Programmazione Tv: non facciamo il gioco di chi difende il monopolio Auditel e impedisce ogni altra ricerca quantitativa e qualitativa degli ascolti

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Roberta Gisotti

Continua il dibattito sulla qualità dei programmi televisivi. Questa volta a scriverci è Roberta Gisotti, Docente di Economia dei Media alla Pontificia Università Salesiana, autrice de “La Favola dell’Auditel” (Nutrimenti 2005).

 

Gentile direttore,

 

in merito al dibattito apertosi sul sito di Key4biz circa il progetto di dotare la Rai di un nuovo Indice di qualità, anche alla luce anche della lettera di una spettatrice che denuncia contenuti violenti persino nei cartoni animati, mi permetto di aggiungere alcuni elementi in tema di rilevamento degli ascolti, correttivi rispetto a quanto divulgato dai professori Remigio del Grosso  e Gianni Celata.

 

 

 

Da oltre 11 anni gli italiani attendono invano che la RAI renda pubblici i dati di ascolto qualitativi, ovvero da quando nel luglio ’97, ha varato il sistema IQS, sigla che sta per Indice di Qualità e Soddisfazione. Nello stesso luglio ’97 entrava infatti in vigore la Legge 249, cosiddetta Maccanico dal nome dell’allora ministro delle Telecomunicazioni, che istituiva l’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, assegnandole il compito di curare il rilevamento degli ascolti radiotelevisivi e di vigilare su quelli operati da soggetti terzi. Si profilava dunque la fine del monopolio dell’Auditel – che aveva esordito nel dicembre ’86 – configurandosi una pluralità di rilevamenti. Per questo la RAI si dotava di un proprio sistema per rilevare la qualità della programmazione offerta dal Servizio pubblico.

 

Purtroppo l’Auditel, frutto di un patto mediatico-politico-finanziario, a tutt’oggi resta l’arbitro incontestabile nello scenario televisivo, nonostante l’inaffidabilità di questo sistema, i cui limiti scientifici e le evidenti distorsioni sono stati denunciati a più riprese dalle massime Autorità pubbliche e private compenti in materia, oltre che dalla stessa Magistratura, e rivelati dalle testimonianze di tutte le famiglie campione che ne hanno riferito alla stampa, senza contare le accuse di mancata trasparenza nella governance societaria, laddove i ‘controllati’ sono anche i ‘controllori’.

        

Si capisce bene perché il sistema IQS è rimasto sempre ‘secretato‘, perché i suoi dati sono comunque discordanti rispetto a quelli dell’Auditel e ne intaccherebbero il criterio assoluto di valutazione dell’intera programmazione.

        

Fatta questa premessa apprendiamo che un Comitato scientifico previsto dal Contratto di servizio 2007-9, siglato tra il Ministero delle Comunicazioni e la RAI, è al lavoro per varare entro tre mesi un nuovo sistema di rilevamento nel Servizio pubblico, di cui sono state anticipate le linee guida,  per misurare la qualità secondo criteri oggettivi, ma anche la qualità percepita dagli spettatori e pure la qualità attesa dai cittadini. Ottime le intenzioni e l’impianto della ricerca, che dovrà garantire la diffusione di un indice qualitativo quotidiano, di indici periodici mirati, di un indice mirato alla programmazione per i minori ed un indice per gli utenti dei servizi Internet. Con soddisfazione ritrovo gran parte dei suggerimenti che ho avuto modo di proporre sia al ministro Gentiloni che al Garante per le comunicazioni.

 

Fin qui tutto bene nel campo delle ipotesi. Ci chiediamo infatti come potrà il Comitato portare a compimento un progetto ambizioso voluto da un Ministro di un Esecutivo dimissionario, Paolo Gentiloni, firmatario di un DDL per riformare la RAI, peraltro isolato in questo proposito nella stessa maggioranza governativa, impegnata senza successo a ribaltare gli equilibri politici dell’attuale Consiglio d’Amministrazione, nominato nella precedente legislatura, in scadenza nel giugno 2008.

 

A questo punto il dibattito – apertosi  su Key4biz – tra i professori Del Grosso e Celata appare pretestuoso rispetto al vero nodo della questione. Ritengo però di dissentire su alcune affermazioni e di correggere le inesattezze.

 

Il prof. Celata parla di un “glorioso IQS” nato nel ’93 anziché nel ’97, e confonde la Consulta Qualità presieduta da Jader Jacobelli con la Commissione mista – prevista dal Contratto di Servizio 2003/5, siglato dall’allora ministro delle Telecomunicazioni Maurizio Gasparri – incaricata di verificare la qualità della programmazione RAI, composta allora da quattro membri, designati due dal Consiglio Nazionale degli Utenti, (Cesare Mirabelli e Plinio Sacchetto) e due dalla RAI (Benito Benassi e Giancarlo Leone) oltre ad un delegato ministeriale (Roberto Caravaggi).

 

Tale Commissione, a dire il vero, ebbe il merito di presentare pubblicamente l’11 novembre 2003 –  prima ed unica volta nella storia della RAI – i dati IQS, che si rivelarono sorprendenti: la Rete più gradita dal pubblico,  risultò Rai Tre – quella che percepisce in base ai dati Auditel di minori finanziamenti – seguita da Rai Uno e da Rai Due; in cima alla lista dei programmi più graditi risultarono invece quelli per bambini, seguiti da quelli culturali, sociali e di pubblica utilità, mentre agli ultimi posti risultarono l’intrattenimento, i film e le rubriche sportive. Questo a significare, non certo che il pubblico non ami l’intrattenimento, i film e lo sport in Tv ma a dimostrare che il giudizio degli spettatori sulla qualità di questi generi sia in prevalenza negativo rispetto alle attese. Dati ‘imbarazzanti’, tanto che nonostante le promesse la Commissione mista tornò ad occultarli.

 

Secondo il prof. Celata rilevare la qualità percepita e attesa dallo spettatore di per se è un dato “inutile” se non correlato ad altri aspetti che interessano chi produce i programmi, le imprese fornitrici di contenuti e tecnologie e il contesto economico e finanziario. Al contrario, il dato qualitativo, espressione del gradimento del pubblico, è assolutamente primario ed autonomo nella sua valenza se in democrazia lo spettatore-cittadino è sovrano nel campo televisivo. Il prof. Celata definisce poi il progetto del nuovo Indice di qualità messo a punto del Comitato scientifico un “indagine di mercato” “niente di più, niente di meno“. Al contrario monitorare la qualità televisiva è un servizio d’interesse generale per i cittadini, non per il mercato. Mercato dominato dai grandi investitori pubblicitari, che in Italia attraverso l’Auditel hanno ‘blindato’ il duopolio a tutto frutto dell’unico polo privato, a tutto danno del polo pubblico svuotato della sua missione. Ricordiamo che il pubblico dell’Auditel – anche quello dei bambini – è considerato esclusivamente una merce da vendere sul mercato della pubblicità, non conta nulla, niente di più, niente di meno.

 

Per questo ogni protesta, ogni denuncia come quella di Carolina D’Agostino, o anche delle più alte cariche dello Stato, come il presidente della Repubblica o persino di autorità morali come il Papa, resterà inascoltata, sacrificando bambini, giovani, anziani e noi tutti spettatori senza diritti se non sarà riformato l’intero sistema dei rilevamenti radiotelevisivi.

 

Riguardo infine il prof. del Grosso, questi afferma che l’indagine IQS “era rivolta esclusivamente ai telespettatori che avevano seguito un programma determinato, e che, pertanto non potevano che confermare il proprio gradimento“. Dispiace contraddirlo alla luce di quanto riferito in questo articolo.

 

Vorrei quindi invitare tutti quanti, per meriti accademici e titoli professionali, abbiano ad interessarsi e soprattutto a prendere decisioni in questa complessa materia dei rilevamenti televisivi anzitutto a documentarsi accuratamente per non fare il gioco di chi da oltre 21 anni è impegnato a difendere il monopolio dell’Auditel e a screditare ed impedire ogni altra ricerca sia quantitativa che qualitativa degli ascolti televisivi a servizio del bene pubblico.

   

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