‘Italian Rainforest’, l’Italia come la Silicon Valley? Marco Patuano: ‘Da Telecom Italia 2,5 mln di euro l’anno per le startup innovative’

di Alessandra Talarico |

Per Patuano, ‘Si deve andare dentro le università, per ascoltare i ragazzi che sono in possesso delle idee, del talento e della voglia di fare. Non si tratta di filantropia ma è un investimento sul futuro’.

Italia


Marco Patuano

 

“Non abbiate timore di essere diversi ma condividete questa vostra diversità”, perchè l’innovazione nasce sì dalle idee, ma non può svilupparsi se queste idee non vengono condivise.

Con queste parole, Greg Horowitt, Fellow della Kauffman Society e coautore di “Rainforest: the secret to building the next Silicon Valley”, ha chiuso il suo intervento a “Italian Rainforest – Impariamo a crescere”, un incontro organizzato da Telecom Italia e dal Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca per definire nuovi interventi a favore dell’innovazione in Italia e guardare al futuro attraverso l’esperienza della Silicon Valley.

 

Il dibattito si è incentrato sulla possibilità di replicare in Italia il modello della Silicon Valley italiana e perchè nessuno ancora c’è riuscito.

Horowitt, che sostiene la necessità di “nuova Teoria Pratica dell’Innovazione” di fronte al fallimento del modello neoclassico, ha spiegato che in Italia si sta avendo un approccio sbagliato.

Horowitt (Le slides dell’intervento) descrive la Silicon Valley come una Rainforest – una foresta pluviale, un ambiente in apparenza caotico e in cui non contano i singoli ingredienti (tra i tanti: investitori, startupper, legislazione) ma il modo in cui vengono mixati.

 

Intervenendo al dibattito, l’ad di Telecom Italia, Marco Patuano ha ricordato che la società nell’arco di tre anni ha finanziato 97 dottorati di ricerca e raccolto dalle università 2500 progetti, business plan e nuovi progetti.

Telecom Italia ha contribuito alla fondazione di 13 start up e all’avvio di altre 34, oltre al finanziamento di 58 progetti di ricerca e nel triennio 2012-2014 investirà 2,5 milioni di euro all’anno per sostenere le migliori idee imprenditoriali legate alle tecnologie e all’innovazione nell’ambito del piano Working Capital.

 

“Si deve andare dentro le università, per ascoltare i ragazzi che sono in possesso delle idee, del talento e della voglia di fare. Non si tratta di filantropia ma è un investimento sul futuro”, ha detto Patuano che ha inoltre evidenziato la necessità di investire sulla riqualificazione, sulla formazione continua dei lavoratori come unico modo per allungare la vita produttiva.

“Abbiamo un patrimonio di idee – ha aggiunto Patuano –  continuiamo a cercarle ma allo stesso tempo dobbiamo intervenire per farle accadere. A questo scopo, dobbiamo contribuire a creare un ecosistema in cui non lavoriamo da soli, agglutinando attorno a noi altri soggetti che credano in un progetto di questo tipo e condiviso”.

“Anche per mettere insieme le risorse economiche necessarie, perché serve una certa massa critica, avere continuità nel tempo e garantire anche dei mercati di sbocco. Perché lo startupper ha bisogno di avere alle spalle un soggetto che metta i soldi del primo finanziamento ma che anche poi investa: non solo Capital ma un Working Capital”, ha detto ancora Patuano, annunciando che a breve “…ci sarà uno spazio fisico dentro una grande università italiana. E ho detto al rettore che pagherò il metro quadro più elevato quanto più l’ufficio dei miei ricercatori sarà vicino alla caffetteria, perché voglio intercettare i ragazzi e ibridarli con i miei ricercatori che hanno metodo e sono molto bravi ma non hanno più 24 anni. Ci sono un paio di grandi università che ci stanno ascoltando: qualcosa inizierà”.

 

 

“In Italia la forza delle reti sociali è impressionante. E’ davvero notevole come usate Twitter, Facebook e i blog. Si deve partire da queste ‘tribù di fiducia sociale’ efficienti per consentire la circolazione delle idee”, ha affermato Horowitt prendendo a esempio quello del vigneto: un ambiente “lineare e ordinato, ma dobbiamo ricordare anche quel fungo che fa diventare l’uva ancora più buona”.

“Lo stesso – ha aggiunto – vale per le erbacce: sono il Google dell’economia, attualmente. Le startup sono, dunque, come rainforest caotiche e casuali, ma in realtà collegate tra di loro per rafforzarsi”.

Una crescita, ha detto ancora, che può avvenire  solo attraverso “la condivisione della conoscenza: io ho un’idea, la scambio con te e tu ora sei in possesso della mia. E lo stesso puoi fare tu con me”.

 

Certo è, però, che solo con le idee non si fa business e in Italia – a parte qualche emerita eccezione – sono poche le startup che riescono a emergere dal garbuglio personalistico che frena la crescita delle idee imprenditoriali innovative.

Manca davvero, nel nostro paese, la capacità di fare rete? E’ vero, come qualcuno ha scritto su Twitter seguendo l’evento, che in Italia si continua a preferire il proprio orticello, il clan, alla condivisione, ai laboratori?

 

“Ciascuno ha il proprio DNA, che non si può cambiare, però possiamo cambiare atteggiamenti, politiche e norme. Poi dobbiamo progettare un sistema che fa leva su queste opportunità e costruire l’innovazione”.

All’inizio, ha quindi sottolineato, “…non si può mai colpire nel segno, quindi è importante creare un sistema modificabile, flessibile e in grado di ascoltare il mercato. Tutto rientra nel canvas: uno strumento visivo e visuale con tutte le ipotesi e i contributi a livello regionale”.

La leadership, certo, anche quella è importante per il successo di un cluster, ma questa leadership non per forza deve arrivare dai soliti noti: spesso, il vero valore aggiunto arriva infatti “dalle persone sconosciute che provengono dai settori più vari e differenti rispetto all’azienda e che aumentano la cultura al suo interno”.

 

Ma secondo Horowitt, solo mettendo insieme tre componenti – “persone con delle buone idee, persone con la capacità di attrezzarsi e il capitale” – si ha l’opportunità di creare un business.

Già, il capitale. Dov’è? In Italia, ha fatto notare la ricercatrice Manuela Arata, “mancano i partner per far sviluppare le start up”, mentre altri interventi hanno sottolineato che non è il capitale che manca, quanto “la relazione e la cultura del fare rete”

 

Ieri, sempre nell’ambito dell’evento ‘Italian Rainforest’ si è tenuto un incontro al MIUR con 30 innovatori italiani con l’obiettivo di imbastire una piattaforma internazionale il cui scopo finale ha spiegato Gianluca Dettori (dPixel) “sarà quello di realizzare concretamente le iniziative, con governo, regioni, università, amministrazioni comunali e centri di ricerca, per creare gli ambienti giusti per le startup e gli startupper. Il primo passo è trovare i talenti italiani, anche quelli che ci guardano dal resto del mondo – dalla Silicon Valley a Singapore –  e che possono dare un contributo al sistema per creare piattaforme di internazionalizzazione”.