made in italy?

Dalle tlc all’energia, moda e food: in mani straniere il 51% delle SpA italiane quotate

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Sale il ‘peso’ degli stranieri nelle aziende italiane quotate in Borsa: la quota dei grandi gruppi del nostro Paese in mani estere si è attestata infatti, per la prima volta, al 51%, dal 44% di gennaio.

“L’Italia è terra di conquiste e oltre la metà delle spa quotate tricolori è in mani straniere”. È quanto rivela l’ultimo rapporto dell’associazione Unimpresa, secondo il quale le aziende italiane hanno raggiunto una capitalizzazione complessiva di 545 miliardi (36 miliardi in più dello scorso anno). Di questa cifra, 278,7 miliardi sono in mano straniera (52 miliardi in più rispetto allo scorso anno).

Il 43% di tutte le imprese (anche le non quotate) è invece controllato dalle famiglie, con partecipazioni pari a 891,2 miliardi, in diminuzione di 28,4 miliardi (-3,1%) rispetto ai 919,7 miliardi di giugno 2014; anche in questo caso è forte la presenza degli stranieri, passati dal 22 al 25% con un aumento delle quote di 80 miliardi (+17,9%) da 447,09 miliardi a 527,1 miliardi

La longa manus straniera si è allungata un po’ su tutti i settori del made in Italy a partire dal settore Energia e Telecomunicazioni: è passata ai russi di Vimpelcom la Wind, in precedenza ceduta da Enel al tycoon egiziano Naguib Sawiris. Il 20,1% di Telecom Italia è in mano ai francesi di Vivendi, con un altro potenziale 15% acquisito da Xavier Niel. Batte bandiera francese anche Edison (Edf) mentre il gruppo State Grid Corporation of China controlla il 35% del capitale di Cdp Reti, la società che detiene una partecipazione del 30% del capitale di Snam e del 29,851% del capitale di Terna. Il 40% di Ansaldo Energia è posseduto da Shanghai Electric.

Anche nel campo della moda – con Krizia passata ai cinesi di Marisfrolg Fashion Co;  Loro Piana e Bulgari ai francesi di Lvmh; Gucci, Bottega Veneta, Pomellato, Sergio Rossi a Kering (Francia); Valentino a Mayhoola Investments (Qatar) e La Rinascente alla Central Group of Companies (Thailandia) – il peso dei gruppi stranieri è quanto mai evidente, così come nel settore alimentare, dove Nestlè e Unilever hanno fatto man bassa dei principali marchi della gastronomia italiana: ultimo in ordine di tempo passato nelle mani del colosso americano è il gelato Grom, ma prima era toccato all’Algida.

E ancora, Pirelli è passata sotto il controllo di ChemChina; Indesit dell’americana Whirlpool. Ansaldo Sts e AnsaldoBreda hanno ammainato il tricolore per issare bandiera giapponese di Hitachi.

Compravendite che, se da un lato confermano l’appeal del nostro paese e delle nostre imprese, dall’altro preoccupano per la natura, spesso speculativa, degli investimenti e per la progressiva perdita di pezzi pregiati della tradizione artigiana e manifatturiera italiana.

Quanto alle categorie di azionisti, sulla base dei dati forniti dalla Banca d’Italia, emerge che tra giugno 2014 e giugno 2015 si è mantenuta forte la presenza delle banche con il 10,0%, pari a 54,6 miliardi in crescita di 1,9 miliardi (+3,7%). Lo Stato centrale ha nel suo portafoglio titoli azionari quotati italiani per 15,7 miliardi (il 2,9% del totale), in discesa di 1,1 miliardi (-6,8%) rispetto ai 16,8 miliardi di un anno prima, mentre i privati (famiglie) controllano quote pari a 68,3 miliardi (il 12,5% del totale), cresciute di 2,8 miliardi (+4,3%) rispetto ai 65,4 miliardi dell’anno precedente.