Question Time su audiovisivo: YouTube e i motori di ricerca non rientrano nei regolamenti Agcom attuativi del Decreto Romani

di Raffaella Natale |

Flavia Perina: ‘Ha prevalso la linea politica più ragionevole: un'Italia che ponesse filtri a YouTube sarebbe più simile alla Cina o alla Bielorussia che all'Europa Occidentale’.

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I regolamenti approvati dall’Agcom su internet – attuativi del decreto Romani che recepisce la direttiva Ue sui media – non comprendono YouTube e i motori di ricerca. Lo ha detto il ministro per i Rapporti con il Parlamento, Elio Vito, rispondendo durante il question time ad un’interrogazione di Flavia Perina, Fli sui rischi di cesura per siti internet con contenuti audiovisivi.

 

Il ministro ha spiegato, in particolare, che la responsabilità editoriale è da intendersi come un controllo effettivo sia sulla selezione dei programmi, sia sulla loro organizzazione in un palinsesto cronologico: pertanto “I siti internet che non selezionano ex ante i contenuti generati dagli utenti ma effettuano una mera classificazione degli stessi non rientrano nel campo di applicazione della norma” deliberata dall’Autorità per le comunicazioni, e questo in piena sintonia con la direttiva Ue in materia. Salvo che non vi sia “responsabilità editoriale o sfruttamento economico”.

 

La preoccupazione della parlamentare nasceva vista la tendenza “ad affermare la tesi (espressa pubblicamente dal consigliere dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni Stefano Mannoni, ad esempio) secondo la quale gli algoritmi che tali siti usano per la gerarchizzazione dei contenuti caricati sulle loro piattaforme corrisponderebbe ad una firma di controllo editoriale. In tal senso, le piattaforme ugc più evolute sarebbero equiparate alle web-tv e quindi tenute al rispetto degli obblighi previsti dalle delibere dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni”.

Per la Perina, l’approccio di cui sopra, relativamente alle piattaforme ugc (user generated content), “appare in contrasto, tanto con il diritto comunitario, quanto con l’articolo 4 del testo unico dei servizi di media audiovisivi e radiofonici (cosiddetto decreto Romani), decreto legislativo 15 marzo 2010, n. 44, che escludeva esplicitamente l’applicabilità degli obblighi ai servizi consistenti nella fornitura o distribuzione di contenuti audiovisivi generati da utenti privati a fini di condivisione o di scambio nell’ambito di comunità di interesse”.

 

La risposta del ministro Vito ha soddisfatto Flavia Perina perché “ha espressamente escluso l’assoggettabilità’ di YouTube, Vimeo e Dailymotion alla nuova regolamentazione”.

Un’interpretazione opposta avrebbe avuto conseguenze molto pesanti per lo sviluppo della rete nel nostro Paese perché avrebbe aperto tre questioni sostanziali: la libertà degli utenti della rete sarebbe stata colpita, perché a fronte di un accresciuto controllo pubblico sui contenuti del web sarebbe scaturita la necessità per le piattaforme di “moderare” con severità i contributi caricati dai privati, onde evitare denunce e sanzioni; la portata della regolamentazione per le piattaforme ugc avrebbe rischiato di compromettere la profittabilità della presenza in Italia delle stesse, considerata la differenza sostanziale che intercorre tra il controllo contenutistico della programmazione di un’emittente tv e il filtro di milioni di file costantemente caricati da milioni di utenti; sarebbe risultato limitato l’accesso degli utenti italiani a servizi liberi nel mondo.

 

“Ha prevalso – ha concluso la Perina – la linea politica più ragionevole: un’Italia che ponesse filtri a YouTube sarebbe più simile alla Cina o alla Bielorussia che all’Europa Occidentale’.