Rinnovabili

Dal Sahara energia solare per tutta l’Africa e l’Europa con l’agro-fotovoltaico

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Non solo energia elettrica pulita a zero emissioni, ma anche la possibilità di affiancare all’infrastruttura un’agricoltura di sussistenza. Ottenere questo dal deserto non è più un sogno, ma servono risorse finanziarie, infrastrutture eco-compatibili e un approccio cooperativo esteso a molte nazioni.

Non è certamente un’idea nuova, ma tentare di generare energia elettrica dal sole nel pieno del deserto del Sahara potrebbe non essere più una sfida al di fuori della nostra portata. Rispetto a qualche anno fa, le tecnologie legate al fotovoltaico e ai sistemi di accumulo e distribuzione dell’energia, hanno fatto passo in avanti da gigante, tanto da permetterci di immaginare lunghe distese di pannelli solari che irrorano di elettricità sia l’Africa, sia l’Europa.

Già nel 2017, l’imprenditore visionario americano Elon Musk aveva detto, ad un meeting di Governatori degli Stati americani, che, con un impianto solare di una grandezza pari a 100 miglia per 100 miglia e un sistema di accumulo dell’energia generata di nuova generazione, gli Stati Uniti avrebbero potuto ottenere tutta l’energia elettrica di cui avevano bisogno quotidianamente, 24 ore su 24.

Partendo dalla stessa idea, lo scrittore Ken Jorgustin, dalle pagine del Modern Survival Blog, ha annunciato la possibilità di coprire un’area di 44 miglia per 44 miglia, con 3 miliardi di pannelli solari Sharp ND-250QCS, ognuno da 250 watt, per un costo totale di 767 miliardi di dollari, una piccola frazione rispetto alla spesa annuale degli Stati Uniti in energia, che è calcolata attorno ai 3.600 miliardi di dollari, ma certamente difficile da far accettare ai contribuenti, a meno che non gli si spieghi che tale sistema consentirebbe di ottenere energia pulita a zero emissioni tale da far ritornare molto rapidamente gli investimenti sostenuti, non solo in termini economici, ma anche di qualità della vita.

Ricoprire ampie fette di territorio con impianti solari dotati di milioni di pannelli fotovoltaici significa stravolgere paesaggi ed economie locali, perché oltre gli impianti stessi servono infrastrutture molto costose e ad alto impatto ambientale.
Per questo in molti pensano al deserto del Sahara, in Africa, o in zone simili degli Stati Uniti e non solo (si pensi all’Arabia Saudita), per realizzare tali strutture, che però potrebbero anche apportare notevoli benefici alle economie dei territori.

Ad esempio, grazie alla tecnologia dell’agro-fotovoltaico, si possono realizzare impianti circolari connessi tra loro in grado di aumentare l’efficienza del 60%. Un progetto tra i tant,i di questo tipo, è il “Sahara Forest Project”, che potrebbe vedere la luce in Tunisia ad un prezzo tutto sommato sostenibile, 30 milioni di euro, ma con ricadute notevoli sul territorio perché, oltre all’energia elettrica pulita, il sistema dà la possibilità di supportare l’agricoltura locale di prossimità all’infrastrutture, soprattutto per la coltivazione di frumento.

L’Istituto tedesco Fraunhofer ha sperimentato l’agro-fotovoltaico in India, registrando un aumento della resa agricola del +40% (pomodori e cotone).
In un contesto del genere, ovviamente, si possono aprire una serie di quesiti di natura sociale, ambientale, economica, nonché di diritto internazionale potremmo dire, visto che il Sahara è occupato da diverse Nazioni e abitato nelle sue parti più vivibili da milioni di persone.
Chi sarà il proprietario delle tecnologie? Chi sfrutterà l’energia generata? Chi ci guadagnerà? Che tipo di impatto ambientale hanno questi impianti? L’energia generata sarà spartita equamente tra le nazioni coinvolte o si avranno fenomeni di quello che già è definito “colonialismo ambientale”?Scopriremo presto quali potranno essere le risposte più ovvie a queste domande, anche perché la domanda di energia cresce sempre di più e i cambiamenti climatici già interessano molte regioni del nostro Pianeta.

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