#Prism. Obama prova a rassicurare l’Europa, ma Google attacca: ‘Obbligo di silenzio su Datagate contrario al Primo emendamento’

di Alessandra Talarico |

Google ha chiesto alla Foreign Intelligence Surveillance Court, il permesso di pubblicare il numero di richieste ricevute legate alla sicurezza nazionale e i numero di utenti coinvolti in queste richieste.

Stati Uniti


Barack Obama

A 50 anni dal celebre discorso ‘Ich Bin ein Berliner’ pronunciato dal presidente John Kennedy il 26 giugno del 1963, Barack Obama arriva in visita ufficiale in Germania, da dove mancava dal 2008 quando era ancora in corsa per il primo mandato alla Casa Bianca.

Alle prese con un vistoso calo di popolarità – secondo l’ultimo sondaggio CNN, nel mese di maggio la percentuale di chi approva il suo operato è calata dal 53 al 45 – il presidente Usa non ha potuto evitare un riferimento allo scandalo Prism, sottolineando che l’intelligence americana non ‘spia’ le comunicazioni elettroniche dei cittadini europei e americani e che il programma di sorveglianza è ‘limitato e circoscritto’ alla lotta al terrorismo e al traffico d’armi.

“Ho assunto le mie funzioni con la determinazione di proteggere il popolo americano ma anche di difendere i nostri valori e i nostri ideali, tra i quali le libertà individuali e il rispetto della privacy e sono convonto che abbiamo trovato un buon equilibrio”, ha affermato il presidente, tornando sul tema dopo l‘intervista rilasciata nei giorni scorsi alla Tv PBS.

Obama, come aveva fatto anche il numero uno della NSA, Keith Alexander parlando alla Commissione sicurezza del Congresso, ha ricordato che Prism ha permesso di sventare una cinquantina di attentati negli Stati Uniti e nei paesi alleati e anche in Germania (secondo fonti dell’intelligence italiana citate da La Repubblica, comunque, nel nostro Paese “Nessun attentato è stato sventato nel nostro territorio grazie a informazioni dirette della NSA”).

 

Il cancelliere tedesco, dal canto suo, ha invitato Mr President a ‘maneggiare con cura’ strumenti di sorveglianza tanto invasivi: “Ho detto chiaramente che, pur riconoscendo l’importanza di raccogliere delle informazioni, resta di primaria importanza anche la questione della proporzionalità e che i sistemi democratici si basano anche sul senso di sicurezza personale”, ha affermato Angela Merkel.

 

Le rivelazioni di Edward Snowden sul programma Prism, intanto, hanno spinto le web company americane a giocare la carta della trasparenza: le società coinvolte si sono già rivolte al Governo per chiedere l’autorizzazione a divulgare il numero delle richieste ricevute dal Governo e dalle agenzie di intelligence (Leggi articolo Key4biz).

Google che non si era unita a quest’iniziativa ritenendola inadeguata a informare con precisione gli utenti sulla reale portata delle attività di sorveglianza del Governo, ha chiesto ieri al Tribunale di sorveglianza che gestisce le inchieste legate alla sicurezza nazionale il permesso di pubblicare il numero di richieste ricevute legate alla sicurezza nazionale e i numero di utenti coinvolti in queste richieste.

 

“Abbiamo spinto a lungo per la trasparenza, così da permettere agli utenti di capire meglio l’entità delle richieste del governo sui loro dati – e Google è stata la prima società a pubblicare i numeri delle National Security Letter. C’è bisogno comunque di maggiore trasparenza, e per questo abbiamo inviato una petizione alla FISC per ottenere il permesso di pubblicare separatamente i numeri complessivi delle richieste della national security, comprese le richieste FISA. Unire tali richieste con richieste per altri crimini – come permesso ad altre società – sarebbe un passo indietro per i nostri utenti”, spiega Google motivando la decisione.

“Gli utenti Google sono preoccupati per queste accuse e noi dobbiamo rispondere con qualcosa in più che dati generici”, aggiunge.

 

La società, nella sua richiesta al Foreign Intelligence Surveillance Court, cita il Primo Emendamento che tutela la libertà di parola, come ultimo tentativo di mostrare agli utenti la propria resistenza al programma di sorveglianza del Governo e di dimostrare che i numero reali sono molto più limitati di come potrebbe sembrare dalle rivelazioni di Snowden.

La società di Mountain View pubblica regolarmente un rapporto sulla trasparenza in cui riferisce delle richieste di dati dei governi, ma è costretto a escludere dal Transparency Report le richieste del Tribunale di sorveglianza, che si occupa delle iniziative di controllo dei cittadini non americani.

 

Il Tribunale di sorveglianza, con sede a Washington, è composto da 11 giudici nominati dal presidente della Corte Suprema. Raramente rifiuta le richieste del Governo: delle 1.789 ricevute nel 2012 solo una non è stata approvata.

Eppure, secondo la richiesta di Google al Tribunale, le rivelazioni del Guardian e del Washington Post sono ‘fuorvianti’ riguardo il ruolo svolto dalle web company.

La posizione di Google ha trovato anche l’appoggio di Twitter: il consulente legale, Benjamin Lee, ha twittato: “Siamo d’accordo con @Google: è importante essere in grado di pubblicare a parte il numero di richieste di sicurezza nazionale – comprese le informative FISA”.

 

Anche Yahoo ieri aveva pubblicato una lettera aperta in cui chiedeva al Governo di rivedere la sua posizione sul divieto di pubblicare questi dati.

In un post intitolato “Il nostro impegno per la privacy dei nostri utenti” la società ha precisato di aver ricevuto 12-13 mila richieste in sei mesi.

Impossibile, tuttavia, rivelare il numero di richieste relative alla protezione del territorio, essendo queste informazioni secretate.

 

Le richieste del Tribunale di sorveglianza sono in genere note solo a un piccolo numero di dipendenti di una società. Discutere apertamente di tali richieste, sia all’interno sia al di fuori della società, potrebbe prefigurare una violazione della legge.

 

Eppure, anche se tutte le web company rivelassero il numero esatto di richieste del Tribunale di sorveglianza, potrebbe non servire per fare luce completamente sull’entità del programma Prism.

Secondo Stephen Vladeck, docente di diritto presso l’American University: anche avendo a diposizione numeri precisi “non conosceremmo altro se non la pervasività di questa pratica…sarebbe solo un pezzo di un puzzle molto più grande”.