Il quadro

Tra cinema e Rai, l’inerzia e la deriva del sistema culturale italiano

di |

Tra “spoil system” e “sliding doors” e nuova (vecchia) lottizzazione, poco o nulla sta cambiando nel governo del sistema culturale italiano. La crisi della Rai è sintomatica del deficit di tecnicalità e della mancanza di visioni strategiche.

Dopo gli entusiasmi (ingiustificati) della Sottosegretaria leghista Lucia Borgonzoni e dei suoi due amici Francesco Rutelli e Mario Lorini (rispettivamente presidenti delle associazioni dei produttori e distributori, Anica, e degli esercenti, Anec) in occasione della presentazione del “consuntivo” italico del mercato cinematografico “theatrical”, mercoledì scorso 10 gennaio 2024 (vedi “Key4biz” di martedì 9 gennaio 2024, “Cinema italiano, nel 2023 incassi per meno di 500 milioni di euro e soltanto 70 milioni di spettatori (-23% rispetto al triennio 2017-2019)” e di mercoledì 10, “Cinetel fotografa la crisi del cinema ‘made in Italy’: nel 2023, soltanto 1 spettatore su 4 è andato in sala a vedere film italiani”), si assiste da qualche giorno ad una altra pubblica rappresentazione che cela la vera verità… L’Amministratore Delegato della Rai Roberto Sergio continua a sostenere che il servizio pubblico veleggia serenamente, contestando letture negative dell’andamento dell’audience tv (in alcune fasce orarie, Mediaset ormai prevale), senza denunciare che il “contratto di servizio” continua a non venir pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale, nonostante il parere (obbligatorio e non vincolante) della Commissione bicamerale di Vigilanza sulla Rai sia stato manifestato ormai da mesi (per la precisione il 3 ottobre 2023)…

Come definire queste dinamiche, se non… scenografie e coreografie che nascondono processi inerziali e dinamiche conservative?!

Insomma, nulla cambia, nella sostanza, rispetto alle pratiche (basse) del passato, nella gestione del potere.

Non una idea innovativa, rispetto all’esigenza di riformare il settore cinematografico e audiovisivo.

Non una idea innovativa, rispetto all’esigenza di riformare il ruolo della Rai nel sistema culturale nazionale.

Nessuna vocazione all’“evidence-based policy making”

Certo, nell’ultimo anno si è assistito e si assiste a dinamiche di avvicendamento nei ruoli del potere: Alessandro Giuli al posto di Giovanna Melandri alla presidenza del Maxxi – Museo Nazionale delle Arti del XXI Secolo, Pietrangelo Buttafuoco al posto di Roberto Cicutto alla guida della Biennale di Venezia, Sergio Castellitto al posto di Marta Donzelli al Centro Sperimentale di Cinematografia, Adriano Monti Buzzetti Colella al posto di Marino Sinibaldi al Centro per la Promozione del Libro e della Lettura

La “sinistra” grida ora ipocritamente allo scandalo, allorquando la “destra” mette in atto prassi del tutto speculari a quelle storiche dell’avversa parte: la lottizzazione non è pratica eccellente, mai, indipendentemente dalla cromia di chi la mette in atto.

Si attende l’avvicendamento ai vertici di Cinecittà, per comprendere se si tratterà – anche in questo caso – di un mero ulteriore processo tra lo “spoil system” e le “sliding doors”, oppure di un salto qualitativo (ideale-progettuale) nella gestione di questa importante “macchina culturale” pubblica. A via Tuscolana, resta in sella ancora per qualche mese il duo a suo tempo prescelto dall’ex Ministro Dario Franceschini, ovvero l’Amministratore delegato Nicola Maccanico e la Presidente Chiara Sbarigia (peraltro in conflitto d’interessi con la presidenza dell’Associazione dei Produttori Audiovisivi – Apa, senza che nessuno, o quasi, denunci questa assurdità, essendo lei nelle grazie della Sottosegretaria Lucia Borgonzoni): nessuno, col nuovo governo, si è domandato se ha senso continuare ad indirizzare sovvenzioni pazzesche (i famosi 300 milioni – trecento! – di euro derivanti dal Pnrr) ad una struttura che è divenuta poco più che un “locatore” di teatri di posa, peraltro in buona parte sub-appaltati alla multinazionale Fremantle (del gruppo tedesco Bertelsman)… Una struttura il cui organico manageriale, negli ultimi due anni, si è andato ingrossando (ingrassando) senza una minima idea innovativa (se non quella di costruire teatri di posa…), seppur con innesti sicuramente dettati dalla… meritocrazia (ci limitiamo a ricordare due acquisizioni sul “mercato” del capitale relazionale: Maurizio Venafro, già Capo di Gabinetto di Nicola Zingaretti quando era Presidente della Regione Lazio, chiamato a guidare le relazioni istituzionali; Marcello Giannotti, già Direttore della Comunicazione Rai ai tempi di Antonio Campo Dall’Orto, chiamato ad affiancare – incomprensibilmente – lo storico comunicatore di Cinecittà Giancarlo Di Gregorio)…

Manca una visione sistemica, organica, moderna, strategica, innovativa del ruolo dello Stato nel sistema culturale

Quel che manca in Italia è una visione sistemica, organica, moderna, strategica, innovativa del ruolo dello Stato nel sistema culturale.

In sostanza, quel che manca è una vera “politica culturale”, come quella che la Francia ci può insegnare: un approccio basato su analisi e ricerche (serie, non affidate a portatori d’acqua), un approccio plurale e non partigiano (senza dipendenza dalle lobby imprenditoriali), un approccio tecnocratico e non lottizzatorio (con una visione di futuro non di breve periodo)…

In Italia, in quest’anno di governo Giorgia Meloni, si assiste ad una qualche piccola “correzione di rotta” (per esempio le annunciate novelle commissioni consultive del cinema e dell’audiovisivo al Ministero della Cultura), ed a qualche processo di “riequilibrio” a favore di una ideologia culturale non di sinistra (ovvero di persone esponenti di quella cultura)… ma complessivamente non si registra alcun significativo cambiamento sostanziale.

Quella che Federico Mollicone (attualmente Presidente della Commissione Cultura della Camera dei Deputati, ma ideologo della politica culturale di Fratelli d’Italia) annunciava, durante l’ormai dimenticata campagna elettorale, come “rivoluzione morbida” si sta sostanzialmente trasformando in una pacata e lieve revisione dell’esistente.

“BloggoRai” resta l’unica fonte informativa critica sulla televisione pubblica, nel silenzio dei più

Per quanto riguarda il cinema e l’audiovisivo, abbiamo speso molto (forse anche troppo) inchiostro, anche su queste colonne, e siamo anche un po’ stanchi, per queste tante “parole al vento”.

Per quanto riguarda la Rai, non possiamo che rinnovare la stima nei confronti della fonte informativa più accurata, equilibrata, documentata che sia disponibile in Italia, qual è “BloggoRai”: leggere le sortite quotidiane del Redattore Anonimo (è un ex dirigente di Viale Mazzini, che conosce molto bene la macchina interna, dai piani bassi fino al “Settimo Piano”) di questo libero blog è di gran sollievo, rispetto all’appiattimento complessivo che si registra nel giornalismo italiano che si interessa di cinema e di audiovisivo (mancano firme critiche, si osserva un conformismo deprimente).

Chi ha qualche anno (decennio) di esperienza sente la nostalgia di firme qualificate e critiche come quella di Marco Mele (cervello indipendente nonostante scrivesse per la testata confindustriale “Il Sole 24 Ore”) e di Michele Anselmi (già a “l’Unità” e poi a “il Riformista”): entrambi sono – ahinoi – “pensionati” eppure continuano ad appassionarsi alla politica culturale e mediale, ma purtroppo con limitata visibilità (Marco Mele scrive ogni tanto su “Il Quotidiano del Sud” e Michele Anselmi è iperattivo nella sua pagina su Facebook).

Una delle poche voci dissidenti resta, a sinistra, quella dell’ex Sottosegretario alle Comunicazioni (nei governi Prodi e D’Alema e Amato) Vincenzo Vita, con la sua rubrica “Ri-mediamo” sul quotidiano “il Manifesto”, e, a destra, quella dell’avvocato Michele Lo Foco (che ha appena dato alle stampe il suo pamphlet “Morte del cinema italiano. Come la sinistra ha distrutto uno strumento della cultura italiana”)…

Si sente anche l’assenza, ormai da molti anni, di una testata di analisi saggistica critica qual era “Gulliver” (“mensile politico sulle comunicazioni di massa”, fondato nel 1982), diretto da Ivano Cipriani fino al 1991, condiretto dal compianto Citto Maselli e da Stefania Brai.

Deserto di idee, deserto di laboratori… E si rinnova il governo nasometrico dell’esistente

Deserto di idee, deserto di laboratori… Viene da rimpiangere la “Prima Repubblica”, allorquando i partiti avevano centri studi e fondazioni che alimentavano il dibattito politico e producevano proposte progettuali…

Manca in Italia una fonte critica di analisi continuativa del sistema culturale: l’Istituto italiano per l’Industria CulturaleIsICult, nel suo piccolo (onorando la missione di centro di ricerca indipendente, fiero di oltre 30 anni di attività), cerca di fare del suo meglio su queste colonne del quotidiano online “Key4biz” – attraverso la rubrica “ilprincipenudo” (ragionamenti eterodossi di politica culturale e economia mediale) – ma è senza dubbio una voce debole e non dispone di risorse adeguate.

Le testate del settore, da “Prima Comunicazione” a “Box Office”, passando per “Il Giornale dell’Arte”, non brillano per vocazione critica o vis polemica. Qualche traccia di giornalismo investigativo su “il Fatto Quotidiano” (oggi, per esempio, il sempre acuto Gianluca Roselli rivela che il Ministero per le Imprese e il Made in Italy avrebbe cassato dal contratto di servizio Rai 2024-2028 l’obbligo di un “tetto” alle produzioni esterne – uno dei fenomeni più scandalosi della tv pubblica italiana – ovvero una delle battaglie condotte dal consigliere di amministrazione eletto dai dipendenti, Riccardo Laganà, scomparso nell’agosto scorso) e talvolta anche su “Report” in Rai, ma raramente…

Nel complesso, però, calma piatta e cheto vivere.

Nessuno ha voglia di disturbare i “manovratori”.

Che continuano ad esercitare discrezionalità e nasometria, in assenza di controlli e di tecnicalità.

Purtroppo non s’è sviluppato molto anche il commendevole tentativo promosso giustappunto dal succitato Marco Mele e da Patrizio Rossano, che nell’autunno del 2022 hanno lanciato il progetto editoriale Tvmediaweb.it, una piattaforma di informazione critica sul sistema mediale, con particolare attenzione all’audiovisivo ed al servizio pubblico radiotelevisivo (“notizie, analisi e commenti sui media del terzo millennio”), iniziativa che ha sostanzialmente sospeso le pubblicazioni nell’estate del 2023.

E, da quando si è insediato il nuovo Governo, non 1 dibattito pubblico, non 1 convegno critico sulla situazione del sistema culturale (se non – per il cinema e l’audiovisivo – le rituali autocelebrazioni della lobby Anica…).

E non ci sembra abbia determinato particolari ricadute (né sviluppi ulteriori) l’unica assise promossa dalla destra ormai oltre 9 mesi fa (il 6 aprile 2023), “Pensare l’immaginario italiano” (sottotitolo “Stati generali della cultura nazionale”), di cui abbiamo scritto con particolare attenzione (vedi “Key4biz” del 7 aprile 2023: “‘Essere eretici’: il convegno della destra sulla cultura in Italia. All’assalto soft alle casematte del potere sinistrorso?”).

Scomparsi dai radar anche gli annunciati “Stati generali della Rai”, idea promossa sia da Giampaolo Rossi (Dg ed esponente di spicco della cultura di destra) sia da Barbara Floridia (la grillina Presidente della Vigilanza)

A sinistra, silenzio totale, forse sonno profondo.

Tacciono i sindacati, tace il terzo settore, tace la società civile.

Misteriosamente scomparsi dai radar anche quegli “Stati generali della Rai”, che pure la grillina Barbara Floridia, Presidente della Commissione Vigilanza Rai, aveva annunciato, e con lei lo stesso leader del Movimento 5 Stelle Giuseppe Conte… L’idea è stata lanciata nel maggio del 2023 e rilanciata anche recentemente, seppur in modo vago e generico. Anzi, diremmo… evanescente, così come scritto sulla sabbia si conferma essere il “contratto di servizio”! Il 5 settembre 2023, dichiarava la senatrice Floridia: “la Commissione di Vigilanza promuoverà, in coordinamento con la Rai, gli Stati generali del Servizio pubblico da svolgersi entro l’autunno”. Iniziativa che doveva essere prodromica ad una proposta condivisa di riforma della Rai.

Siamo in pieno inverno e si avvicina la primavera… Delle due l’una: l’idea è stata simpaticamente accantonata; l’idea sta vivendo una arcana gestazione, in segrete stanze di Palazzo San Macuto e di Viale Mazzini…

Va anche segnalato che nell’ottobre del 2022 il Direttore Generale della Rai Giampaolo Rossi, in un’intervista al quotidiano “il Foglio” (a firma di Salvatore Merlo), auspicava anche lui giustappunto degli “stati generali” della tv pubblica. Testualmente: “il sogno è poter replicare lo schema di rilancio e di modernizzazione che in Inghilterra, per scelta politica, investì la Bbc quindici anni fa: gli stati generali del servizio pubblico… (…) Stati generali del servizio pubblico significa chiamare tutti a collaborare, a portare idee”.

Scomparsi dai radar, quindi, gli “stati generali” della Rai?!

Lo scenario appare sconfortante. Ma nessuno, o quasi, sembra lamentarsene.

E, alla fin fine, come diceva il saggio, ogni “popolo” ha il “governo” che si merita.

Come cantava Orietta Berti, “fin che la barca va…”.

[ Nota: questo articolo è stato redatto senza avvalersi di strumenti di “intelligenza artificiale. ]

(*) Angelo Zaccone Teodosi è Presidente dell’Istituto italiano per l’Industria Culturale – IsICult (www.isicult.it) e curatore della rubrica IsICult “ilprincipenudo” per “Key4biz”.