3G: tutti gli operatori in corsa per le frequenze Ipse, ma H3G ammessa ‘con riserva’

di Alessandra Talarico |

Italia


Ipse

Tutti e 4 gli operatori mobili italiani – Telecom Italia, Wind, Vodafone e H3G – potranno concorrere alla gara per l’assegnazione delle frequenze Umts lasciate libere da Ipse, le cui attività erano state congelate nel febbraio 2003 in seguito al ridimensionamento delle stime di redditività dei servizi 3G.

H3G, comunica il ministero dello Sviluppo economico, è stata però ammessa alla gara con riserva e invitata a integrare la documentazione presentata, pena l’esclusione dalla gara.

 

Le società dovranno ora presentare l’offerta economica iniziale entro il 25 maggio: per ogni blocco di frequenze è prevista un’offerta minima di 495 milioni di euro.

Se le offerte presentate non dovessero raggiungere questa cifra, le società dovranno presentarne di nuove entro il 4 giugno, per un importo minimo di riserva fissato a 88.781.500 euro.

 

Ipse 2000, come molte start up europee ( la tedesca Quam , ad esempio) è uno dei sogni infranti dalla terza generazione.

L’operatore nasce nell’agosto 2000 dall’unione di importanti realtà industriali, italiane ed europee: la spagnola Telefonica Moviles (45,6%), la finlandese Sonera (12,6%) che tra l’altro, erano alle spalle anche di Quam – la Banca di Roma (10%), Edison (3%), Falck (2%), Xera (5%), Syntex Capital Luxembourg (4,8%) e Atlanet (12%).

 

Il neonato Ipse 2000 si aggiudica una delle licenze UMTS italiane, pagando in totale oltre 6 mila miliardi di lire, tra acquisto della licenza e frequenze aggiuntive. In base agli accordi contrattuali, l’operatore avrebbe dovuto coprire i capoluoghi di regione entro giugno 2004 e i capoluoghi di provincia entro i 30 mesi successivi.

 

Ma in meno di due anni appare evidente che l’operatore non sarebbe riuscito a mantenere gli impresi sottoscritti al momento della licenza: le attività vengono congelate, 109 dei 122 dipendenti licenziati e i vertici della società sono costretti ad ammettere che il lancio commerciale di Ipse non sarebbe mai avvenuto.

 

Nel novembre del 2002, l ‘operatore ha quindi chiesto al governo di poter restituire i 5 Mhz di frequenze aggiuntive per potersi liberare dall’obbligo di pagamento delle restanti 8 rate annuali (per un valore complessivo di 826 milioni di euro).  Ma il governo ha bocciato la richiesta proprio per non discriminare gli altri operatori.

 

A gennaio del 2006, quindi, l’allora ministro delle Comunicazioni, Mario Landolfi, ha formalizzato l’avvio del procedimento per la revoca delle licenze e delle frequenze in mano all’operatore, dopo aver constatato l’impossibilità di giungere a un accordo sulle frequenze con gli altri operatori.

 

Ipse aveva infatti proposto la cessione, dietro un compenso economico, del proprio pacchetto di frequenze a tre operatori (TIM, Vodafone e Wind) mentre al quarto (H3G) sarebbe andato un corrispettivo in denaro girato dalla stessa Ipse.

Il risarcimento sarebbe stato di natura tecnica: l’assegnazione di nuove frequenze, infatti, prevede una sorta di riordino generale delle stesse perché siano successive una all’altra, operazione per la quale le società devono sostenere un costo.

Dopo mesi di trattative e una serie infinita di riunioni interlocutorie, tutte terminate con una fumata nera, le società di telefonia non sono tuttavia riuscite a mettersi d’accordo.

 

Oltre che sulla sistemazione delle frequenze, gli operatori non hanno infatti trovato un terreno condiviso sulle soluzioni economiche: il problema riguardava sia la somma da versare a Ipse per i 15 Mgh di frequenze, sia il ristoro economico che  la stessa Ipse avrebbe poi dovuto girare al gestore non interessato all’asset.

 

La revoca della licenza di Ipse, oltre a rimettere sul mercato frequenze per 15 Mhz, che si aggiungono ad altri 10 Mhz liberi dopo la dismissione delle frequenze Tacs, ha implicato una forte perdita economica per i soci del gruppo: la spagnola Telefonica , Fiat, Capitalia, Edison e Acea.

 

Telefonica, in particolare, già nel 2004 aveva fatto ricorso alla Commissione europea chiamata a decidere sulla decisione del Governo italiano di non cambiare le regole fissate al momento della stipula dei contratti per non discriminare gli altri operatori.

Anche nel 2006 la società aveva minacciato nuove azioni legali contro la decisione dell’Italia di revocare la licenza, dal momento che il suo azzeramento ha avuto un impatto di 89 milioni di euro sui risultati della società nel 2005.