Italia
 Acqua alle corde!!
 
 Le imprese difficili hanno sempre impegnato gli ingegni ed entusiasmato la  storia. Quando nel 1586 Papa Sisto V si rivolse a Domenico Fontana  per tirar su l’obelisco egiziano che, dai tempi di Caligola, giaceva  abbandonato e coperto di rovi accanto alla sagrestia sul lato occidentale di San  Pietro, sapeva di dar luogo ad un’impresa importante. 
 Si trattava di collocare in posizione eretta una stele di 25 metri e del peso di  327 tonnellate. Ci vollero 7 mesi di preparativi, 5 gigantesche vele, 40  verricelli, 140 cavalli, 8oo uomini ed il 30 aprile di quell’anno una folla  immensa si radunò per assistere alle operazioni. Per bilanciare gli sforzi, uno  squillo di tromba avrebbe annunciato l’entrata in azione degli argani e uno  scampanio il loro arresto. Fu ordinato il silenzio assoluto, con la comminazione  della pena di morte per i trasgressori e per questo una forca con il boia in  attesa era stata eretta accanto al luogo dei lavori. L’obelisco fu sollevato  senza contrattempi per metà. 
 Poi si fermò. 
 Le corde si stavano allungando e rischiavano di cedere.
 Vinto dall’eccitazione, un marinaio di S.Remo, certo Bresca, urlò: “Acqua  alle corde“. Bagnarle avrebbe significato dare loro volume, impedire lo  sfilacciamento e ridare tonicità alla trazione. Bresca fu immediatamente  arrestato, ma Fontana seguì il suggerimento. 
 Oggi l’obelisco è li dove fu issato in quel 30 aprile del 1586. 
 Bresca fu nominato capitano ed ebbe un vitalizio, mentre l’architetto Fontana  dopo San Pietro issò gli obelischi di Piazza del Popolo, San Giovanni in  Laterano e Santa Maria Maggiore.
 Da allora Acqua alle corde!! è un grido di allarme, ma anche un urlo di  sostegno a chi deve coordinare gli sforzi di molte persone per raggiungere un  obiettivo alto ed impegnativo.
L’obelisco di Telecom Italia
 Oggi Telecom Italia si trova in una situazione impegnativa: accusa una  dichiarata difficoltà sugli andamenti di Borsa, che come è noto determinano il  valore formale di un’azienda, ma vanta nel contempo un grande patrimonio di  competenze, asset, reputazione.
 Telecom Italia ha bisogno, in questo momento, di tirar su un’immensa stele per  consegnarla al Paese ed al mercato.
 E domani si terrà il tanto atteso Consiglio di amministrazione della società. 
 Certamente verranno presentati i risultati della prima metà del 2008. Si tratta  del primo semestre di gestione Bernabè, un arco temporale percorso in un  contesto nazionale ed internazionale difficile. 
 Immaginiamo che, per i prossimi mesi, lo sforzo sia quello della individuazione  della prospettiva di rilancio. Un rilancio che dipenderà dal profilo e dagli  obiettivi del Piano Industriale, che tutti attendono entro la fine dell’anno.  Naturalmente questa attesa è rafforzata dalle aspettative per le Linee guida,  che dovranno ispirare il Piano Industriale e che dovranno essere oggetto di  confronto. Mercato ed azionisti, è inutile dirlo, aspettano con forte  trepidazione e con qualche ansia, per capire quali saranno le direzioni. 
 Agli elementi di valore cui facevamo prima riferimento (competenze, asset,  reputazione), si aggiungono in negativo un titolo che va male, una società molto  (forse troppo) elefantiaca, una prospettiva di investimenti e gestione della  nuova rete su cui pesa più di un nodo industriale ed istituzionale, unitamente  alle relazioni che potremmo definire frizzanti tra gli azionisti.
 Poi vi è la guida dell’azienda, che è certamente di valore.
 Vi sono tutti gli ingredienti per un rilancio vero di Telecom Italia, un  requisito utile, oltre che per l’azienda e gli azionisti, anche per il Paese e  per gli stessi competitors, cui occorre confrontarsi con un incumbent  coerente e non indeciso.
 Il punto di snodo, appare sempre più evidente, dipenderà dalle scelte dei  prossimi mesi. Da come verranno valorizzati assets e competenze. Da come ci si  legherà alle esigenze del sistema-Paese. Da come si uscirà da alcuni elementi di  stallo che si sono dischiusi in questi mesi. 
 E’ tutto alla portata di un rilancio di Telecom Italia.
 Non sappiamo se l’azienda riacquisterà valore mandando a casa, con i costi  relativi, 5.000 dipendenti. 
 Non sappiamo se potrà riprendere valore dismettendo questa o quella iniziativa  estera o rilanciando questa o quella alleanza internazionale.
 Ma una considerazione vorremmo farla.
 La cronaca finanziaria che ci circonda ci descrive con periodicità ravvicinata  il caso di aziende che vanno in dismissione e che per assicurare valore agli  azionisti vengono spezzettate e messe sul mercato come tali, a pezzi.
 Mi sia permesso il paradosso, tanto irrituale quanto rispettoso. Ma viene in  mente un percorso all’incontrario: spezzettare per competenze o per business  unit, per dare maggior valore alla società.
 E se Telecom Italia valorizzasse tutti i propri asset verticali trasformandoli  in società raggruppate in un articolato cluster? Ovvero un grappolo di società  impegnate su livelli di operatività paralleli, ma con una holding di controllo?  E’ possibile che la somma dei singoli valori guadagnerebbe, con totali che  potrebbero essere più veritieri sul valore reale della società nel suo  complesso? 
 Le catene del comando si accorcerebbero di molto, conferendo flessibilità e  focalizzazione sugli obiettivi, non senza escludere forse qualche spinta di  competizione. 
 Ad esempio, una struttura societaria dedicata al network, alla rete, avrebbe il  pregio di incontrare l’interesse e le attenzioni dell’autorità di regolazione,  delle forze politiche, degli stessi competitor. 
 Analoghe considerazioni potrebbero valere per l’area consumer e per quella  Business, allo scopo di valorizzare i rispettivi mercati.
 L’ipotesi sin qui fatta può apparire inidonea, ma la societarizzazione potrebbe  portare più elementi positivi che negativi e potrebbe sprigionare grandi forze  vitali interne.
 Ma può darsi che le soluzioni siano altre.
 Ciò che è evidente è che l’obelisco è stato già sollevato per metà e le corde  accusano l’immenso peso.
 E allora…Acqua alle corde!!!
 Occorre bagnare i punti di trazione, valorizzare gli sforzi congiunti,  accogliere magari i suggerimenti di Bresca da San Remo, perché si possa portare  a termine l’operazione di Piazza San Pietro e perché auspicabilmente, per questa  azienda dovranno esserci nuove operazioni e di successo con altre steli.


