emancipazione dell’umanità.

I. Le risposte di  Alberto Abruzzese, Giacomo Mazzone e Michele Mezza

1) La grande trasformazione digitale è interpretabile come “una grande trasformazione culturale”? O è più semplicemente una nuova modalità tecnologica (numerica) di produzione e distribuzione di creazioni ed oggetti culturali e della loro diffusione/divulgazione?

Alberto Abruzzese
Premessa necessaria a tutte le mie risposte: la brevità mi impone un selvaggio schematismo. Così è oggi anche l’opinione pubblica ad ogni livello sociale, ma proprio per questo bisogna essere altrettanto schematici per contrastarla ai suoi vertici e alla sua base. A volere scrivere saggi e libri elaborati e compiuti secondo la tradizione delle culture sapienziali, le argomentazioni originali da cercare e sviluppare sono sempre più faticose … e non c’è più tempo. Per avere cura della persona, la società si rivela sempre più in difetto in ognuno dei suoi regimi. Fatta questa premessa, non vedo come si possa ritenere che la trasformazione digitale non sia una trasformazione culturale. Sarebbe come potere dire e pretendere di dire altrettanto per la scrittura o la fotografia.

Giacomo Mazzone
L’una e l’altra. Sara soprattutto una grande trasformazione culturale. Con una serie di enormi rischi –  opportunità ad essa collegati. Se l’introduzione della calcolatrice portatile ha fatto dimenticare le tabelline all’umanità e l’introduzione dei navigatori ha fatto perdere il senso dell’orientamento nello spazio, immaginiamo cosa accadrà quando l’intelligenza artificiale renderà superflua la maggior parte delle nostre azioni quotidiane. E’ davvero immaginabile che sei miliardi di persone si dedichino tutte alla creatività, alla riflessione ed alla filosofia? La trasformazione digitale è anche una riproduzione numerica. La digitalizzazione di tutto ciò che è possibile trasformare in bit sta stravolgendo e stravolgerà molto di più l’economia, il concetto di lavoro e di produzione del reddito e della ricchezza, il valore del tempo libero versus il tempo di lavoro.

Michele Mezza
Per adeguarmi al tono asciutto e alla forma sintetica, posso rispondere che convengo con chi ritiene che siamo solo all’inizio di un processo di riclassificazione antropologica dell’evoluzione della specie, in cui la potenza di calcolo fuoriesce dal suo alveo biologico dove fino ad ora aveva agito permettendo la riproduzione fisica e materiale dell’umanità mediante un sistema computazionale che dal codice genetico risale lungo tutta la filiera per diventare come diceva Galileo il linguaggio della vita, oggi lo stesso modello matematico si propone come ordinatore sia delle forme socio produttive dell’umanità che di quelle emotive e biologiche prefigurando un nuovo modello di relazioni, di riproduzione e di sostituzione della soggettività umana.

2) II digitale è davvero un “ordine che cambia radicalmente l’economia, la politica, la società, la storia e muta radicalmente i modi di apprendere, lavorare, relazionarsi, fare impresa, amministrare la cosa pubblica” o è più semplicemente un aggettivo che caratterizza l’attuale fase dello sviluppo tecnologico, come fu per la meccanica, l’elettronica, eccetera?

Alberto Abruzzese
Come sopra. Possiamo invece dire che  appunto economia, politica, società, storia, apprendimento, lavoro, relazioni, imprenditoria, apparati amministrativi (magari seguendo un ordine gerarchico diverso e aggiungendoci qualcosa, mettendoci un eccetera oppure riassumendo il tutto con “forme e soggetti dell’abitare” o addirittura “mondo”) sono stati capaci di determinare – inventare e trovare, produrre – le tecnologie necessarie a un mutamento radicale del loro linguaggio, della loro comunicazione, della loro rappresentazione e via dicendo. Insomma: capaci di edificare nuovi territori.

Giacomo Mazzone
Per me vale la prima opzione. Non è pensabile di esser digitali e continuare a lavorare, studiare, relazionarsi e fare impresa come lo si è fatto finora. Il problema è che la gestione di questo processo affidata alle regole del gioco del capitalismo porterà ad una frattura crescente e sempre più profonda fra le società ricche e quelle in via di sviluppo, ma anche dentro le nostre società, fra nativi digitali e no, fra alfabeti e analfabeti digitali. Questa frattura – se non la si ricompone rapidamente – è destinata ad esplodere in conflitti sociali in una prima fase, che, a loro volta, rischiano di diventare conflitti fra paesi e regioni del mondo nel medio termine. Il fenomeno della Brexit e l’elezione alla Casa Bianca di Donald Trump non ne sono state che le prime avvisaglie.

Michele Mezza
Il digitale proprio come aggettivo e non sostantivo ridisegna ogni attività umana mediante le nostre azioni e i nostri pensieri con l’arbitrato dell’algoritmo che ricalcola interessi, obbiettivi e emozioni del nostro agire riproducendole con modelli proprietari che prefigurano nuove forme di dominio. Come scriveva Gottfried Wilhelm von Leibniz se la musica è un’attività occulta dell’aritmetica in cui l’anima non sa di calcolare, oggi c’è chi non solo lo sa ma usa questa azione computazionale che muove le nostre emozioni e determinazioni ricalcolandone motivazioni e conclusioni. Siamo all’inizio di una fase che potremmo chiamare del computacene.

3) Per quali ragioni la promessa di “un universo digitale libero, aperto, trasparente, di conoscenza condivisa, di benessere” si è trasformata in una realtà di “disinformazione, polarizzazione settaria, sfiducia risentita, forti diseguaglianze”? È possibile che la straordinaria utopia del World Wide Web possa essere riutilizzata per consentire un dibattito pubblico informato, consapevole e partecipato?

Alberto Abruzzese
I primi giardini “terrestri” erano tanto liberi da essere “paradisi” eppure già da allora qualcuno o qualcosa vi creò un inciampo, un tranello. Le matrici del delitto. Il conflitto di interessi tra deboli e forti. E il medium della felicità così come della sofferenza furono i desideri della carne, i bisogni del corpo, la necessità di sopravvivenza ad uno stato di necessità che tutte le ideologie della libertà non hanno mai potuto smentire. Per quale ragione il Web non ha mantenuto le sue promesse di libertà? Esattamente per la stessa ragione che, sul piano comunicativo/operativo, il salto da piattaforme analogiche a piattaforme digitali è stato compiuto sempre ancora di nuovo dalle forme conflittuali e mutanti dell’abitare. Con il crescere della loro complessità, esse non hanno tuttavia depotenziato ma anzi hanno esaltato le possibilità di violenza della natura umana (ciò che ci ostiniamo ad attribuire al fantasma del capitalismo invece che riconoscerlo come protesi umana). Delle sue organizzazioni sociali e dei loro apparati.

Giacomo Mazzone
Essenzialmente per due ragioni: una contingente (legata all’avidità delle piattaforme internet globali) e una di fondo, legata alla natura intrinsecamente binaria del digitale.
Prima ragione. Alcune imprese (statunitensi e cinesi) hanno capito per tempo che la digitalizzazione poteva fornire loro un vantaggio competitivo per la prima volta davvero a livello globale. E quindi hanno approfittato dell’attuale far west (creato dal Millennium Act approvato oltre Oceano nel 2000) per stabilire il loro dominio globale.
In un circolo vizioso, questo abuso di posizione dominante e le brutali modalità applicate da questi soggetti per sbarazzarsi dei concorrenti o per eliminare le forme preesistenti non digitali, a loro volta stanno accelerando il processo di diffidenza e di sfiducia dei cittadini. In specie di quelli non digitali o penalizzati dalla digitalizzazione. Il problema è che i cittadini colpiti da questo cambiamento non hanno ancora capito da dove venga la vera minaccia e reagiscono scompostamente, prendendosela con il primo bersaglio che viene loro indicato: i migranti, l’Europa, i vaccini.
Seconda ragione. Purtroppo però questi comportamenti delle imprese sono solo un’accelerazione e una ‎esasperazione di una caratteristica propria della trasformazione digitale. Il digitale – per sua natura – è binario. Non a caso è ‎un susseguirsi all’infinito di zero e uno. E’ assai più semplice, immediato e di diretta comprensione nella comunicazione digitale dire “bianco” o “nero” che spiegare le infinite varietà di grigio che ci stanno in mezzo. Questo spiega anche il meccanismo delle fake news. Una volta che si è aprioristicamente stabilito se si è nel campo del “bianco” o del “nero”, si tende automaticamente ad accettare qualsiasi cosa rientri nel campo che si è scelto, anche la più inverosimile. Perché aprioristicamente la si identifica come facente parte del proprio campo. Questa visione dicotomica del mondo, purtroppo, è destinata a durare, sino a che i vinti di questa nuova competizione globale non riusciranno a capire chi è il loro vero nemico ancora per molto tempo. Ma come accadde coi luddisti della prima rivoluzione industriale, accadrà presto che un nuovo movimento sociale (come accadde col socialismo) arriverà e riuscirà a rivolgere e incanalare la rabbia verso i veri responsabili della pauperizzazione in corso di interi settori sociali.

Michele Mezza
Per il semplice motivo che nessuna tecnologia spontaneamente rimane neutra o addirittura promuove condivisione senza una pressione conflittuale che dalla società contrasta e bilancia la pressione di interessi proprietari che si sono impossessati dei meccanismi comunitari, trasformando un sistema – nato come processo cooperativo e esterno alle forme speculative del mercato – in una delle leve di arricchimento privatistico più potenti e squilibranti. La mancanza di quello che l’ex chairman di Google Eric Schmidt definisce come “attrito sociale” rende attualmente l’ambiente digitale come unilaterale e totalitario nella sua gestione speculativa.

4) Per quali ragioni si sono affermati monopoli di fatto di poche piattaforme egemoni fondate su sistemi proprietari e in che modo queste potrebbero essere diversamente regolate e responsabilizzate in un’economia di mercato più aperta?

Alberto Abruzzese
Ma – se ho capito bene la domanda – cosa di diverso sarebbe potuto accadere in una economia di mercato? Quando mai non sono prevalse le economie di mercato di natura proprietaria, se non quando esse sono state strategicamente represse da politiche di dominio? Qui bisognerebbe invece parlare del nodo cruciale costituito dal rapporto tra una finanza sempre più globale – sovrana – e la sopravvivenza di regimi politici nazionali e di loro alleanze strategiche inevitabilmente dotate di sovranità limitata e in concorrenza tra loro.

Giacomo Mazzone
Perché il Millennium Act approvato negli Stati Uniti (costruito sulle basi della globalizzazione mondiale che avevano appena portato agli accordi costitutivi dell’Organizzazione Mondiale del Commercio (Wto) ha creato le condizioni per quel far west globale a cui accennavo sopra e di cui le imprese digitali americane hanno saputo approfittare. Mentre le imprese tradizionali si sono trovate nell’impossibilità di reagire a questa aggressione, anche a causa dei vincoli legislativi cui erano sottoposte. Vedasi il caso dei cosiddetti Over-the-Top (OTT) trasportati gratuitamente dalle imprese di telecomunicazione o dell’elusione fiscale sistematica dei Giganti della Rete. Paradossalmente i danni sono stati maggiori in quelle regioni del mondo che – in buona fede – avevano rispettato gli accordi sulle tariffe doganali e sul commercio Gatt/Wto e avevano liberalizzato i loro mercati interni aprendosi alla concorrenza internazionale. Unione europea in primis.

Michele Mezza
La natura di unico ambiente globale, una sorta di open space del mercato, che la rete digitale esprime porta ineludibilmente ad un regime in cui i vincitori prendono tutto, ossia coloro che riescono ad offrire soluzioni e modelli che catturano domanda e bisogni del mercato, coagulando un dominio sulla base della tesaurizzazione dei big data, impongono il proprio primato universalmente.

5) Il controllo della gestione dei big data è davvero lo strumento di una nuova forma di dominio di un capitalismo digitale che esercita una stretta sorveglianza su tutta l’attività in un mondo globalizzato e come tale è destinato ad essere il motore di un nuovo profitto per un lungo periodo dell’umanità o siamo solo in una prima fase di accumulazione primitiva cui seguirà una fase di assestamento e di ridistribuzione delle ricchezze grazie alla ripresa del controllo o comunque dell’indirizzo esercitato da entità statuali o sovra-statuali di fronte alle nuove sfide e ai nuovi rischi globali: sanitari, climatici, ambientali?

Alberto Abruzzese
Altra domanda troppo complessa per una risposta semplice. La letteratura sui big data è infestata da una serie di pregiudizi. Come quelli – non sembri un rimando inappropriato – con cui è stata affrontata, assai malamente, la divergenza tra Didattica a Distanza e Didattica in Aula in un campo sostanziale, fondativo, come la scuola e la formazione, così cruciali per riequilibrare il rapporto tra vocazioni e professioni (che Max Weber sia finito in soffitta sarebbe, anzi,  è stato un bene ma solo se si riuscisse a trovare contenuti vocazionali divergenti da quelli del capitalismo delle macchine e del progresso. Ripeto quindi che l’approccio umanistico e ideologico alle nuove dimensioni qualitative e quantitative del mondo digitale induce a una sorta di inganno doloso molti intellettuali/professionisti e, seppure in modo variegato, molti populismi e sovranismi. Spinge cioè a ritenere che le falsificazioni o appropriazioni dei fatti e delle persone effettivamente o ipoteticamente realizzate dalle e nelle reti digitali non siano state praticate nei passati regimi di potere non informatico. Ovviamente non dico che la situazione attuale non sia drammatica (un salto in avanti delle forme di dominio della civilizzazione), ma penso che la si aggravi ulteriormente se la si giudica e affronta con il senno di prima.

Giacomo Mazzone
Negli Stati Uniti nascenti dell’Ottocento il far west ha offerto l’occasione di una accumulazione primaria incredibile, che ha consentito al paese di diventare potenza mondiale. Un’accumulazione primaria che ha fatto parecchie vittime (nativi nordamericani, ampie fette di territorio, il sistema di regole sociali rimasto in vigore nell’est del paese). Ma alla fine anche nel Texas sono arrivati il giudice e la ferrovia. Perché gli stessi interessi del capitale a lungo termine non erano compatibili con il permanere di una situazione dove le regole erano imposte dalla forza. Ci sono molti segnali – anche oltre Oceano – che segnalano come la fine del far west sia oramai chiesta a gran voce da molti legittimi interessi. L’Europa – dopo vent’anni di silenzio attonito – comincia grazie a Maximilian Schrems ed Edward Snowden a scuotersi dal torpore e cerca di ricostruire un sistema di regole che limiti i danni: il Gdpr regolamento europeo per il trattamento dei dati personali e per la privacy, Le Direttive 2018 sui Servizi dei Media Audiovisivi (ACMS) e Copyright, i nuovi regolamenti DSA e DMA. Una risposta che è ancora troppo poca cosa e che arriva quando è oramai molto tardi. Però, almeno, si muove finalmente  nella giusta direzione. Anche le Nazioni Unite si muovono per creare dei trattati globali per regolamentare attori e fenomeni globali, ma sin quando Stati Uniti e Cina non saranno disposti a sedersi al tavolo del negoziato, nessun progresso avverrà a livello multilaterale. Per questo bisogna che i Paesi occidentali e democratici soprattutto spingano per accelerare e aiutare negli Stati Uniti d’America quelle forze che chiedono a gran voce l’avvento di regole per la transizione digitale e il superamento del Millennium Act.

Michele Mezza
Il controllo dei big data rovescia il meccanismo del capitalismo che trova la giustificazione per la sua logica di accaparramento della ricchezza nella fase iniziale di ogni progetto d’impresa esposto al rischio di mercato. Infatti l’uso di una mole mastodontica dei dati permette a chi dispone di una potenza di calcolo proporzionale di azzerare, come ha spiegato Joseph Stiglitz nel suo saggio Popolo, Potere e Profitti (Einaudi) , ogni possibile rischio esercitando un potere inedito e continuo su tutti i fattori del mercato dai consumatori ai concorrenti. Si tratta di un potere biologico, prima che economico, che indaga, decifra e condiziona i processi di  formazione del desiderio e del bisogno incanalandoli dove la piattaforma può meglio sodisfarli, accumulando a sua volta ulteriori dati di pianificazione sociale.

6) “Le bolle e i filtri digitali costruiti attorno gli utenti dalle piattaforme restringono gli spazi pubblici, frammentando e polarizzando le opinioni, anziché favorire come la stampa e i mezzi di comunicazione nelle società aperte la formazione di un’opinione pubblica informata e conoscenze aperte e verificate”. Si tratta di un fenomeno irreversibile di riduzione e frammentazione della sfera pubblica destinato a segnare la storia nei prossimi decenni o è ancora possibile governare la rete e rilanciare quella società della conoscenza aperta e condivisa a cui aspiravano i fondatori del Web?

Alberto Abruzzese
Prima c’è da rivedere il giudizio elaborato dai e sui media di in/formazione tradizionali. Non a caso quando si parla di televisione lo si fa ricorrendo alle culture della stampa, ai linguaggi della scrittura. Prima bisogna smontare i miti opportunistici e strumentali che sono stati usati. Sono stati davvero esenti, questi miti di copertura, da una falsificazione o magari persino invenzione della opinione pubblica? Da quell’idea che ebbe la sua più potente scintilla in America? Quella ideologia della verità maturata grazie alla stessa complicità di mezzi di informazione inevitabilmente manipolati. Se non si fa questa operazione è ben difficile – se mai l’obiettivo sia davvero possibile – che il Web possa farsi “società della conoscenza” e non semplicemente società della tecnica.

Giacomo Mazzone
Questo è un altro degli effetti indiretti della digitalizzazione: non solo del già citato effetto binario (“bianco” versus “nero”) ma soprattutto dell’azzeramento di qualsiasi mediazione. In economia sono già spariti o tendono a sparire tutti gli intermediari (agenzie di viaggio in primis, ma ora è il turno delle banche, dei negozi, delle televisioni, eccetera). E lo stesso sta avvenendo per la trasmissione del sapere e dell’informazione. I social media creano l’illusione che non ci sia più bisogno di nessuno che spieghi e che tutto è facile da capire. Basta dirlo in 280 caratteri (140 fino a pochi mesi fa) …  Con la sparizione dei “mediatori” il singolo cittadino è lasciato solo di fronte a forze molto più grandi di lui e, naturalmente, è destinato a soccombere in questo confronto impari. il cittadino medio non ha gli strumenti per sostituirsi al mediatore e pensare che la scuola possa fornirli (attraverso azioni alfabetizzatrici di Digital Media Literacy) è una pia illusione, perché essa può al massimo raggiungere un 20 per cento della popolazione mentre l’80 per cento è  per definizione fuori dalla sua portata. Solo in una nuova società in cui la formazione permanente ‎sia la norma, questa potrebbe essere un’opzione praticabile. Nel frattempo i servizi pubblici radio televisivi potrebbero svolgere questa nuova missione come loro priorità.

Michele Mezza
Le bolle e i filtri sono la conseguenza e non la causa della parcellizzazione e micro-corporativizzazione sociale che invece è indotta dalla trasformazione del lavoro in micro attività distinte e distanti da ogni processo di convergenza e di condivisione identitaria. L’individualizzazione produttiva e professionale ci porta a rivendicare forme di separazione e di diversità dai nostri simili che vogliamo poi sugellare con la nostra capacita a esercitare una pubblica critica e azione di rivalsa rispetto alle élite. Le bolle sono la modalità in cui pochi gruppi proprietari possono incanalare questi istinti individuali e aggregarli attorno a momentanei e istintive cause di mobilitazione. L’unico antidoto è la riproposizione in forme del tutto inedite e diverse dal passato di organizzazione di conflittualità sociali rispetto al dominio esercitato dall’automatizzazione pianificata dagli algoritmi proprietari che possano riportarci a considerare come utili e funzionali modelli di aggregazione e di convergenza comunitaria.

7) La politica e la democrazia potranno riconquistare campo nel disegno del futuro e nella ricerca del bene comune o il tecno-capitalismo dei dati e della sorveglianza è destinato ad egemonizzare il governo delle prossime generazioni, segnando il tratto caratteristico di società tecnocratiche, autocratiche, post-democratiche?     

Alberto Abruzzese
L’irreversibilitàdelle forme umane di civilizzazione in direzione contraria alla speranza di potere realizzare una giusta divisione sociale dei beni materiali e immateriali è un dato di fatto, una regola e un destino. Le ideologie (falsa coscienza) – elaborate nel tempo antico, moderno e postmoderno con lo scopo di negare e contrastare la verità, o meglio oggettività dei regimi e forme di potere – sono servite per costituire gli stessi dispositivi (questa è stata la democrazia) storicamente necessari alla violenza della civilizzazione. Per spiegare cosa sia per me una civilizzazione realizzata, posso dirvi che essa abita in quella esile percentuale di straricchi rispetto ai grandi numeri di morti e vivi della povertà (il progresso è una immane storia di sacrifici umani). Da questa spirale non si può uscire. Come sola possibilità di ridurre il dolore e la sofferenza che essa impone – in varie forme materiali, psicofisiche o esistenziali, antropologico-culturali – ai singoli individui e ad ogni loro comunità e possibile fonte di benessere – a mio avviso è urgentemente necessario intraprendere una lunga e laboriosa ridefinizione dello spazio della persona all’esterno delle ideologie della politica e della sua più “squisita”, dunque delittuosa, radice umanistica.  La persona – i suoi spazi di sopravvivenza – ha il bisogno vitale di riuscire almeno a controllare, frenare, gli effetti più tragici delle etiche, estetiche e politiche della soggettività e dei soggetti del tempo moderno.

Giacomo Mazzone
La speranza è che siccome – da questo gioco – alla fine tutti hanno da perdere (salvo lo 0,00000001 dell’umanità) forse scatterà una reazione in cui la maggioranza si renderà conto che abbiamo tutti da perdere molto. Anche i politici forse si renderanno conto he se coi social si può guadagnare un’elezione, di sicuro si rischia di perdere il proprio futuro come comunità. ‎ Inoltre il micro targeting elettorale praticato dalle piattaforme potrebbe un giorno spingere Mark Zuckerberg a “scendere in campo” direttamente come in passato fatto da altri (Italia docet in questo senso).E questo spazzerebbe via anche la politica come l’oramai ultima inutile mediazione (Gianroberto Casaleggio ha già disegnato questo scenario). In uno scenario alternativo, invece, la digitalizzazione potrebbe mostrare l’altro volto che pure essa contiene in nuce e che potrebbe porre le premesse per uno sviluppo più equo e solidale. La trasformazione digitale, infatti, è per sua natura più adatta al lavoro in rete, alla messa in comune e alla condivisione non solo delle conoscenze ma anche dei beni. Basti pensare al possibile superamento del veicolo personale con una rete di veicoli condivisi, all’efficacia della ricerca scientifica in condivisione, al decentramento produttivo consentito dal lavoro in network. Il problema di tutto ciò è che proprio la politica dovrebbe immaginare questo futuro e costruire un nuovo sistema di regole, visto che gli attuali concetti di lavoro/tempo libero, di remunerazione del lavoro individuale, di modi di produzione di ricchezza, perfino di proprietà verranno stravolti da un cambiamento cosi radicale. Un sistema di regole che non potrà più essere nemmeno regionale (come nell’utopia europea diventata istituzione) ma dovrà essere per forza di cose globale. I processi di produzione/distribuzione/consumo diventando sempre più globali, porranno sempre più drammaticamente il problema della ripartizione del valore che si viene a creare. Quanta parte deve restare in Cina (=la fabbrica del mondo), quanta deve andare ai paesi delle materie prime, quanta nei paesi che hanno fornito gli algoritmi e i servizi che hanno consentito la trasformazione delle materie prime in merci, la loro movimentazione, la loro distribuzione sino al consumatore finale, quanta deve servire a compensare il costo ecologico dell’intero processo (server inclusi)? La crisi del Covid-19 ha reso evidenti tutti questi problemi e li ha messi sul tappeto. I disastri del cambiamento climatico ci ricordano ogni giorno l’ineluttabilità del cambiamento e l’urgenza di agire subito. Sapranno le classi dirigenti del XXI secolo raccogliere la sfida ed esserne all’altezza? A quest’ultima domanda, mi sia consentito di non rispondere, e la lascio volentieri ai nostri lettori.

Michele Mezza
Colmando il buco nero dell’attrito sociale. Ci vogliono nuovi soggetti negoziali che non siano una bolsa ripetizione delle dinamiche del Novecento nel contrasto capitale-lavoro, ma che colgano la specificità della centralità oggi dei processi di formazione del sapere come motori della ricchezza e del potere sociale. Occorre che questi soggetti collettivi – penso alle città o alle università o alle categorie professionali, quali giornalisti, giuristi e medici – ripropongano esperienze e procedure di conflittualità sociale e di negoziato civile per domare e addomesticare la potenza di calcolo che, in una logica di trasparenza e condivisione, sarebbe una straordinaria forza di emancipazione dell’umanità. Senza questa scintilla non vedo scorciatoie idealistiche o istituzionali che possano sostituirsi all’azione di continua erosione di ogni equilibrio sociale mediante il controllo del calcolo.