L'operazione

Web e tasse, stretta finale del fisco su Google Italia

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L’Agenzia delle Entrate conferma l’operazione. La GdF ha notificato in giornata il verbale d’accertamento a Google per una presunta evasione di 227 milioni di euro.

Operazione in corso su Google. Il direttore dell’Agenzia delle entrate, Rossella Orlandi, ha annunciato questa mattina che la Guardia di Finanza ha notificato oggi un verbale di accertamento a Google riguardo a una presunta evasione di 227 milioni di euro.

“Non faccio dichiarazioni su un’operazione in corso”, ha detto Orlandi in occasione dell’evento ‘Telefisco’ del Sole 24 Ore, aggiungendo che “La Guardia di Finanza sta notificando un verbale frutto di un lungo lavoro”.

Al momento nessun contatto con la web company americana. Il direttore dell’Agenzia delle entrate ha, infatti, precisato: “Non abbiamo incontrato la società e non ho idea di cosa succederà”.

Dalla società un portavoce fa sapere: “Google rispetta le normative fiscali in tutti i Paesi in cui opera. Continuiamo a lavorare con le autorità competenti”. 

Dalla verifica sulla controllata irlandese di Google, che è la sua sede fiscale, l’azienda avrebbe evaso circa 227 milioni di euro di imposte tra il 2009 e il 2013, su un imponibile di circa 300 milioni di euro.

Gli investigatori hanno quindi trasmesso al Procuratore aggiunto Francesco Greco e al Pm Isidoro Palma, titolari di un’inchiesta per frode fiscale su Google, e all’Agenzia delle entrate un “processo verbale di costatazione“.

Due i rilievi della GdF: il primo consiste nella constatazione del reddito imponibile non dichiarato di cento milioni; il secondo nella constatazione di omessa effettuazione e versamento delle ritenute sulle royalties di 200 milioni.

In sostanza, il calcolo porta a 227 milioni di imposta evasa partendo da 100 milioni di euro ricavati in Italia in questo arco di tempo che non sarebbero stati pagati e sui quali Google non avrebbe versato l’Ires che ammonta al 27% del totale.

Le indagini vanno avanti da mesi. Lo scorso anno si era parlato di un accordo da 320 milioni di euro poi però smentito sia da Google che dalla Procura di Milano.

Ora però le cose sono cambiate con l’atto formale della Guardia di Finanza che consegnato in giornata a Google.

Il tutto avviene a pochi giorni di distanza dall’accordo da 172 milioni di euro raggiunto dalla compagnia americana nel Regno Unito dove si sta agendo anche contro Facebook.

L’Italia, stando alla stampa britannica, si sta dimostrando più risoluta di altri Paesi europei. Era ora.

Dopo la battaglia politica sulla Web Tax promossa dal presidente della Commissione Bilancio della Camera Francesco Boccia, entrata in vigore nel 2014 solo per quanto riguarda il ruling sulla pubblicità online, e il rinvio del premier Renzi ad agire solo nel 2017, si passa ai fatti.

“Se nel 2013 sulla ‘Web Tax’ mi avessero ascoltato avremmo risparmiato tempo, costi inutili e recuperato gettito fiscale. Ora lavoriamo per soluzione definitiva”. Ha commentato Boccia in merito alle inchieste in corso della Gdf nei confronti di Apple e Google.

Italia best case      

Parlando del caso Google in UK, il quotidiano inglese The Times, cita l’Italia come best case per come sta conducendo le proprie operazioni contro le web company che bypassano il fisco. Azioni a tenaglia portate avanti congiuntamente dalla Procura, Guardia di Finanze e Agenzia delle entrate che poco prima della fine dell’anno hanno messo all’angolo Apple che ha già versato al fisco 318 milioni di euro. Adesso tocca a Google. In Italia, secondo il Times, si dovrebbe arrivare a un accordo in base al quale il gruppo chiuderebbe le “pendenze” con un importo di 150 milioni di euro, corrispondente al 15% dei ricavi pari a circa un miliardo di euro prodotti in Italia. A conti fatti, secondo quando riporta il quotidiano britannico, l’accordo che il Regno Unito si appresterebbe a chiudere con Google sull’arco temporale 2005-2015 si rivelerebbe più generoso, considerato il livello dei profitti.   Dopo la notifica del verbale di contestazione a Google, entrerà in gioco l’Agenzia delle Entrate che emetterà un verbale di accertamento, che potrebbe chiudere il contenzioso se dovesse intervenire un accordo tra le parti. La somma di 200 milioni di euro di imposte sulle royalties non versate all’Erario potrebbe lievitare in quanto, spiegano fonti investigative, va integrata con interessi e sanzioni che saranno calcolati dall’Agenzia delle Entrate.      

Bufera politica in UK. Murdoch attacca su Twitter   

Intanto nel Regno Unito si infiamma lo scontro politico sull’accordo fiscale raggiunto dal governo su Google Una intesa salutata dal Ministro delle Finanze George Osborne come “una grande vittoria” ma che è stata contestata pesantemente dallo Scottish National Party, tanto da chiamare in causa la Commissione Ue a cui si chiede di accertare se non implichi una forma di aiuto di Stato. A doversene occupare sarà quindi il Commissario Ue alla concorrenza, Margarethe Vestager, che sta già indagando su Google per possibile abuso di posizione dominante sui motori di ricerca ma anche su Apple per gli accordi di tax ruling con l’Irlanda. Non è comunque scontato che l’iniziativa del movimento politico scozzese porti all’effettivo avvio di una indagine.

“E’ troppo presto per dire quale sarà il prossimo passo“, ha detto il portavoce del Commissario Vestager. Le questioni che riguardano il fisco, spiegano gli esperti, sono strettamente nazionali, e questo vale ancora di più per gli accordi stretti tra autorità e aziende. A meno che non vi sia un ‘tax ruling’ specifico, cioè un accordo a monte che rischia di essere discriminatorio per gli altri. 

Intanto a difendere l’intesa UK è sceso in campo il premier David Cameron: “Stiamo parlando di una tassa che avrebbe dovuto essere incassata sotto il governo laburista che è stata aumentata sotto il governo conservatore. Questo è quello di cui stiamo parlando”.

Google si difende sul Financial Times. In una lettera firmata da Peter Barron, responsabile alla comunicazione del gruppo Usa, si spiega come nel pagamento delle tasse non siano state violate le norme: “I governi fanno le leggi fiscali, le autorità tributarie le applicano in modo indipendente, e Google le rispetta”.
Nella lettera si afferma anche, per respingere le ricorrenti accuse secondo cui la società americana pagherebbe in certi Paesi tasse molto ridotte rispetto all’imponibile teorico, che la corporation tax “è pagata sui profitti, non sulle entrate, e viene riscossa dove l’attività economica che genera quei profitti ha luogo”.

Intanto però continuano le polemiche. Secondo il Times, uno dei maggiori investitori britannici in Google ha chiesto alla compagnia, e alle altre multinazionali del settore internet come Facebook, di pagare volontariamente tasse più alte, fino al 15-20% dei profitti a livello globale, rispetto al 3% che, per i critici, viene corrisposto nel Regno Unito.

E contro le web company sferra il suo attacco anche il magnate dei media Rupert Murdoch, che in Italia controlla Sky. Tweet al vetriolo per dire: “C’è bisogno di nuove norme sulle tasse che le facciano pagare quanto paghiamo noi”.  

“Le società tecnologiche realizzano profitti enormi in molte aree, facendo transitare dollari attraverso i paradisi fiscali”, ha aggiunto. “Se non le fermeremo rovineranno le aziende locali che pagano”. Murdoch ha anche ricordato su Twitter come Google abbia piazzato “decine dei suoi uomini alla Casa Bianca, a Dowing Street e in altri governi”, dimostrandosi una notevole capacità di fare lobby.