NGN: di quante reti ha bisogno l’Italia? Player ancora divisi. Franco Bernabè, ‘Telecom Italia farà il necessario per modernizzare il Paese’

di Alessandra Talarico |

Scontro tra Agcom e OLO su conseguenze dell'aumento dei costi dei servizi all'ingrosso. Secondo i calcoli della società internazionale che ha predisposto le valutazioni, è infondato il valore dichiarato dagli OLO di 1,1 mld di euro.

Italia


Corrado Calabrò e Franco Bernabè

Dopo gli incontri della scorsa settimana tra l’Agcom e Telecom Italia prima e operatori alternativi dopo, sembra ripreso il difficile percorso verso la realizzazione di una rete internet di nuova generazione in fibra ottica, che porti anche l’Italia sulla via delle NGN. Dopo l’acceso confronto interrotto dalla pausa estiva, la scorsa settimana sono stati in molti a chiedersi come interpretare il doppio dato del duro scontro tra OLO e Agcom in occasione della circolazione del draft redatto dal Comitato NGN e l’annuncio di poche ore dopo, dell’accordo ecumenico registrato nell’ambito del Tavolo operativo promosso dal viceministro Paolo Romani.
La necessità di sostituire la rete in rame per passare ai collegamenti ultra veloci – in grado di garantire ad aziende e consumatori la possibilità di accedere a tutta una serie di servizi di nuova generazione che vanno dall’eGovernement alla telemedicina, fino all’eLearning – è ormai riconosciuta come primaria in tutto il mondo. Ma, mentre i Paesi dell’Area Asia Pacifico, grazie a massicci investimenti pubblici, si sono già portati molto avanti in termini di diffusione della fibra ottica, l’Italia e l’Europa sono ancora alle fasi preliminari: secondo gli ultimi dati Ocse, l’Italia conta 12,33 milioni di abbonati broadband, mentre le connessioni in fibra ottica si attestano allo 0,6%, rispetto a una media Ocse del 2,6% e il 16,4% della Corea, dove rappresenta il 49% delle connessioni broadband totali.

Riguardo la diffusione della banda larga e lo sviluppo dell’ultra banda larga l’Italia, tuttavia, “ha fatto notevoli progressi”. Ad affermarlo, l’amministratore delegato di Telecom Italia, Franco Bernabè, nel corso di un incontro a Riva del Garda.

“Fatta eccezione per il Giappone e la Corea, come Europa siamo messi meglio degli Usa e come Italia non siamo messi male”, ha dichiarato Bernabè, ribadendo la convinzione che  il digital divide “si può chiudere abbastanza rapidamente”.

Certo, ha ammesso, ci sono “ritardi, problemi e difficoltà”, ma da parte del gruppo Telecom Italia “…c’è la massima disponibilità per fare quello che deve essere realizzato per la modernizzazione del Paese”.

 

Nell’ultimo incontro con Agcom, oltre ad aver annunciato l’intenzione del gruppo di partire con le connessioni a 100 mega in sei città (Roma, Milano, Catania, Bari Venezia e Torino) entro Natale, Bernabè si è soffermato anche sull’importanza delle infrastrutture mobili, alle prese – anch’esse – con una radicale trasformazione rispetto a pochi anni fa. Se infatti, le reti mobili erano state concepite principalmente per il traffico voce, ora il panorama è completamente diverso e bisogna adattare anche questi network alla crescente domanda di servizi internet in mobilità, trainata dall’enorme successo degli smartphone e dei dispositivi per la connettività mobile come i tablet.

“L’architettura del mobile – ha precisato, quindi, Bernabè – è stata fatta per un uso diverso da quello dove ci stiamo dirigendo…quella architettura originaria, concepita 20-25 anni fa, non va più bene, deve essere completamente cambiata per accomodare la crescita e la tipologia del traffico. E questo sta avvenendo. Stiamo facendo fare ‘la cura della fibra’ a tutta la nostra rete mobile”.

 

Gli operatori mobili, da canto loro, hanno lanciato nei mesi scorsi il progetto “2010: Fibra per l’Italia” che dovrebbe portare alla realizzazione di una rete in fibra ottica in 15 città entro il 2015. Si sta quindi cercando di giungere a un accordo tecnico almeno sull’infrastruttura di base. Accordo che sarebbe già stato raggiunto la settimana scorsa e dovrebbe portare a una serie di misure – di competenza Agcom – tali da consentire la concorrenza tra infrastrutture nelle aree più remunerative, e tra servizi nelle zone in cui non sarebbe conveniente realizzare molteplici reti.

Il condizionale è, ovviamente, d’obbligo, visto che stamani, dalle pagine di Milano Finanza, l’amministratore delegato di BT Italia, Corrado Sciolla, ha ribadito la necessità di realizzare una sola rete NGN.

“Parlando in termini generali, malgrado si continui a parlare di differenziazione geografica nelle aree ad alta o bassa densità, pensare che in alcune zone sarà presente più di una infrastruttura è prendersi in giro”, ha dichiarato Sciolla.

 

In questo contesto, importanti sono anche le indicazioni giunte dalla Commissione europea nei giorni scorsi. Una serie di linee guida accolte con favore da Bernabè, secondo cui l’esecutivo europeo ha dimostrato “…una percezione dei problemi del settore che tiene conto del fatto che le imprese decidono investimento rischiosi e importanti e, di conseguenza, il principio di remunerazione è essenziale affinché sia possibile farli effettivamente partire”.

Particolarmente positivo, per Bernabè, l’alleggerimento delle regole, in particolare degli obblighi di orientamento al costo, in quei contesti – come il mercato italiano – “in cui è assicurata la cosiddetta equivalence of access”.

La raccomandazione Ue, ha spiegato Bernabè a margine della Conferenza Etno-FT, ‘…è un passo avanti laddove prevede la necessità di verificare i contesti geografici di sviluppo del mercato, calibrando di conseguenza le regole di accesso alla rete’. In questo modo, ‘‘i principi della raccomandazione saranno armonizzati al contesto locale’.
 

Tornando al mercato italiano, intanto, è guerra di cifre tra OLO e Agcom sulle conseguenze economiche dell’aumento dei costi di unbundling: secondo l’Autorità, la previsione di maggiori costi per 1,1 miliardi di euro derivanti dall’aumento del canone dei servizi all’ingrosso (unbundling, wholesale line rental e bitstream)  è infondata. La stima corretta è, infatti, di 70 milioni di euro.

La decisione dell’Agcom, oltre a essere in linea con le raccomandazioni Ue,“…si riferisce ad un arco temporale di tre anni (2010-2012) e non al periodo retroattivo e ultrattivo assunto dagli OLO (2009-2015)”.

 

“Peraltro gli eventuali aumenti per gli anni 2011 e 2012  – sottolineano fonti Agcom – saranno riconosciuti solo dopo la verifica del miglioramento qualitativo della rete telecom, della riduzione del numero dei guasti e dei tempi di attivazione dei servizi”.