Il caso

Mimit e Rai ignorano il parere della Commissione di Vigilanza sul contratto di servizio

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Lo Stato italiano assiste inerte al saccheggio delle società di produzione italiane da parte di multinazionali straniere e nel “contratto di servizio” viene cassata la riduzione degli appalti a società esterne.

Su queste colonne della rubrica IsICultilprincipenudo” per il quotidiano online “Key4biz”, nell’edizione di ieri mercoledì 24 gennaio 2024, abbiamo provocatoriamente evidenziato la contraddizione che emerge dall’ “orgoglio” manifestato dalla Sottosegretaria leghista Lucia Borgonzoni (che esercita la delega per cinema e audiovisivo concessale dal Ministro Gennaro Sangiuliano) per la nomination del film “Io Capitano” di Matteo Garrone tra i potenziali vincitori dell’Oscar per il miglior film straniero e la sua scellerata decisione, assunta qualche anno fa (sempre Sottosegretaria alla Cultura, ma in un governo giallo-verde) di killerare il progetto “MigrArti – La cultura unisce”, commendevole iniziativa ideata da Paolo Masini per stimolare la coesione sociale, stimolando la ideazione e produzione di cinema, teatro, musica realizzata “da” e “con” stranieri residenti in Italia (vedi “Key4biz” del 24 gennaio 2024, “Il contraddittorio ‘orgoglio’ italico di Sangiuliano e Borgonzoni per il film ‘Io capitano’”).

In effetti, coerenza vorrebbe che… se si ritiene il bel film di Garrone un’opera artisticamente valida, si deve apprezzare anche il suo messaggio politico, di apertura all’Altro, al diverso, allo straniero, passando dalla logica dei “muri” a quella dei “ponti” (per evocare un’immagine efficace e cara al pontefice dei cattolici Francesco Bergoglio)…

Alcuni lettori (sono pochi – ovvero poche migliaia soltanto – ma qualificati e taluni appassionati, e li ringraziamo) ci hanno però segnalato una contraddizione altra: sano “orgoglio” italico, abbiamo sostenuto, facendo riferimento alle dichiarazioni del Ministro e della Sottosegretaria… ma ci si contesta l’aggettivazione “italico”.

In effetti, come già sostenemmo su queste colonne in relazione al film di Paola CortellesiC’è ancora domani”, emerge il quesito: ma quest’opera la si può ritenere veramente “italiana”, se essa è prodotta da una società che è controllata da capitali non italiani?! Si rimanda al nostro intervento su “Key4biz” del 27 novembre 2023, “Ma il film della Cortellesi è un film realmente ‘italiano’?”.

Come per “C’è ancora domani”, il tanto decantato “Io Capitano” è in fondo realmente un film… “made in Italy”?

In effetti, “Io Capitano” è stato sì promosso dalla società dello stesso regista Matteo Garrone ovvero Archimede, ma è stato realizzato da una “joint-venture” di imprese, in una complessa produzione Italia + Belgio, con il coinvolgimento di RaiCinema, Tarantula (Belgio), Pathé (Francia), Logical Content Ventures (Francia), con la partecipazione di Canal+ e Cine+ (Francia) in coproduzione con Rtbf(la tv pubblica belga), Voo-Be Tv (Belgio) e Proximus (Belgio) ed altri ancora.

Al di là dell’indubbia qualità dell’opera, lo si può definire film “italiano” a tutti gli effetti?

Anche qui, naturale sorge il quesito: “orgoglio italiano”?!

Il film è costato 11,5 milioni di euro, e lo Stato (italiano) è intervenuto con 2,2 milioni di euro (di cui 1,4 milioni tax credit “produzione” e 770mila “contributi automatici produzione”).

Il quesito sulla reale “italianità” non è ozioso, la questione non è banale.

Certo, in un’ottica “internazionalista” anzi “globalista”, tutto va bene: “è il mercato, baby”. Ma così non va bene.

Si dovrebbe preservare l’italianità delle imprese culturali italiane dai pescecani del capitalismo planetario

Poniamo un esempio preciso e provocatorio: se, per ipotesi per assurdo, la Warner Bros Discovery decidesse di acquistare la Rai (e si ricordi che c’è qualcuno, al Governo, che lavora per una “privatizzazione” del servizio pubblico radiotelevisivo, e quindi per metterla “sul mercato”… al miglior acquirente) o anche di acquistare Cinecittà (piccolo giocattolo, certo, al confronto della Rai), non emergerebbero – a destra come a sinistra – rumorose proteste?

Da alcuni anni, in Italia, come conseguenza perversa della cattiva utilizzazione del “tax credit” introdotto con prepotenza dalla cosiddetta “Legge Franceschini” (la n. 220 del 2016), si registra sì un (apparente) rafforzamento dell’industria cinematografica e audiovisiva italiana, ma, al tempo stesso, s’è venuta a determinare un’intensa attività di “shopping” da parte di multinazionali straniere.

Gruppi audiovisivi e multimediali inglesi, francesi, tedeschi e fondi di investimento americani acquistano allegramente le quote di maggioranza di imprese cinematografiche e audiovisive italiane.

Sia ben chiaro, nulla “contra legem” (vedi supra, “è il mercato, baby”), e comunque questi gruppi lasciano agli ex “titolari” (ovvero ai proprietari) una piccola quota della proprietà, e se li ingraziano assegnando loro comunque un qualche ruolo nei processi decisionali ed incantandoli con stipendi manageriali elevati (in alcuni casi anche oltre 1 milione di euro l’anno, ovvero livelli superiori ai top manager di imprese con fatturati molto più alti)…

Fremantle cresce a dismisura in Italia. Lo Stato assiste inerte

È di questi giorni la notizia secondo la quale la potentissima Fremantle starebbe chiudendo un’operazione di acquisto di due qualificate società italiane, la Picomedia di Roberto Sessa e la Stand By Me di Simona Ercolani. Le due società hanno avuto nel 2022 un valore della produzione rispettivamente di 46,5 e 35,5 milioni di euro.

Fremantle, dall’alto di un fatturato di 2,4 miliardi di euro, due anni fa ha completato l’acquisizione della storica Lux Vide, fondata dal mitico Direttore Generale della Rai Ettore Bernabei.

Le due società – Picomedia e Stand by Me – sono già state acquisite quattro anni fa dal gruppo multinazionale, con base a Parigi, Asacha Media Group, fondata Marina WilliamsGaspard de Chavagnac e Marc-Antoine d’Halluin, è controllata al 75 % dal fondo di “private equity Oaktree”, che controlla, a parte le due italiane, ben altre 12 società tra Regno Unito e Francia. Il restante 25 % di Asacha Media Group è in mano a Simona Ercolani e Roberto Sessa.

Si ricordi che Picomedia può vantare la produzione di titoli di successo come “Mare Fuori” e di qualità come “Tutto chiede salvezza”. La Stand by Me ha nella propria library titoli come “è sempre mezzogiorno” o “Una pezza di Lundini”. Si ricordi anche che Roberto Sessa è stato Ceo di Fremantle Media Italia…

Non si tratta di una voce, ma di operazioni ben concrete, dato che la notizia è stata pubblicata ieri dal quotidiano confindustriale “Il Sole 24 Ore”: se Asacha venisse acquisita da Fremantle, sia Picomedia sia Stand By Me andrebbero ad affiancarsi a imprese come la succitata Lux Vide (che ha al suo attivo serie come “I Medici”, “Don Matteo”, “Doc”, “Blanca”…), FremantleMedia Italia (“X Factor”, “Un Posto al Sole”…), Wildside (“L’amica geniale”, “The Young Pope”…) e The Apartment (“È stata la mano di Dio” di Paolo Sorrentino, “We Are Who We Are” di Luca Guadagnino…).

Si segnala anche che si ha notizia che Lorenzo Mieli e Mauro Gianani stiano per lasciare Wildside e The Apartment, per fondare una nuova loro società di produzione indipendente.

Si ricordi – ancora una volta – che è Wildside ovvero Fremantle la società di produzione dell’acclamato “C’è ancora domani” di Cortellesi.

Se l’operazione di acquisizione di Picomediae di Stand By Me verrà perfezionata, si verrà a determinare un polo produttivo ad alta concentrazione, con un potere contrattuale – anche verso Rai – di dimensioni impressionanti…

E si ricordi peraltro che la stessa Fremantle controlla di fatto gli “studios” di Cinecittà. Nel febbraio di due anni fa, a via Tuscolana è stato perfezionato un accordo quadro che prevede anzitutto l’affitto continuativo di 6 teatri di posa degli storici “studios” romani. Accanto all’affitto dei teatri di posa l’accordo prevede l’uso di locali accessori, sartorie, attrezzerie, e la possibilità di utilizzo della post-produzione digitale e dello sviluppo del 35mm e 16mm

Ed è Fremantle uno dei maggiori beneficiari del “tax credit” generosamente concesso dal Ministero della Cultura.

E lo Stato resta a guardare. Anzi alimenta la crescita di questo gigante straniero controllato dal gruppo lussemburghese-tedesco Rtl ovvero Bertelsmann.

Segnalava Agcom a fine giugno 2023: “il gruppo Banijay (che esercita un controllo a livello nazionale su società di produzione quali Endemol Italia, Endemol Shine Italy, Banijay Italia, Magnolia, Groenlandia, Zodiak Media e Dry Media), realizzando un valore pari ad euro 199.403.564, rappresenta il 23 % sul totale, il gruppo Fremantlemedia (che esercita un controllo a livello nazionale su società quali Luxvide e Fremantle Italia), con una cifra pari ad euro 104.916.876, rappresenta circa il 12 %” del totale degli investimenti effettuati dai principali “broadcaster” attivi in Italia nel 2022. Ed aggiungeva: “si evidenzia, inoltre, l’incidenza del gruppo Banijay rispetto ai principali broadcaster esso rappresenta oltre il 42 % degli investimenti dichiarati da Rti (Mediaset) e il 15 % di quelli dichiarati dalla Rai”.

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Questi processi di acquisizione e concentrazione sono uno dei risultati malati dell’uso e dell’abuso del “tax credit”, che finisce per arricchire gruppi multimediali stranieri che occupano il mercato audiovisivo italiano, una sorta di terra di conquista nella quale operano indisturbati: beneficiano del sostegno dello Stato italiano, crescono impetuosamente, acquistano il controllo di società nazionali…

Nessuno pone limiti a questa nuova forma di saccheggio “imperialista”.

Nessuno si pone un problema di vero “sovranismo culturale”…

La scandalosa cancellazione dal “contratto di servizio” Rai dell’obbligo di ridurre l’affidamento della produzione a società esterne

IsICult e Key4biz sono in grado di rivelare che è stata cassata brutalmente una previsione del “contratto di servizio” tra Stato e Rai, che richiedeva una riduzione degli appalti a società esterne.

Premesso che il “contratto di servizio” è stato approvato dalla Commissione di Vigilanza Rai il 3 ottobre 2023 e che soltanto pochi giorni fa, giovedì della scorsa settimana 18 gennaio, il Consiglio di Amministrazione della Rai ha approvato la versione (che si presuppone) definitiva dello stesso, si segnala che questo testo resta segreto, ovvero che non trapela in alcun modo, come se rientrasse tra i misteri eleusini…

Abbiamo compreso le ragioni di questa prassi (bassa) che ignora il diritto alla trasparenza che pure dovrebbe essere rispettato: perché una qualche “manina” ha cassato dal testo approvato dalla Vigilanza innesti importanti…

L’Istituto italiano per l’Industria Culturale e Key4biz hanno avuto il privilegio di acquisire questo testo.

Emerge anzitutto il rimando al 1° settembre 2024 del passaggio allo standard Dvb-T2, che era previsto per il 10 gennaio 2024: questione delicata – eppur ignorata dai più (fatto salvo il sempre attento BloggoRai) – affrontata con grande accuratezza da Gianfranco Giardina sulle colonne dell’eccellente testata specializzata “Digital Day” (alias “Dday”: vedi l’articolo pubblicato ieri 24 gennaio 2024, “Nel Contratto di Servizio RAI spunta una nuova data per il DVB-T2: 1 settembre 2024. C’è da crederci?”).

Al di là della controversa questione “Dvb-T2” (sulla quale torneremo presto), si nota che è stato eliminato un passaggio dell’articolo 14 del “contratto di servizio” 2024-2028.

Un passaggio tutt’altro che indifferente (il neretto è nostro)

b-ter) garantire l’equilibrio tra la produzione interna dei programmi e l’affidamento alle società esterne e valorizzare il genere documentario, le docuserie e le docufiction valutando anche l’opportunità di favorirne una maggiore produzione interna”…

In altre parole, la Rai non ha accolto (ovvero non ha rispettato) quanto richiesto dalla Commissione di Vigilanza, ovvero:

  1. l’esigenza di “garantire l’equilibrio tra la produzione interna dei programmi e l’affidamento alle società esterne”: si noti bene: una parte di queste “società esterne” sono giustappunto quelle multinazionali straniere cui supra… Nell’headquarter di Fremantle (non a Roma) avranno già brindato…
  2. l’esigenza di “valorizzare il genere documentario, le docuserie e le docufiction valutando anche l’opportunità di favorirne una maggiore produzione interna”: si noti bene: anche in questo caso (a proposito del macro-genere “documentario” rispetto al macrogenere “fiction”), si tratta di terreno nel quale scorrazzano le multinazionali straniere… Nell’headquarter di Fremantle avranno ri-brindato…

Due ipotesi del “dietro le quinte”: questo passaggio è stato cassato per precisa volontà del Ministero guidato da Adolfo Urso, che ha ricevuto (ed accolto) le pressioni dalle lobby delle Fremantle & Co, oppure questo passaggio è stato paradossalmente cassato per volontà di Rai stessa, allorquando a Viale Mazzini verosimilmente c’è una parte del management connivente con il continuo stillicidio di risorse determinato dall’avvalersi di società esterne, con un flusso di appalti crescente, anno dopo anno…

Queste dinamiche, se fossimo in un Paese normale, verrebbero considerate insane e si griderebbe allo scandalo della deriva del servizio pubblico radiotelevisivo.

Ed invece nessuno ne parla, nessuno (o quasi) ne scrive. Totale silenzio della “politica”, poi.

La stessa Presidente della Commissione di Vigilanza Rai, Barbara Floridia (Movimento 5 Stelle) tace: assente a sé stessa, oppure l’accordo partitocratico che ha portato alla sua elezione ha implicato un suo tacito impegno ad una presidenza in stile “quieta non movere et mota quietare”?!

E nessuno sembra ricordare quel che ha segnalato al Governo la stessa Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni (Agcom), nel documento reso noto il 7 luglio 2023, allorquando evidenziava l’esigenza di aggiornare adeguatamente la definizione di “produttore indipendente”, per superare una evidente incongruenza nella valutazione del ruolo di controllo o collegamento con i fornitori di servizi media, con l’effetto di penalizzare i produttori nazionali. Aggiungeremmo oggi: i veri produttori “nazionali”.

E c’è chi ancora teorizza il… “sovranismo culturale” ?!

Su questi temi, rimandiamo anche al nostro intervento di qualche mese fa su queste colonne: vedi “Key4biz” del 7 luglio 2023: “La Rai alla deriva e il ‘sovranismo culturale’ tra cinema e musica e digitale”.

Cosa ne pensa il Ministro Gennaro Sangiuliano???

Cosa ne pensa la Presidente del Consiglio Giorgia Meloni???

Italia. Le principali operazioni di fusione / acquisizione sul mercato audiovisivo

dall’approvazione della Legge Franceschini (2016)

(fonte: segnalazione Agcom del 27 giugno 2023)

Società di produzione                Gruppo acquirente                                    Anno

Wildside                               Fremantlemedia                                  2015

Magnolia                              Banijay Group                                       2016

Dry Media                            Banijay Group                                   2016

Zodiak Media                      Banijay Group                                    2016

Cattleya                                Itv Studios (51 %)                              2017

Colorado Film                    Rainbow                                              2017

Fabula Pictures                  Federation Studios (51 %)              2018

Palomar                                Mediawan (72 %) poi Kkr                2019

Endemol Shine Italy         Banijay Group                                       2019

Picomedia                            Asacha Media Group                        2020

Stand by me                        Asacha Media Group                        2020

Groenlandia                        Banijay Group                                   2022

Luxvide                                Fremantlemedia                             2022

[ Nota: questo articolo è stato redatto senza avvalersi di strumenti di “intelligenza artificiale. ]

(*) Angelo Zaccone Teodosi è Presidente dell’Istituto italiano per l’Industria Culturale – IsICult (www.isicult.it) e curatore della rubrica IsICult “ilprincipenudo” per “Key4biz”.