La decisione

Antitrust Ue, Apple dovrà restituire 13 miliardi di tasse inevase

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La decisione annunciata oggi dall'Antitrust Ue dopo una lunga indagine. Apple e Irlanda preparano il ricorso.

Gli accordi tra Apple e l’Irlanda ‘sono aiuti di Stato illegali’, è quanto dichiara il Commissario Ue alla Concorrenza, Margrethe Vestager, annunciando il provvedimento nei confronti del colosso americano.

Apple, scrive il Commissario in un tweet, dovrà restituire 13 miliardi di euro di tasse non pagate per il periodo dal 2003 al 2014, pari al 27% dei profitti realizzati dal gruppo nello scorso anno e a 15 milioni di iPhone 6S venduti.

L’Irlanda ha già minacciato il ricorso. Il Ministro delle Finanze di Dublino, Michael Noonan, si è detto profondamente in disaccordo con la decisione Ue: “Il nostro sistema fiscale si basa sulla scrupolosa applicazione della legge e non prevede eccezioni”.

Per la BBC sarà un duro agli investimenti in Irlanda: solo le 700 compagnie americane con sede nel Paese danno lavoro a 140 mila persone.

L’accordo fiscale con l’Irlanda, ha affermato Vestager, ha consentito ad Apple di pagare imposte di appena l’1% sui profitti Ue nel 2003, scese addirittura allo 0,005% nel 2014.

A nulla è valso il duro intervento di Washington che chiedeva alla Commissione Ue un cambio di rotta per la nuova policy sul fisco nei confronti delle multinazionali americane. Vestager è andata dritta per la propria strada, rinviando solo di qualche mese la decisione nei confronti di Apple e dell’Irlanda.

Un caso che sicuramente creerà un importante precedente per altri dossier che sono ancora sul tavolo dell’Antitrust Ue. I prossimi a essere colpiti potrebbero essere Amazon e McDonald’s.

“Gli Stati membri non possono accordare benefici fiscali ad alcune imprese selezionate con cura. Questa pratica è illegale ai sensi delle norme comunitarie in materia di aiuti di Stato. L’indagine della Commissione ha concluso che l’Irlanda ha accordato vantaggi fiscali illegali ad Apple, permettendogli di pagare meno imposte rispetto alle altre società per diversi anni”.

Al momento Apple dispone di una liquidità di circa a 232 miliardi di dollari. Nonostante le lamentele del gruppo (Il Ceo Tim Cook era volato a Bruxelles nei mesi scorsi per parlare direttamente con Vestager, ndr), i 13 miliardi di euro che dovranno restituire all’Irlanda sono noccioline.

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La risposta di Apple

Il gruppo di Cupertino ha subito replicato. In una nota ha sottolineato che la Ue con questa decisione “sta tentando di riscrivere la storia di Apple in Europa, ignorando le leggi fiscali irlandesi e stravolgendo il sistema fiscale internazionale”.

“La tesi della Commissione non riguarda quanto Apple paga di tasse ma quale governo raccoglie il denaro. La decisione avrà effetti profondi e dannosi sugli investimenti e sulle prospettive occupazionali”.

“Apple rispetta la legge e paga tutte le tasse dovute ovunque operi. Faremo appello e siamo fiduciosi che la decisione sarà ribaltata”.

Per Apple, “Il parere della Commissione emesso il 30 agosto sostiene che l’Irlanda avrebbe riservato a Apple un trattamento fiscale di favore. È un’affermazione che non trova alcun fondamento nei fatti o nella legge. Noi non abbiamo mai chiesto, né tantomeno ricevuto, alcun trattamento speciale. Ora ci troviamo in una posizione anomala: ci viene ordinato di versare retroattivamente tasse aggiuntive a un governo che afferma che non gli dobbiamo niente più di quanto abbiamo già pagato”.

“L’Irlanda – conclude la nota – ha dichiarato di voler ricorrere in appello contro la decisione della Commissione. Apple farà altrettanto, e siamo fiduciosi che l’ordine della Commissione verrà ribaltato”.

 

Francesco Boccia: ‘Non è mai troppo tardi’

Pronto il commento di Francesco Boccia, Presidente della Commissione Bilancio della Camera, che su Twitter ha scritto: “La multa #UE a #Apple? Non è mai troppo tardi ma non sarebbe più logico adeguare il #fisco all’economia #digitale come ribadisco dal 2013?”.

Boccia ha poi dichiarato alle agenzie: “Oggi l’Europa multa la Apple, domani sarà la volta di altre multinazionali digitali oltre alle inchieste delle amministrazioni fiscali nei diversi paesi. Ma il tema Irlanda e unione fiscale resta, così come resta aperto il tema dei contenuti non pagati o mal pagati, i conti off-shore miliardari tollerati solo per le Over the top, o come resta la resistenza di una parte politica che non ha follemente voluto le stesse imposte indirette in tutti i Paesi UE”.

“In Italia la base imponibile erosa, dai nostri calcoli supera i 30 miliardi e avere la certezza almeno del pagamento delle imposte indirette avrebbe un impatto redistributivo molto serio in ogni paese. Ora – termina Boccia – è tempo di prendere atto che l’economia è digitale. Quindi tutti devono pagare nello stesso modo ovunque si trovino. L’Europa ci arriva tardi, frenata da una miopia evidente e da lobby ben organizzate”.

Il caso Apple

L’indagine su Apple è partita nel settembre 2014. L’accusa per il gruppo e l’Irlanda è di trattamento fiscale di favore, che costituisce violazione delle norme Ue sulla concorrenza.

Secondo la Ue, Apple per anni ha tratto vantaggio dagli accordi fiscali siglati con Dublino nel periodo che va dal 1991 al 2007.

Gli accordi siglati con le autorità irlandesi “conferiscono un vantaggio per Apple” che viene “garantito in maniera selettiva”, ha sempre detto la Commissione Europea.

A sostegno della tesi di Bruxelles, il fatto che gli accordi fiscali fra Apple e Dublino siglati nel 1991 non siano mai stati rivisti per un periodo di 15 anni. Secondo la Commissione Ue lo stesso trattamento di favore non viene garantito ad altre aziende con sede in Irlanda, suffragando così l’accusa di trattamento anticoncorrenziale.

La tesi di Apple è che il trattamento fiscale di cui gode in Irlanda è lo stesso garantito a tutte le multinazionali che operano in quel paese, dove il prelievo per le aziende è fissato al 12,5%. Ma Apple lascerebbe in Irlanda appena il 2% degli utili.

 

Ecco come opera fiscalmente Apple in Europa

 

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Questo 2016 che si chiuderà tra qualche mese sarà ricordato come l’anno in cui si è stretto il cerchio intorno alle web company che bypassano il fisco.

A dare il calcio d’avvio è stata l’Italia: l’anno è cominciato con l’accordo da 318 milioni di euro tra Apple e l’Erario; subito dopo, a febbraio, la Guardia di Finanza ha notificato a Google un verbale di accertamento per una presunta evasione da 227 milioni di euro e successivamente la Procura di Milano ha chiuso le indagini sulla compagnia americana con il possibile rinvio a giudizio dei manager indagati per frode fiscale; ora, secondo indiscrezioni, nel mirino della Procura milanese sarebbe finita anche Amazon dopo una verifica fiscale condotta dalla GdF.

Dopo Apple, adesso la Ue potrebbe intervenire contro il gruppo guidato da Jeff Bezos e contro la grande catena americana di fast food.