IPv4: la Cina lancia l’allarme. Il Paese ha un’autonomia di soli 830 giorni

di Alessandra Talarico |

Cina


Ipv6

Il protocollo internet attualmente in uso – l’IPv4 – entrato in ‘servizio’ nel 1984, comincia a mostrare dei limiti in fatto di capacità di indirizzamento, soprattutto in Cina.

Lo ha reso noto il CNNIC (China Internet Network Information Center), secondo cui al Paese non restano che 830 giorni di autonomia IPv4.

 

Urge dunque un rapido passaggio alla nuova versione del protocollo, l’IPv6.

 

Li Kai, direttore del CNNIC, ha spiegato che se non venisse accelerato questo passaggio – fondamentale per l’intera economia internet a livello globale – gli utenti cinesi avrebbero grossi problemi a restare connessi.

Una necessità sottolineata anche nel corso di diversi seminari, ha spiegato Li, durante i quali agli operatori è stato chiesto di predisporre in maniera rapida il passaggio al nuovo protocollo, al fine di preservare la possibilità, per gli utenti cinesi, di potersi connettere a internet.

 

Attualmente, ha aggiunto Li, la Cina ha già utilizzato l’80% delle risorse IPv4 disponibili. Il livello di allocazione raggiunto in Cina ha superato quello del Giappone: il Paese è attualmente secondo dopo gli Stati Uniti, ma gli Usa dispongono già di una rete IPv6 ben sviluppata, mentre in Cina solo le reti delle scuole hanno iniziato a utilizzare il nuovo protocollo.

 

Per numero di utenti, la Cina ha recentemente comunicato di aver superato gli Stati Uniti: sono 253 milioni gli internauti cinesi rispetto ai 220 milioni americani, mentre le web company locali (Baidu, Sina, Tencent, Alibaba) in molti casi superano il giro d’affari in Cina di giganti come Google, Yahoo, eBay.

 

Il problema del passaggio all’IPv6, tuttavia, non riguarda solo la Cina: già da diversi mesi, gli esperti hanno lanciato l’allarme sul fatto che gli indirizzi web  disponibili potrebbero terminare entro il 2010.

 

Sia l’Ocse che la Commissione europea sono dunque scese in campo per incoraggiare utenti e fornitori di accesso a passare al protocollo IPV6, che consentirà di aumentare in maniera significativa lo spazio di indirizzamento, un po’ come è accaduto nel secolo scorso con l’allungamento dei numeri telefonici.

L’Europa, pur avendo investito 90 milioni di euro nella ricerca sull’IPv6 e potendo vantare la leadership per l’introduzione dell’IPv6 sulle reti di ricerca europee (GEANT), viaggia in ritardo rispetto alle altre potenze: in Giappone, NTT dispone già di una dorsale IPv6 pubblica, mentre la Corea, che ospiterà la prossima riunione ministeriale dell’Ocse sul futuro della web economy, si è impegnata a convertire le infrastrutture internet delle istituzioni pubbliche all’IPv6 entro il 2010 e a installare infrastrutture IPv6 in tutte le nuove reti di comunicazione.

 

L’IPv6 – standardizzato già da 10 anni – come ha spiegato il Commissario Viviane Reding, offre un numero di indirizzi nel cyberspazio “superiore al numero di granelli di sabbia su tutte le spiagge del mondo”.  Anche di fronte all’aumento esponenziale della domanda di indirizzi IP, dunque, il nuovo protocollo consentirà di lanciare applicazioni internet innovative e di non ostacolare la crescita del web che, restando così le cose, verrebbe invece seriamente compromessa, non solo in Cina.