Pubblicità ingannevole: quadro normativo e ultime decisioni dell’Antitrust su pratiche commerciali scorrette

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di Francesca Besemer e Ernesto Apa - Portolano Colella Cavallo Studio Legale

Italia


Pubblicità

L’Italia è stato il primo paese dell’Unione Europea a recepire la direttiva sulle pratiche commerciali sleali. A distanza di poco più di un anno dall’entrata in vigore della nuova disciplina, sono stati numerosi gli interventi dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato (l'”Autorità“).  In questo articolo sarà tracciato un quadro sintetico della nuova disciplina, esaminando anche la recente decisione dell’Autorità che ha sanzionato le principali società del settore Energia.

 

 

La nuova disciplina della pubblicità ingannevole: il recepimento della Direttiva comunitaria sulle pratiche commerciali sleali

 

L’Italia è stato il primo paese dell’Unione Europea a recepire la direttiva n. 2005/29/CE sulle pratiche commerciali sleali tra imprese e consumatori nel mercato interno, approvando i Decreti legislativi nn. 145 e 146 del 2 agosto 2007, entrati in vigore il 21 settembre 2007.

Come noto, la direttiva 2005/29/CE non solo regola le pratiche commerciali sleali tra imprese e consumatori, ma, nell’art. 14,  introduce anche delle modifiche alla disciplina in tema di pubblicità ingannevole e comparativa (disciplina contenuta nella direttiva 84/450/CEE, ora abrogata dalla direttiva 2006/114/CE).

 

I due decreti legislativi del 2007 attuano quindi due ordini di norme comunitarie: le prime sono finalizzate propriamente alla tutela del consumatore, le seconde disciplinano la pubblicità ingannevole e comparativa, regolando i rapporti tra imprese.

I decreti introducono, inoltre, alcune novità in materia di contenuti della pubblicità illecita e in merito ai poteri di ispezione e intervento dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato (l’Autorità).

 

 

La nozione di pubblicità ai fini dell’applicazione dei decreti legislativi del 2007

 

La direttiva 2005/29/CE si limita ad annoverare la “pubblicità” tra le “pratiche commerciali” senza, tuttavia, offrirne alcuna definizione. Infatti, utilizzando termini propri del linguaggio manageriale più che giuridico, essa include la pubblicità tra le attività di natura commerciale.

Il decreto legislativo n. 145/07 definisce invece la pubblicità una “qualsiasi forma di messaggio che è diffuso, in qualsiasi modo, nell’esercizio di una attività commerciale, industriale, artigianale o professionale, allo scopo di promuovere il trasferimento di beni mobili o immobili, la prestazione di opere o di servizi oppure la costituzione o il trasferimento di diritti ed obblighi su di essi“.

 

Tale definizione è estensiva, ma non chiarisce – in termini più propriamente giuridici – quali sono nel dettaglio considerate attività di pubblicità, sia dal punto di vista della modalità realizzative, che delle forme di diffusione.

 

L’Autorità e la giurisprudenza amministrativa hanno sempre interpretato nella prassi in modo molto estensivo il concetto di pubblicità, includendovi, a solo titolo esemplificativo, le seguenti attività:

 

* gli opuscoli e guide tecniche qualora contengano consigli tendenti ad orientare le scelte economiche del consumatore;

* i segni distintivi, come la ditta o l’insegna degli esercizi commerciali, la carta intestata in quanto di per sé idonee a promuovere l’attività economica dell’azienda stesa, nonché il marchio, qualora, per via del contesto in cui è inserito, assuma valenza pubblicitaria;

* la confezione del prodotto.

 

Per quanto riguarda le forme di diffusione, oltre a quelli tradizionali (radio, televisione, posta, ecc.), negli ultimi anni sono aumentati i provvedimenti aventi ad oggetto comunicazioni giunte ai consumatori tramite sms ed eMail. Al riguardo, si è ritenuto che essi presentino grande affinità con il mezzo postale e con quello telefonico tradizionale in quanto raggiungono il consumatore a domicilio e, dunque, in presenza di barriere difensive attenuate. In particolare, l’Autorità ha ritenuto che, al fine di valutare la potenzialità dei messaggi sms, occorre tenere conto che il consumatore non viene solo informato di una iniziativa commerciale, ma viene anche spesso messo nella condizione di concludere un contratto.

 

In relazione ai contenuti specifici della pubblicità ingannevole e comparativa, i decreti legislativi riproducono la disciplina della direttiva e inoltre, al fine di garantire una più ampia tutela in materia di pubblicità ingannevole per i professionisti e i concorrenti, le disposizioni sulla trasparenza della pubblicità.

 

In particolare l’art. 5 del decreto legislativo 145/07 prevede che la pubblicità debba essere chiaramente riconoscibile come tale. La pubblicità a mezzo stampa deve essere distinguibile dalle altre forme di comunicazione al pubblico, con modalità grafiche di evidente percezione.  Inoltre, si prevede che i termini eventualmente contenuti nella pubblicità “garanzia” o “garantito” e simili possano essere usati solo se accompagnati dalla precisazione del contenuto e delle modalità della garanzia offerta. E’ vietata inoltre ogni forma di pubblicità subliminale.

 

In merito alla pubblicità ingannevole, questa viene definita come la pubblicità che “in qualsiasi modo” è idonea ad indurre in errore le persone fisiche o giuridiche alle quali è rivolta, pregiudicando il loro comportamento economico o la lealtà della concorrenza. Il decreto legislativo indica tra gli elementi da considerare ai fini di una valutazione della ingannevolezza della pubblicità anche le caratteristiche dei beni o dei servizi reclamizzati e i loro prezzo, nonché le condizioni di fornitura e le categorie o le qualifiche proprie dell’operatore pubblicitario.

 

Quanto alla pubblicità comparativa, il decreto stabilisce che questa debba sempre confrontare beni o servizi che soddisfino uguali bisogni o che si pongano gli stessi obiettivi, senza causare confusione tra i diversi concorrenti e senza denigrare o causare discredito ad altri marchi.

 

 

I nuovi poteri dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato

 

Particolare interesse rivestono le disposizioni in materia di repressione dei comportamenti illeciti.

 

I decreti legislativi attribuiscono all’Autorità  il potere di intervenire d’ufficio e le conferiscono  specifici compiti di verifica e controllo dell’attività pubblicitaria, nonché opportuni poteri di sospensione e sanzione nei confronti degli operatori pubblicitari che dovessero violare le norme in questione.

 

AGCM, dispone, in materia di pubblicità ingannevole, di ampi poteri, analoghi a quelli che può esercitare in materia di antitrust, i quali includono il potere di acquisire informazioni rilevanti da chiunque detenute, un potere ispettivo, il potere di negoziare impegni con l’operatore. I poteri ispettivi sono esercitati mediante l’utilizzo della Guardia di Finanza.

 

Sono inoltre stati rafforzati in misura sostanziale anche i poteri sanzionatori dell’Autorità: in caso di pubblicità illecita la sanzione comminata può raggiungere 500.000 Euro. 

 

L’Autorità ha altresì il compito di emanare il regolamento che regola la procedura istruttoria finalizzata all’accertamento della infrazione. Nel contesto normativo precedente l’adozione del decreto legislativo, il compito di definire le regole procedurali era invece affidato al Governo.

 

L’Autorità ha emesso quindi, il 15 novembre 2007, il Regolamento sulle procedure istruttorie in materia di pubblicità ingannevole e comparativa, che, conformemente al decreto legislativo 145 del 2007, introduce importanti novità.

 

– In primo luogo, in merito alla richiesta di intervento, il regolamento specifica che “ogni soggetto od organizzazione che ne abbia interesse può chiedere intervento all’Autorità nei confronti di pubblicità che ritenga ingannevoli o illecite ai sensi del decreto legislativo“.

Prima della introduzione del decreto legislativo in oggetto, la normativa italiana prevedeva una serie di soggetti legittimati ad agire: i concorrenti, i consumatori, le loro associazioni ed organizzazioni, il Ministero delle attività produttive nonché ogni altra pubblica amministrazione che ne abbia interesse.

 

Ora, invece, può intervenire chiunque ne abbia interesse, anche quindi se la pubblicità non sia direttamente destinata a ledere l’interesse di una specifica società.

 

L’Autorità può inoltre intervenire d’ufficio.

 

– La nuova procedura comporta un allungamento dei tempi, dai precedenti 75 giorni a 120 giorni ed è prevista una attività pre-istruttoria.

 

– In base alla normativa previgente, a fronte di una denuncia l’Autorità doveva sempre avviare l’istruttoria. La nuova disciplina ha invece introdotto la fase pre-istruttoria, con l’obiettivo di limitare il numero di casi che saranno oggetto di approfondimento istruttorio e rendere, quindi, più efficace l’azione amministrativa. 

 

In tale fase, il responsabile del procedimento può chiedere informazioni, pur non essendo previsti in questa fase poteri sanzionatori in caso di mancata collaborazione. Inoltre, ad eccezione di casi di particolare gravità, il responsabile del procedimento può, informato il Collegio (ossia l’organo composto dai 5 commissari dell’Autorità), invitare per iscritto il professionista a rimuovere i profili di possibile scorrettezza.

 

Il Collegio può procedere all’archiviazione qualora ritenga, sulla base degli elementi prodotti con la richiesta di intervento o altrimenti acquisiti dal responsabile del procedimento, “che non vi siano i presupposti per un approfondimento istruttorio“.

 

– L’autorità, in caso di particolare urgenza, può disporre anche d’ufficio, con atto motivato, la sospensione della pubblicità ritenuta ingannevole o della pubblicità comparativa ritenuta illecita.

 

Il regolamento fissa un termine di cinque giorni dal ricevimento del provvedimento di sospensione provvisoria della pratica commerciale entro il quale il professionista deve dare comunicazione all’Autorità dell’avvenuta esecuzione del provvedimento. La precedente disciplina faceva riferimento più in generale all’obbligo di dare “immediata comunicazione” all’Autorità dell’avvenuta esecuzione.

 

Assonime ha sollevato alcune critiche alla bozza del regolamento dell’Autorità, osservando che un termine inderogabile di cinque giorni per sospendere la pubblicità in via cautelativa potrebbe risultare per alcuni casi troppo stretto.

 

– Ad esclusione dei casi di manifesta scorrettezza e gravità, l’Autorità può ottenere dal professionista l’assunzione dell’impegno di porre fine all’infrazione, cessando la diffusione della stessa e modificandola in modo da eliminare i profili di illegittimità.

 

Infine, si ricorda che in forza della già esistente normativa, in vigore dal 29 dicembre 2006 (Regolamento n. 2006/2004) vi è una rete di assistenza reciproca tra le autorità competenti in Europa, per cui, nell’ipotesi in cui una pratica commerciale lesiva degli interessi dei consumatori italiani trovi origine in un altro stato membro dell’UE, l’Autorità potrà chiedere all’autorità straniera sua omologa di svolgere l’attività investigativa necessaria all’accertamento dell’infrazione ed eventualmente di adottare le misure coercitive nei confronti dell’operatore ivi stabilito. I poteri rafforzati dell’Autorità italiana saranno, per inverso, anche utili all’accertamento di violazioni a danno di società di altri Paesi europei.

 

 

Le recenti sanzioni a carico delle principali società del settore energia

 

Nella recente decisione nei confronti delle società Enel, Eni, AceaElectrabel, Aem, Asm, Trenta, Enìa, Mpe e Italcogim, l’Autorità ha dichiarato che le stesse “hanno attuato pratiche commerciali scorrette nelle modalità di pubblicizzazione dei prezzi praticati nel mercato libero dell’energia e del gas“.

 

La decisione accerta in primo luogo la sussistenza della pratica commerciale scorretta ai sensi degli artt. 20, 21, comma 1, lettera d), e 22, comma 4, lettera c), del Codice del Consumo.

 

L’Autorità argomenta la sussistenza della violazione principalmente per la modalità di pubblicizzazione dei prezzi. In particolare, si eccepisce la mancanza dell’indicazione delle imposte e di oneri aggiuntivi, modalità di indicazione del prezzo che altera significativamente la percezione della convenienza dell’offerta da parte dei consumatori.

 

L’Autorità sottolinea, quindi, che “l’indicazione del prezzo deve essere comprensiva di ogni onere economico gravante sul consumatore il cui ammontare sia determinabile ex ante”.

 

Pertanto illecite sono le indicazioni di ogni cifra parziale rispetto a quella finale che il consumatore dovrà pagare. La completezza delle informazioni si qualifica come un onere minimo dell’operatore pubblicitario, a maggior ragione in campi come quelli della vendita di energia elettrica e gas, dove la concorrenza tra operatori si svolge principalmente intorno alla variabile prezzo.

 

In secondo luogo l’Autorità ha ribadito, con più fermezza, la necessità della completezza e chiarezza del messaggio pubblicitario. L’Autorità ha in particolare rilevato che “la possibilità che il consumatore possa essere tratto in errore circa l’esatta portata dell’offerta non può essere esclusa dalla circostanza che l’utente sia in grado di conoscere le condizioni della stessa anche in un momento immediatamente successivo, come nel caso di specie, quale quello della consultazione del link – ulteriori informazioni- , oppure attraverso la fruizione del servizio di assistenza clienti. […]  Si sottolinea, in merito, peraltro, che la consultazione di tale link da parte del consumatore è solamente eventuale“.

 

Pertanto, il rinvio a fonti informative ulteriori rispetto al messaggio pubblicitario non è idoneo a sanare l’ingannevolezza del messaggio stesso. 

 

In merito all’idoneità del messaggio a pregiudicare il comportamento economico dei consumatori ai sensi del Codice del Consumo, si sottolinea che non è necessario che si verifichi un danno a carico del consumatore, essendo sufficiente la mera idoneità ad alterare il comportamento del consumatore.

 

L’Autorità sottolinea infatti che “la ratio dell’art. 20 del Codice del Consumo è quella di proteggere non già l’integrità del patrimonio del consumatore, bensì la sua libertà di autodeterminarsi, di scegliere con cognizione di causa, ovvero di prendere decisioni informate“.

 

Rilevante è infine il ragionamento effettuato dall’Autorità in merito alla gravità della violazione e alla quantificazione della sanzione amministrativa.

 

La violazione è ritenuta grave principalmente per i seguenti motivi:

 

* si è tenuto conto della recente liberalizzazione del settore della vendita dell’energia, avvenuta nel luglio 2007 per il mercato dell’energia elettrica e per il mercato del gas nel gennaio 2003;

* in secondo luogo, relativamente alla capacità di penetrazione del messaggio, si è sottolineato il fatto che i messaggi sono stati diffusi via internet, e dunque hanno raggiunto potenzialmente un numero estremamente ampio di destinatari “tra cui semplici utenti in cerca di una offerta vantaggiosa“;

* la decisione ha sottolineato, infine, come la gravità della violazione vada parametrata alla capacità di penetrazione del messaggio e non alla sua effettiva penetrazione (ad esempio, numero di contatti che sono stati stipulati), quindi alla potenzialità del messaggio e non al numero di consumatori effettivamente tratti in inganno;

* l’Autorità, infine, ha giudicato grave la violazione anche in relazione alla dimensione economica del professionista.  Sotto tale profilo, ha valutato il fatturato della società dell’ultimo anno.

 

Sulla scorta di tali parametri, la sanzione erogata alle società è stata quantificata da 90.000 Euro a 250.000 Euro.  

   

 

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