Dividendo digitale: a chi andrà il ‘tesoretto’ dell’asta? Scintille tra i ministeri dell’Economia e dello Sviluppo economico

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Milano Finanza rivela che uno degli operatori che partecipano all’asta avrebbe chiesto delucidazioni al Mise sulle condizioni di attribuzione ad H3G di due blocchi di frequenze citati anche nel verbale di approvazione del bilancio della società.

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Paolo Romani - Giulio Tremonti

L’incasso dell’asta del dividendo digitale, che nella sua quattordicesima giornata di rilanci è giunto a quota 3,36 miliardi (1,06 miliardi in più rispetto alle offerte iniziali), comincia provocare qualche scintilla tra i diversi ministeri che si contendono il ‘tesoretto’.

Inizialmente si era infatti deciso che la cifra eccedente i 2,4 miliardi già iscritti nella Finanziaria sarebbe andata in toto al settore delle tlc. Ma nella correzione alla manovra decisa a luglio si è deciso che al settore sarebbe rimasto solo il 50% di questa cifra, che allo stato attuale ammonterebbe attorno ai 500 milioni di euro. Pare però – se fossero vere le voci riportate da Milano Finanza – che il ministro dell’Economia, Giulio Tremonti, vorrebbe destinare l’intero incasso dell’asta per determinare una riduzione del rapporto deficit-Pil, così da correggere senza troppi sforzi ulteriori i conti dello Stato dopo la revisione al ribasso delle stime di crescita per l’anno in corso (che dovrebbero essere adeguate al +0,7% indicato dalla Commissione europea).

Il ministro dello Sviluppo economico Paolo Romani, invece, vorrebbe destinare  almeno parte della cifra alla concessione di sgravi fiscali per le imprese, in primis quelle telefoniche, che hanno più volte ribadito che la loro partecipazione all’asta è un grande contributo alle casse dello Stato. Una sorta di ‘tassa’ che le telco pagano ora per delle risorse (le frequenze) che non saranno disponibili prima del 2013.

 

Allo studio ci sarebbero già diverse ipotesi: un credito d’imposta pari agli investimenti in banda ultralarga; una riduzione del carico Irap per le imprese di tlc, sostegni alla domanda sotto forma di contributi per gli abbonamenti alle reti ultraveloci, o anche un mix fra le varie proposte.

 

Sempre Milano Finanza adombra, quindi, un ‘giallo’ sull’asta delle frequenze, resa particolarmente vivace dalla partecipazione di 3 Italia, scesa in campo a contendersi il dividendo digitale con gli altri operatori – Telecom Italia, Wind e Vodafone – che contavano di ottenere due blocchi a testa da 800 Mhz (le frequenze più pregiate, finora in mano alle emittenti televisive).

 

Proprio l’approccio ‘aggressivo’ all’asta da parte della società guidata da Vincenzo Novari avrebbe creato non pochi malumori e avrebbe spinto un altro operatore, non meglio specificato, a scrivere al dicastero di Paolo Romani, per chiedere delucidazioni sulle condizioni di attribuzione ad H3G di due blocchi di frequenze nella banda 1800 Mhz, dati in opzione all’operatore entrato per ultimo nel mercato e citati anche nel verbale di approvazione del bilancio della società, di proprietà della cinese Hutchison Whampoa.

Un’assegnazione – quella di questi due blocchi di frequenze menzionati nel bilancio – avvenuta senza esborsi e che avrebbe innervosito e non poco almeno un altro dei partecipanti all’asta, che vorrebbe capire le motivazioni di un tale ‘regalo’ e, forse, dissuadere 3 Italia dall’effettuare altri rilanci sulle frequenze 800 Mhz.

 

In realtà, spiega sempre Milano Finanza, basta fare un passo indietro al 1995 – anno di nascita di TIM – per comprendere che 3 Italia ha ricevuto lo stesso trattamento riservato agli altri operatori attivi sul mercato italiano.

Al momento dello scorporo da SIP, infatti, l’operatore ha ricevuto ‘in dote’ tre blocchi di frequenze nella banda a 1800 MHz. Stessa ‘dote’ ricevuta da Vodafone nello stesso anno, quando la società partecipò a un ‘beauty contest’ e pagò degli oneri che vennero rimborsati in parte l’anno dopo. Allo stesso modo, nel 1999, anche Wind ricevette la licenza senza pagare le frequenze.

Su questi tre blocchi di frequenze, gli operatori non pagano alcun contributo, in base a una norma ministeriale del 2002 adottata dall’allora ministro Maurizio Gasparri.

Nel 2008, quindi, una delibera Agcom volta a garantire parità di trattamento tra gli operatori, ha previsto la possibilità per i new entrant di ricevere fino a un massimo di 10 MHz sulla banda a 1800 MHz.

3 Italia ha, ovviamente, sfruttato l’opzione nel 2010, inserendo in bilancio la valorizzazione delle frequenze, per un montante di 312 milioni di euro.