I limiti del diritto di cronaca tra ‘strategia dell’emozione’ ed esibizionismo

di di Barbara Collevecchio (Psicologa) |

Non serve l'esibizionismo di chi scrive più in fretta, di chi viene più cliccato, di chi ha la verità in tasca da mostrare. Ora dobbiamo elaborare un lutto, capire. E per farlo ci vuole silenzio.

Italia


Barbara Collevecchio

Una gambizzazione, suicidi mediatici, una tentata strage con una giovane ragazza uccisa e altre cinque sfigurate e gravemente ferite, un terremoto…. Quello che stiamo vivendo lo sappiamo tutti e non c’è molto da aggiungere se non che nello strazio del momento, media, pennivendoli, opinionisti e anche il panettiere sotto casa stanno peggiorando le cose.

La gente si annoia, gli individui sono sempre più narcisisti e alla ricerca di emozioni e le gonfiano, le dilatano per cercare di provare qualcosa che ottunda il silenzio ovattante della noia e del vuoto. Così, come ho già scritto in un precedente articolo (Come si emoziona una società sempre più annoiata), c’è qualcuno che opera una vera e propria strategia dell’emozione.

 

Mi ha colpito più che la reazione dell’uomo comune, su cui tornerò dopo, vedere su pregevoli testate, persone che hanno responsabilità comunicative scrivere di sapere la verità sull’attentato di Brindisi. Grillo almeno si è limitato a fare illazioni. Ma persone come i giornalisti suddetti, come Red Ronnie che scrive che il terremoto era stato predetto dai Maya, hanno responsabilità . Questi individui sono influencer, persone che influenzano le altre, seguite, ahinoi. Allora se hai un potere mediatico, non devi usarlo come se fossi al bar sotto casa, certo, bisogna dire quel che si pensa ma stando attenti. Molte persone in questo momento sono traumatizzate e hanno sete di perché. Chi specula come Mediaset, postando video di Melissa, foto intime, chi gioca sulla paura e sull’emozione, sta facendo un gesto dissennato. La verità va cercata, sempre, comunque e con coraggio. Ognuno di noi in uno stato di trauma prova una dissonanza cognitiva, sperimenta il male totale.

 

Ognuno di noi cerca di affrontare il male totale dandosi spiegazioni, perché la paura e il terrore si vincono solo attraverso la ricerca di senso. Non si supera un dolore senza aver compreso il senso che quel dolore ha nella tua vita. Questo riportato al livello collettivo  diventa ricerca di verità da parte di una comunità. Ma la verità non si cerca facendo ipotesi complottiste, rispolverando i Templari e le profezie Maya, la verità non ce la danno le foto intime della vita di una ragazzina stuprata due volte.

Perché le persone vogliono vedere, troppo? Perché Riotta a chi l’accusava su Twitter di essere uno sciacallo per aver postato le foto di Melissa, ha risposto non testualmente “così la gente si renderà conto della gravità della cosa attraverso il suo viso”? Perché i comunicatori sanno bene che l’immagine viene prima della parola, i graffiti sono apparsi nelle grotte della nostra alba umana  prima che imparassimo a parlare. L’immagine dice e sconvolge più della parola. E un popolo annoiato, anestetizzato, dobbiamo sconvolgerlo, emozionarlo sempre più per coinvolgerlo: ecco la strategia dell’emozione. Lo fanno anche i politici quando urlano a più non posso, dicono parolacce, usano metafore forti.

 

Ma c’è un limite. Un’immagine, come quella di Tien an Men è diventata simbolo, lo sono diventati Falcone e Borsellino, tutto giusto. Immagini celebrative e importanti. E’ sano  creare simbologie e celebrare rituali catartici attorno ai quali coagulare e rassicurare una comunità spaventata. Ma c’è un limite. Un limite che se superato rende PORNOGRAFICA questa sovraesposizione della verità o presunta tale.

La verità iper-mediatica non é più un  mostrare informativo, non è più creare narrazioni che unifichino e simbologie coagulanti. Si è superato il limite per approdare a un guardare vuoto, che sidera i veri sentimenti, che disunisce. Un guardare “troppo”, un esporre “troppo”, un presupporre ” troppo” che trascende l’emozione e assuefa i sentimenti, che ci separa, ci rende tanti piccoli guardoni. Soli.

C’è bisogno, oggi più che mai, di responsabilità: meno narcisismo, pensate prima di scrivere!

Non serve ora l’esibizionismo di chi scrive più in fretta, di chi viene più cliccato, di chi ha la verità in tasca da mostrare. Ora dobbiamo elaborare un lutto, capire. E per elaborare e capire ci vuole silenzio, non servono ipotesi eclatanti o sovraesposizioni immaginali: d’altronde i migliori investigatori sono come i migliori psicologi, sono quelli che sanno ascoltare, se stessi e gli altri.